LA TRASFERTA DI GIGIGNHO ANNATA 2009-10

IL PANORAMA E’ VASTO MA VOLEVO FARE IL BAGNO A FOGGIA

di Luigi Telloli

La settimana trascorre lenta a sfogliare la solita margherita immaginaria, vado, non vado, parto, non parto… ma sì, nella speranza sia l’ultima andiamo. Già, perché le trasferte non iniziano mai la domenica mattina e terminano la sera, mai, il nostro vagabondare è una situazione di pendolarismo dell’anima, i neuroni fanno mozioni e contromozioni con tanto di contrordini. Viviamo di confusione e di Spal (certezze e figa?). A onor del vero la mia indomita coglionaggine mi aveva sbattuto davanti agli occhi una quanto mai manzoniana divina provvidenza… avevo preparato la trasferta come un monaco tibetano, due giorni di sveglie all’alba, rifugiato in campagna a compiere esercizi di meditazione nel tentativo di creare il destino al quale saremo andati incontro soltanto profetizzandolo; in realtà ero solo andato a pescare per far scorrere il tempo e annesse preoccupazioni: fuggi da Foggia, non per Foggia ma per i foggiani. La mia coglionaggine dicevamo… sì, ben convinto di prendere un treno alle cinque e mezza di mattina mi son detto: “Porto il cane fuori, mi fumo quelle tre sigarette e vado in stazione a controllare gli orari dei treni” (anassamaì…). La vita sentenziava: coglione. Primo treno alle otto del seguente mattino, paralisi facciale, un senso di lieve calore sui piedi (maledetto cane!). Torno a casa ben conscio dei rimproveri di madre… le solite cose… “domani mangi quei cazzo di panini, mattino e sera anche se rimani a casa”, sei un coglione (ma questo già è stato ampiamente rimarcato), io spero sia l’ultima (a chi lo dici…) e via animatamente non replicando. Dopo lo stupore la paranoia, informare i compagni di viaggio della mia… della mia (!?)… coglionaggine. Dico, con tono monocorde, che non posso partire, mi maledico, mi vergogno, mi faccio venire a prendere fin sotto casa (barattando qualsivoglia esame di coscienza nel lasso di un nano-secondo), allungando la trasferta di quel centinaio di cappaemme abbondanti. Parto. Partiamo. L’inizio non è dei migliori, l’auto è pregnante di contenuti, si parla delle atrocità della guerra in Serbia, degli orrori del Kosovo… Non è il massimo per una trasferta che vorremmo da ultimo giorno di scuola, con un clima sperato da rompete le righe, con tanti copiosi e sinceri “a presto”. Il nostro gran premio ci vede ricompatti già in odor di Puglia, ci si conta, il panorama è Vasto ma di mare nisba, manco l’ombra. Così si è tutti all’uscita dell’autostrada per poi prendere un bus in direzione stadio… Dentro chiedo invano carta igienica (scoprirò poi…), mi viene fatto notare che “nun teniamo i cessi, vuoi che teniamo ‘a carta igienica?”. Esatto. Lo stadio si sente eccome, le bombe carta ti danno quel senso di ultimo dell’anno ma non proprio conviviale… riusciamo a passare in vantaggio, riusciamo a non sbagliare un rigore… si chiude il primo tempo (sullo zero a uno), devo ancora consumare l’atto per il quale mi serve la carta igienica di cui sopra (mio unico assillo). La ripresa non riprende, scopro dov’è finita tutta la carta igienica, Luca (Capecchi) sembra la mummia, non si gioca per dieci minuti, si riprende, stessa scena, incredibile quanto un campionato possa protrarsi all’infinito tuttavia pur senza passare dal tasto play e con quello del rewind fottutamente inesistente. Provo ad andare in bagno ma memore della meditazione tibetana della settimana resisto, resisto almeno quanto i nostri all’assalto flebile delle truppe nemiche, troppo schifo, vomito sulla mancanza di igiene, torno al secondo piano dello Zaccheria e mi dicono che stiamo dilagando, sì, con tutto il rispetto: ma chiccazzo se lo sarebbe aspettato? Al centounesimo minuto l’arbitro dice è finita. Finita un accidente, bambini di anni cinque invadono, le squadre scappano negli spogliatoi (dove Eros verrà colpito dalla sportività avversaria), i bimbi fanno gestacci e mostrano pisellini ancora in divenire, altro mondo, altro mondo! Scimuniti. Torniamo a casa ridondanti di rimpianti (per il campionato), torniamo a casa grati di quest’ultima fatica, per una volta con la gioia che tutto sia finito. All’autogrill sembriamo i ragazzi del muretto, consumiamo una parvenza di cena incapaci di pensieri, ci guardiamo negli occhi, onore a noi. Le trasferte di Gigignho son finite (se dio vuole, sentenzierà qualche anima pia che riesce ancora a sopportarmi nonostante la mia… stavolta non lo scrivo più tanto avete capito). Ciao G.

… NoN SUCCEDE MA SE SUCCEDE…

di Luigi Telloli

Reggio al solito è dietro l’angolo, pochi chilometri ci separano da quello che erroneamente definiamo derby, pochi chilometri che nemmeno ci accorgiamo di stare strettini come sardine. Solito refrain al casello, la polizia ci fa gentilmente attendere l’arrivo delle corriere per poi scortarci nel settore ospiti; entriamo a pelo, le fresche e motivate fanno bella mostra di sé data la calura da estiva stagione, tuttavia accade anche che una bimba di anni quattro non possa entrare con la sua bandiera, ci rassegniamo alla desueta mancanza di elasticità mentale, la biondina la prende con filosofia, al solito i bambini han tanto da insegnare agli adulti.
Inverosimilmente segniamo prima del calcio d’inizio grazie ad Eros che trova un bel modo per farsi gli auguri di compleanno. Il primo tempo è una meraviglia, giochiamo benissimo se non fosse per le troppe di occasioni fallite per il raddoppio, siamo presenti in ogni zona del campo, Cip viene preso a bastonate, dietro siamo granitici, mezza curva è nuda (la solita metà sbagliata…), mezza curva consuma ghiaccioli, io faccio avanti e indietro per un accendino, dopo che lo stesso mi è stato requisito dopo due minuti di accurata “ravanata” nelle palline…
Cantiamo rinfrancati da una eco data da uno stadio mezzo vuoto (eufemismo), nel secondo riusciamo a contenere l’invano assalto dei granata, i minuti come sempre in questi casi scorrono lenti, sbagliamo altri duemila gol, nessuno ne prendiamo e questo è ciò che conta… risultati favorevoli fanno dare di matto a più di qualcuno; facciamo altri sei punti e finiamo questo campionato a testa alta.
…Nun succede ma se succede…
Al ritorno a casa mi ritrovo una bandiera granata che sventola fiera sul monumento della piazza, mi risintonizzo… la squadra del mio paese (n.u.s. Codigorese) ha conquistato la promozione in prima categoria, nessuna improbabile goliardia anti-reggiana eheheh…
Un pensiero a quei ragazzi che hanno avuto un sinistro sinistro in fase di partenza, partendo comunque a bordo del pullman, raggiungendo Reggio come doveva esser. Personalmente è la mia quarta vittoria qui, campo che porta bene, tanto bene che già pregusto la gitarella un po’ più  impegnativa in quel di Foggia.
Aahhhh… Foggia in qualunque caso sarà decisiva…
Forza S.P.A.L. (con quei quattro puntini che la rendono unica)!

Di ritorno da PORTOGRUARO
LA SOLITA STORIA E I SOLITI SUMMAGHI

di Luigi Telloli

Svegliaaaa!!!
…terza sconfitta in tre anni, l’unica gioia a memoria d’uomo fu un pareggio in rimonta firmato Bisso.
Alle nove di mattina arriva la tanto agognata notizia, il mio autista finge di star bene e febbricitante si mette al volante, la gita di pasqua va in scena. Entusiasmo fiacco, concentrazione zero, dimenticherò infatti di mettere in frigo le preziosissime birre della cabala, ma l’importante è presenziare a questo masochismo che ci vede sempre perdenti in terra veneta.
Serenissima un cazzo… Serenissima per niente dal nostro punto di vista, “Verona” moderna si potrebbe definire a livello di (non) risultati favorevoli. E dire che la strada, quell’ora e mezza che ci separava da quel girone dantesco che è il Mecchia, ci era scorsa quasi lenta, il risvolto lisergico delle birre calde, gli innumerevoli rigagnoli, le lanche, il pensiero di tornar in queste terre con una canna in mano piuttosto che con birre sgasate nello stomaco; il pensiero della partita era ben lungi dal quieto clima che godevamo di chilometro in chilometro…
Poi, bentornati nell’infausta Portogruaro annunciava la vocina del cervello, anch’essa ridondante di spritz e cattivi ricordi, alla rotonda d’ingresso cittadino scorgo eventuali presagi malauguranti, niente, è semplicemente malumore misto a superstizione. Prendiamo un caffè nella tana del lupo, nessuno scazzo, nessun sorriso, consumiamo ed usciamo per mettere piede in quel velodromo. Non par vero ma il primo tempo è dominato, occasioni più pericolose le loro naturalmente…
Incrocio But (Butelli), mi dice che mi aspettava a pranzo, gli rispondo che non l’ho visto venerdì scorso a un concerto… “ma non m’hai detto un cazzo sbotta l’omino fotovoltaico!”. “Bravo, capita l’antifona gli faccio io…”.
Nota positiva il tifo, finalmente buono e costante, a inizio secondo tempo tutto torna nell’ordine delle idee, i gruaresi o summaghi riprendono il pallino del gioco e ci fanno rivivere la stessa partita degli anni trascorsi, puntuale arriva la zampata del loro “avanti”, nemmeno l’uomo in più cambia qualcosa…
Se il Foggia vince il recupero coi potentini siamo ad appena più uno sulla zona calda, i miei testicoli sudano freddo (rileggere commento Pescara…), la mia passione è intatta, le mie paure in rialzo, sveglia che questa MAGLIA e con essa questa CATEGORIA bisogna meritarsele, possibilmente non riducendosi all’ultima a Foggia, quello si che sarà un catino incandescente…
In ultimo due barra tre considerazioni: il “gesto” della società in settimana lo trovo splendido, nella misura in cui garantisce un futuro a questa (così come a quelle che la succederanno) società, un impegno di vent’anni che nella mia ignoranza mi fa credere che fallimenti non ne vedremo più, poi, qualche posto di lavoro in più quell’impianto fornirà… e soprattutto energia pulita a fine di lucro e la cosa mi garba assai!
Secondo: se questo articolo vi/mi farà abbastanza schifo, la colpa è da dividersi equamente tra l’ennesima debacle data dalla partita della svolta che continuiamo a “scazzare” e la difficoltà data dallo scrivere questo ritorno in pieno clima pasquale a pranzo dai nonni, impresa titanica posso garantire, sorvegliato a vista manco mi stessi drogando!
In ultimo, la dedica, anzi le dediche… ai ragazzi di Curva Ovest Ferrara che ieri han cantato fino a venti minuti oltre il fischio finale indipendentemente dal risultato e a un ragazzo, Dario Vacchi, che ieri mattina, una volta di più attraverso le sue parole mi ha fatto capire l’importanza che può avere lo scrivere il punto di vista particolare di chi la domenica è in curva e prova attraverso un’irrazionalità volutamente forzata di far sentire presenti anche gli assenti…
Grazie Dario, quel tuo “sei UTILE” a quelli come me (te) che non possono venire è forse il più prezioso tra i commenti ricevuti in questi due anni…
Nel presente pochi “eroi”, il futuro siete voi. A questo punto con umile speranza di rimanere in Prima divisione, buone feste.


Di ritorno da Pescara
Si poteva fare di piU’.

di Luigi Telloli

Noi, loro, tu, ella… Umore scazzatissimo. Deluso no. Lo stadio è bello, i giochi del mediterraneo l’hanno reso pratico e moderno, forse esagero, di certo rarità per la categoria. Di fronte a noi una signora tifoseria con il suo “dale boca” che con i fischietti confonde la direzione arbitrale, a tal punto da farla sembrare a senso unico. Questo appare dalla curva, perdere così, con le palme e il mare, ti fa rendere conto, una volta di più, che noi spallini ci si è specializzati negli anni a esser sempre nel posto giusto ma nel momento sbagliato.
A parer mio il Pescara ha meritato, tatticamente ho visto tagliar fuori, con impressionante regolarità i nostri terzini, attraverso triangolazioni veloci e discese sul fondo, del primo tempo altro non ricordo. Il secondo è metaforicamente un “vorrei ma non posso”, arrembaggio per niente arrembante dei nostri, in curva prestazione sottotono, finisce con i soliti rimpianti, noi questa partita siam capaci di sbagliarla sistematicamente, ogni stagione, con metodicità racchiusa in astrusi pensieri. Adesso siamo sei punti sotto e sei punti sopra, il partito degli indecisi comincerà a versarsi calici, nell’attesa, fino al non capire più se il bicchiere è mezzo vuoto o mezzo pieno. Nella snervante impossibilità di non dover copiosamente aggiungere ulteriori waterloo, tra le nostre stagioni, ricolme di rimpianti.
E dir che come Grande Amico scriveva la sera precedente la partenza, “ci faremo una foto sul mare”, quella foto l’abbiam fatta e a riguardarla oggi placa malumori vari come nutella per i nostri cuori. Come ogni maledetta domenica l’alba è stata il nostro trampolino di lancio, giungiamo in quel di Ferrara con ancora la notte negli occhi, partiamo col giorno che si svela come il destino avverso di una delle tifoserie più sfigate d’Italia quale siamo.
Maciniamo chilometri come nostro solito, autista impeccabile, compagnia degna dell’ennesimo appuntamento con la gioia tanto agognata quanto sconosciuta. Io dormo, gratuitamente scazzato e poco propenso al dialogo. Siamo a Pescara con ampio margine sul nostro ineluttabile esser in ritardo: sciarpe al collo siamo in spiaggia, tutto molto bello, respiriamo a polmoni aperti la salsedine, mare dai colori ben definiti nonostante il suo umor non propriamente pacato. Il verde e l’azzurro sono naturale presagio di una vittoria che tale non sarà. Pranziamo al machu picchu, c’è chi è già a Pescara dal giorno prima per aver vinto un week-end, chi invece, come una rock star si fa attendere e giunge per ultimo, portandosi il vino da casa… ad ogni modo impeccabile come sempre…
Con quarto d’ora d’anticipo siamo all’Adriatico, non siamo in forma per niente, duecento per modo di dire, mal posizionati, spesso muti, a livello canoro abbiam fatto schifo, in duecento si deve fare di più. A fine partita il solito siparietto del cazzo, in quattro vengono sotto la curva ospite, a dir la verità, in un paio, per mantener fede alla solita promessa data, la maglia…
La mafia delle maglie fa cagare, e io coglione che la domenica prima, in casa mi son tagliato tre dita nel tentativo di averne una.
Invece. Invece basta mettersi d’accordo per tempo, perché tutti abbiamo gli stessi diritti e annesse possibilità, tu pensi… un giocatore tira la maglia e dall’altra parte pronti a prenderla in base alla fortuna del momento. Invece niente, ammetto che è il magone più amaro della giornata di ieri, ben più che perdere una partita meritatamente persa, ben più del caso scoppiato in quanto un paio di persone han gridato “venduti” ai nostri.
Beh… signori Zamboni Marco ed Egidio Notaristefano, puntare il dito la reputo un’offesa a quei 196 che han tifato, cantato e applaudito come ogni maledetta domenica.
Come continuerò a reputare offensive le maglie ad personam. L’Italia dei furbetti è ovunque, non si potrebbe mica che queste cose avvenissero durante la settimana invece che la domenica dove tutti hanno il diritto di prendere (o non prendere) una maglia lanciata!?
E adesso mi mando affanculo come faccio da ieri, io ed il mio prendermela sempre per “il mondo che vorrei”.
Per quelli che ci credono e continuano indipendentemente dal risultato, l’appuntamento è nell’infausta Portogruaro. Non abbiam mai vinto in quel catino incandescente che è il campo sportivo Mecchia di Portogruaro, vuoi mai che sfatiamo la tradizione coi veneti? Vuoi mai che riusciamo a fare un gran tifo? Vuoi mai che riesca anch’io ad aver la fortuna di una maglia…
Con scoramento certosino, Luigi.


DI RITORNO DA RIMINI
GIOCHIAMO IN CASA

di Luigi Telloli

Alla punzonatura ci sono quattro pullman e un discreto torpedone di auto. Ci siamo tutti… da chi non manca mai a chi è quasi sempre assente. Io sono (per una volta, finalmente…) con gli amici della Vecchia Guardia 74′, siamo colorati e canterini, Rimini è dietro l’angolo, nemmeno il tempo di stancarsi e la riviera si tinge di biancazzurro.
Giunti nell’antistadio del Romeo Neri ci contiamo, strette di mano, interminabili abbracci che sintetizzano undici anni di lotte e sacrifici per tornare quelli che forse mai più saremo. La balaustra è ben allineata, i lancia cori trovano la continuità dandosi i giusti cambi. I numeri non son certo quelli di “altri tempi”, cinquecento a Rimini non sono motivo di nessun vanto, sono il minimo di quello che dovremmo rappresentare a domeniche alterne, perlomeno nelle terre di confine, trasformando C.O.F. in un prodotto d’esportazione.
Nel tragitto verso la Romagna più soste che verso Taranto, ad altezza di non ho idea dove mi viene chiesto di prendere il posto di “basetta” a Lunedì sport come opinionista, declinerò l’offerta sorridendo della stessa, tra un panino e un paio di graziose birrette, così, a gole e stomaci festanti si riparte.
Ci facciamo accogliere da Rimini, boicottando le tradizionali piadine e ci indirizziamo verso il primo kebab (l’onta!). Uno squarcio di sole in mezzo a nubi appoggiate lì da un acquerello che andrebbe bene per fotografare la notte. Guardo alla mia destra, alla mia sinistra, di fronte a me… piadinari non pervenuti! Sciopero o meno del tifo, contestazione o meno, o cos’altro, i biancorossi sono la tifoseria che più mi ha deluso questa stagione, addirittura sotto i ravennati. Ma torniamo a noi. Noi siamo la curva Ovest, cantarlo in trasferta sempre, indipendentemente dal numero. Romagna mia e l’apoteosi data dal “Giochiamo in casa”, rimarranno nel tempo e nel cuore, riminesi surclassati sino al provarne un po’ di pena. In campo, ad ogni modo a sovrastarci, perlomeno nel primo tempo, sono i calciatori biancorossi, nel secondo invece, ci risolleviamo e non potrebbe essere altrimenti… Butelli è in curva, stilosissimo, non riesco a salutarlo, magari si è offeso perché quando mi chiama dormo e quando lo richiamo io, lo faccio con l’addebito, tuttavia non riusciamo a liberarci completamente nella gioia, l’ennesimo ruzzolone stagionale ci fa temere il peggio e riporta la mente agli incidenti di Terni e Taranto. Solito giro di telefonate col groppo in gola, riusciamo a tranquillizzarci un po’.
Io e un grande amico mentre aspettiamo che ci facciano ripartire alla volta di Ferrara, intoniamo un “Teresa ha gli occhi secchi e labbra screpolate…”. Oltre noi nessun cenno d’intesa… il grande amico dice: “Evitiamo di scomodare Faber!” Io gli rispondo: “Oggi ho rivisto la Ovest”. Ahahahaha…. solo gli ultras vincono sempre!
Fiero di cantare con voi e tifare per lei. Vicendevolmente grazie fratelli.

DI RITORNO DA POTENZA
A “CONVIVIARE” CON GLI AMICI

di Luigi Telloli

Ore 6.35, lunedì (adesso…), soffro di jet lag, più in generale soffro. Indubbio che quattordici ore di viaggio e quattro di sonno siano un buon alibi… Sguardo coglione rivolto verso il cappuccino… non inebetito, proprio coglione…
Qualcosa di vicino allo stesso viso che in piena notte prova, di fronte allo specchio, a passare per (quantomai) credibile. Alle quattro siamo a Ferrara, base di appoggio per l’ennesima domenica di chilometri e caselli; sarà lunga, si sorride, ci si fa forza, si parte.
I più hanno deciso di pernottare nel Lucano, i potentini sono spettacolari, ci fanno da ciceroni in una città imbiancata oltremodo, un sud di montagna che stranisce i sensi. Il tutto celebrato da una teatralità spontanea quanto genuinamente corrisposta. La partenza intelligente ci premia, attraversiamo lo stivale praticamente soli, eccezion fatta per sciatori e popolo della notte.
La nostra dignità di uomini ci impone la prima sosta almeno almeno in terra umbra, una comitiva di giovani punk-psichedelici ci regala il primo sorriso, inverosimilmente educati e quanto mai truccatissimi, chissà dove andranno a danzare?
Appoggiati al bancone mentre consumiamo la nostra seconda colazione, la mente prova a ricostruirne un passato recente… saranno stati a un rave… le tracce dei loro eye-liner segnano tratti non veri, a metà tra Marylin Manson e Marylin Monroe, tuttavia scombussolati più di tanto non mi paiono… chissà cosa penseranno loro di noi…
Quasi in apnea ci facciamo la Puglia, poi, direzione Potenza, la strada s’inerpica, pian piano inizia a nevicare, i tornanti si imbiancano e il vento si fa gioco dei fiocchi che una volta a terra riprendono a salire (e se in ciò rivedo in parallelo il cammino di una squadra, è proprio ora di colazione).
Giungiamo all’hotel per incontrare le nostre genti e da li ci muoviamo… verso l’alto; alcuni potentini ci fanno prendere la scala mobile, fino alla Potenza “alta”, camminiamo come perfetti turisti in gita, sotto la neve è tutto più spensierato, manco ci dovessero essere pensieri.
Strano sentirsi così, solitamente non accade, solitamente non passa a nessuno per la testa di “conviviare” con il “nemico” di turno. Però la gente del sud è splendida, in debito di gratitudine per la bellissima manifestazione contro la tessera del tifoso in cui sfilammo assieme per Ferrara, i lucani non dimenticano e rilanciano… colazioni, aperitivi, tranci di pizza… Bella gente, che finisce quasi col metterti in imbarazzo per tanta riverenza…
Lo stadio è fatiscente, fa abbastanza cagare per esser sinceri e schietti. La visuale è ottima per guardare una partita di calcio senza tuttavia riuscire a commentarla pur essendo presenti… Noi tifiamo in diagonale: coro appropriatissimo…
Tipica partita da campo del sud, Pozzi espulso per intemperanze, negherà ma io dubito… sentito quello che non ha detto dopo, fuori dal campo. Naturalmente espulso anche Eziolino Capuano grazie a Bedin che ha fatto la spia (proprio lui…).
Nel settore chiuso, infatti, il mister dei lucani seguirà tutta la partita, così come farà Bortolo, in curva coi tifosi. Visto da vicino mi accorgo senza margini di errore che Eziolino è veramente buffo, praticamente il sosia di Brunetta, stesso taglio, stessa levatura morale…
Passiamo in svantaggio con un’azione che voglio rivedere… pareggiamo con il solito Cipriani (per l’ennesima volta, che ne scrivano il contrario i giornalisti), poi forse confondo la temporalità delle azioni ma Bazzani viene espulso e pur con un uomo in meno proviamo a giocarcela, ripassiamo in svantaggio, fintanto che allo scadere o giù di lì il neo acquisto Smit con un bolide pareggia i conti. Ci voleva, peccato per l’espulsione di Eros già in panchina, ma tutto sommato va bene così, con un capitano tornato su grandi livelli e una squadra che non farà sognare ma a differenza di qualche tempo addietro ci fa dormire sonni tranquilli (appendetemi pure per le palle se saranno playout).
Usciti dal Viviani scambiamo le ultime mielosissime pacche sulle spalle con gli amici di Potenza, facendo loro i più sentiti auguri per le sorti sportive della squadra della loro città.
Si torna a casa felici in virtù di una filosofia di trasferta molto semplice, basta non perdere che ne vale sempre la pena, e se si perde… poco male, a ricomporre tutti i momenti vissuti ci rimane sempre quel sorriso idiota di chi nella fatica di esserci trova il senso di tutti quei chilometri e cambi climatici.
.. Dimenticavo, un abbraccio a Gianluca, il ragazzo aveva un principio di congelamento ai piedi e il sottoscritto non ha trovato niente di meglio che prestargli i propri scarponi da montagna, scarponi che il giovane non ha voluto barattare con i calzoncini di Bedin, io ci ho provato…
Il ritorno è alleviato dalla dialettica del “signor Rossi”, persona capace di sostenere qualsiasi tipo di conversazione, a unico patto che a disquisire sia lui… hihhi… praticamente ha armoniosamente sfibrato le palle, ma ce ne fossero come lui.
Un abbraccio a chi non ha potuto esserci, gli altri che rosichino, perde colui che non gioca…
Con epica confusione mentale, Luigi.

DI RITORNO DA TERNIIL GRANDE BLUFF DELLE MARMORE(E) CASCATE

di Luigi Telloli

Già… perché l’idea di partenza era appunto quella di liberarsi dall’abbraccio confortante di Morfeo e giungere in terra umbra per visitare le cascate e, perché no, approfittare del tempo pre-partita per farsi una pescatina in quelle limpide acque…
Invece. Si era scelto un ristorantino con vista panoramica da tale Teresa, nel nostro immaginario collettivo la classica ristoratrice giunonica, dal poco apparire quanto di tanta sostanza. Invece, niente, la signora è in ferie, poco male comunque, oltre il (un) ponte una piccola trattoria sulle sponde del ruscello che, qualche chilometro più a valle, darà vita a quelle che sono la nostra fregatura d’avventurieri naif. La trattoria da Lilly ci mette di fronte a una cucina in cui ben si sposano specialità lacustri quanto prelibate carni di tutti i tipi. La signora Lilly, per dovere di cronaca, alimenta le nostre convinzioni in materia presentandosi con un minuto di ritardo abbondante rispetto i suoi seni. Ahahahaahah…
Il solito tam tam di telefonate, noi siamo qui, loro son lì, voi dove siete, io ho bevuto questo, tu quest’altro, loro han mangiato là, noi stomaco vuoto… Eccheccazzo… lasciatemi i miei cinque minuti che poco sposano l’ambaradan trasferta-partita per riappropriarmi unicamente di me stesso. Lasciatemi il mio guardare oltre, i miei punti fissi nello spazio del cielo, le mie proiezioni prospettiche e l’edificare mondi con fantasia di bambino, sognatore, filosofo. Lasciatemi i miei punti interrogativi che i discorsi sul niente non alimentano nient’altro che la vacuità del nulla.
I miei compagni di viaggio già prima del pranzo han dato vita a banchetti improvvisati con salame e rosso l’uno umbro, l’altro toscanaccio. Il più cretinetto della macchinata decide di generare la teoria del caos giocando con una palla di gomma in auto, risultato certo, lo stesso effetto di un’arancia che cade dall’altezza di metri due in una tazza da caffèlatte… qualche chilometro di tensione, nulla più. Lo stesso amico che porterà a casa un discreto gruzzoletto di danari scommettendo sull’affermazione esterna della compagine estense, data a cinque nell’occasione.
Informandoci scopriamo che le cascate aprono alle undici, l’acqua scende dalle dodici e ciò unicamente nelle giornate festive. Io sono scazzato per questo, un altro è scazzato perché ha bevuto un amaro in meno, l’altro pensa alla propria scommessa, l’ultimo è tranquillo e pacifico, beato lui.
Giungiamo al Liberati che Cipria ha già preso un paio di pali in posizione di offside, saranno il preludio al gol. In curva quel matto di But si muove nervosamente come un elettrone impazzito, il primo tempo con una pioggerella sottile quanto copiosa placa diversi malumori (miei), nel secondo entra Bedin, poi, finalmente passiamo in vantaggio e mi par di ricordare, abbastanza agevolmente, riusciamo a tenere fino alla fine, grazie (per una volta tanto) alla superiorità numerica data dall’espulsione di un loro giocatore.
Poi.
Poi la fine.
Quest’anno dobbiamo soffrire oltre modo e misura. Un ragazzo della mia età perde l’equilibrio, non riesco a guardare… volti disperati, gente arresa, quest’anno non ci è concesso niente dal signor “avverso destino”. Effetto indubbiamente strano uscirsene dal Liberati così tristi e sconvolti dopo una vittoria, ma questo è stato.
Inizia un interminabile giro di telefonate per sincerarsi delle condizioni di “Bubu”, nella mente l’immagine di Zambo che rimane fino alla fine dei soccorsi, anche questo significa essere il capitano, Luca (Capecchi) che prova ad allontanare i fotografi, Bedo e Miglio che chiamano la dottoressa Giagnorio, medico sociale della Spal, che assisterà lo sfortunato sino all’ospedale ternano.
A livello personale apprezzo tantissimo, avrei voluto argomentare d’altro, dell’importanza psicologica che possono avere tanti piccoli segnali come la voglia della squadra di festeggiare con noi, come la vicinanza mostrata dai giocatori verso un loro tifoso, del fatto che nulla è perso e combattendo come ieri, boh… combattendo come ieri io me ne tornerò a casa ogni domenica di qui alla fine, contento.
Se poi il signor “avverso” aprisse un po’ gli occhi…
Con meticolosa irrazionalità sempre vostro Gigi.


DI RITORNO DA MARCIANISE

di Luigi Telloli

Di ritorno dal Progreditur l’umore sembra la squadra stessa che per novanta, centottanta, duecentosettanta o quanti siano minuti, non gioca. A questo giro è pesantissima anche per chi ha il suo sorriso ebete stampato in viso come un marchio di fabbrica, non bastasse la prima sventura esterna (in termini di risultato), ci sono i soliti “troppi” chilometri in direzione mura amiche. E dire che ci si alza prestissimo, si viaggia ritagliando tra i pensieri di una settimana un’intera giornata che li ripaghi e invece… col cazzo (scusate!).
Ore sei di mattina, non vedo l’ora di partire per dormire, sarà praticamente impossibile dato il confronto sui massimi sistemi che regolano le leggi del mondo che si protrae per un paio di regioni, non mi concede la possibilità di far riposare i miei neuroni.
A una certa ora, in un certo autogrill, ci si ricompatta… auto e pullmini, c’è chi fa colazione, chi dona birre, chi dorme e chi sorride.
Giornata incerta ma bellina, al casello “torpedone” nuovamente compatto, giunti allo stadio i pre-concetti si fanno concetti… case facciavista, decorate unicamente su una sola parete e semi-palazzi mai finiti dai quali si può tranquillamente assistere alla partita con una comodità tutta inventata. Con noi un meticcio che elemosina panini, povera bestiola dall’espressione tuttavia felicie.
Della partita ho provato e continuo tuttora a rimuovere, l’aria si fa pesa e tetra, non capisco, non meritiamo. Nel ritorno riconsidero l’esistenza di Dio nella fortuna di trovare due bagni puliti; una dopo l’altra le scritte Roma-Arezzo-Firenze-Bologna-Ferrara, o almeno credo. In qualcosa bisogna pur credere…
Forza S.P.A.L. con un filino di voce.

DI RITORNO DA AVEZZANO
NELLA TRIBUNA OSPITI

di Luigi Telloli

La solita levataccia, ore 5 e 30 in piedi. Nel tratto che ci separa da Ferrara riesco a dormicchiare coricato, sarà l’unica mezz’ora di comodità, poi con la formazione al completo sarà auto colma, al solito, di sorrisi, birre, panini, carte stradali e quotidiani, giubbini, bestemmie e quant’altro, che armonicamente coesistono come in un disegno all’incirca perfetto. Le sensazioni sono buone, le proiezioni danno Marongiu sicuro marcatore, corsi e ricorsi storici annunciano una giornata da viversi col giusto piglio, vuoi mai che torniamo a casa sorridenti e beoti come non mai.
Lungo l’autostrada nessun veronese ma occhi aperti, la giornata climaticamente è meglio, molto meglio di quanto preannunciato dall’informazione televisiva, pian piano macinando chilometri siamo nelle terre d’Abruzzo; la città de L’Aquila è alle nostre spalle, una delle tante tendopoli è davanti ai nostri occhi, me ne rimango in silenzio a osservare, tiro fuori la macchina fotografica ma poi ho un ripensamento, meglio, mi blocco e mi dico che non avrebbe senso e soprattutto rispetto, nessuna foto. Decidiamo di indirizzarci per prima cosa alla biglietteria dello stadio, sita all’incrocio tra via Genova e via Ferrara, ci viene gentilmente spiegata la storia del Pescina Valle del Giovenco, o per meglio dire, quella dell’Avezzano…
Il ristorante è un posto meraviglioso, ci riscaldiamo con due calci al pallone, io mi destreggio tra il mio mal celato esibizionismo e la goffaggine mattutina misto birrette a iosa e mi trovo occhi al cielo e schiena a pezzi nel vano tentativo di mostrare ai presenti le mie doti circensi! A pranzo volano calici di Montepulciano d’Abruzzo, squisito a tal punto che mi affeziono e ne compro un paio di bottiglie da portare agli amici, anzi, da bere con gli amici. Grazie al fatto di aver acquistato i biglietti prima riusciamo ad abbandonare il ristorante con relativa calma. Passiamo armati di tutto punto sotto la loro curva che ci saluta senza nessuno scazzo, diverso è l’impatto con la tribuna; i marsicani non ci vogliono in piedi, qualcuno dice che non dovevamo nemmeno presentarci, evidentemente ciò che accomuna le italiche genti è l’intolleranza, in ogni dove e circostanza.
Il solito siparietto con steward e vecchietti con le coronarie a mille, quand’ecco che chi, ancora in fila per il biglietto, entra nella tribuna dello stadio e prende posizione. Siamo una cinquantina abbondante, iniziamo a cantare che Eros ha già “bollato” con uno dei suoi missili; i locali si calmano e ci guardano ammirati da tanta goliardia e spensieratezza, più che una lezione di tifo m’è parsa una lezione di civiltà.
Secondo missile, ancora lui e allora: mi voglio fare di Eros, Eros, Eros, mi voglio fare di Eros, Eros Schiavon… Strani figuri s’aggirano tra la tifoseria ospite e all’esultanza dello 0-2 mi ritrovo un cappello da strega in testa che esibirò fiero fino al fischio finale. Nella ripresa Bracaletti segna un gran gol, il terzo di una giornata perfetta, morale della truppa a mille; fischia la fine e a momenti linciano Atragene, promessa della Berretti alla prima panchina tra i pro che preso dall’entusiasmo generale si permette di calciare un pallone in tribuna e la sua felpa che per un pelo manco di afferrare… E’ appunto in questo momento che perdo il mio cimelio da fattucchiera che, un minuto dopo mi sarà riconsegnato da Paolino Rossi, sceso a salutare i compagni.
Il ritorno è contraddistinto da sguardi ebeti e trasognanti (il vino, la vittoria, la stanchezza?), per la prima volta me ne torno a casa con le tre birre che mamma mi aveva premurosamente messo in borsa… Ci voleva, ci voleva proprio, la prossima trasferta è a Verona, la fatal, mai dire mai, intanto vincere in casa che è ora…
Forza Spal. Ancora frastornato da centinaia di chilometri che invecchiano il fisico e ringiovaniscono i pensieri. Pochi e bellissimi, questi siamo…

DI RITORNO DA GIULIANOVA ALTA
A TUTTE QUELLE DONNE CON DUE PALLINE GRANDI COSI’

di Luigi Telloli

Dedicato a Sandra, Barbara, Lara, Sabina, Olga, Elisa, a chi non conosco o dimentico, perché siete grandi, con tutta quella pioggia e la mancanza di lamenti. Perché meno male che ci sono tante zie acquisite, lungo quest’Italia di lunghe trasferte e scialbi pareggi, chi ti copre, chi ti ricorda di coprirti, chi ha sempre un pacchetto di scorta e chi col proprio sorriso ti fa dimenticare tutto quello che non va.
Questa volta mi ero svegliato con l’occhietto furbo… col cazzo tempo avverso che mi freghi… oggi ho un giubbino e un eskimo, le intemperie non ci faran paura. Il viaggio scivola via quasi in discesa, il lungomare autostradale anconetaneo è tra i tratti più belli da percorrere, a ogni curva il mare sembra volerti accogliere tra il suo ondeggiar che s’infrange su scogli e banchine frangiflutti (?), piove, non piove, piove.
Alla seconda sosta fisiologica il gruppo si ricompatta, ci si conta, siamo il numero buono per una tavolata di pesce e goliardia, così sarà. Tuttavia il pasto bisogna guadagnarselo, e quindi tra tornanti di montagna e rotonde alle quali ben siamo abituati, scopro che Giulianova  è anche Giulianova alta, peccato, avrei voluto il mare più che i suoi frutti.
Mentre noi non ci si accorge della gente, di certo la gente di noi si accorge, rumorosi abbastanza ma tuttavia civili nei limiti incerti di quella che è detta educazione. Le ore scorrono, ammazzacaffè e caffè si invertono di fascia e il dolce non lo vogliamo (questione di tempo, nient’altro…).
Per tempo siamo allo stadio, ringrazio me stesso per essermi cambiato di giubbino poco prima di entrare, ogni tanto qualcosa di buono combino! Pronti e via, nemmeno il tempo di acclimatarsi e il Bazza si rompe, nemmeno il tempo di capire ed è gol, gran gol di, di, di CIPRIANI, e di TACCO per giunta!!! Meraviglioso, all’esordio in C1 (o lega pro che dir si voglia…), dopo un paio di minuti firma una rete eccezionale, naturalmente la sfiga conserva i suoi dieci decimi e qualche minuto dopo la traversa dice no ad Andrea Migliorini su punizione.
Nel secondo tempo loro ci raggiungono con un rigore, Cipriani lotta ma l’arbitro di fischiare non vuole saperne; nel finale Ale (Marongiu) quasi riesce, con un bel tiro da fuori, a portare a casa tre punti che da Taranto ci mancano (!).
Io mi auguro che Cipriani non faccia come Succi e Moro (esordi con gol e poi persi nella mancanza di finalizzazione), io spero che questo ragazzo abbia pagato dazio con l’enormità di sfighe subite, perché questo è buono sul serio (gol alla Crespo a parte…).
Capitolo curva, ieri a mio avviso a lunghi tratti eccezionale, non si possono avere i numeri dello scorso anno tanto per pescare nella storia recente, ma siamo stati belli senza retorica, con i cori pro presidente, con l’applauso che abbiamo tributato alla curva Giuliana (?) per quel coro pro Federico Aldrovandi, giusto alla fine di una settimana in cui qualcuno s’è permesso d’insultare l’autrice del libro alla sua memoria.
Questo “di ritorno da…” è per una persona che mi auguro possa rimanere a lungo al timone di questa nave (società…), di questa piccola città, in sottofondo, per l’appunto, Piccola Città, F. Guccini, altro tra i “bolognesi” che mi sanno regalar gioie ed emozioni…
In ultimo, la dedica più sentita e personale è per mio fratello Lucio, a distanza di un anno il dolore è lo stesso, ma solo non lo sarò  mai. Ti voglio bene, ciao frà…


Di ritorno da Andria, malinconica BATtaglia
di Luigi Telloli

Iniziamo male. La sveglia suona bastarda a un quarto alle sei, io sono malato, in venti minuti devo docciarmi, vomitare, colazionarmi ed evitar di dimenticare tutto ciò che mi occorrerà per questa lunga trasferta. Parto, molto combattuto, fisicamente non ci sono, mentalmente idem.

Giunti a Ferrara, base di ritrovo per la nostra partenza, scorgo un paio di trasfertisti, all’appello manca il quinto, che con quarto d’ora accademico di ritardo sarà dei nostri, palesandosi nel punto di ritrovo in condizione, anch’esso, pietosa.

Provo inutilmente a condizionare la “smacchinata” col mio nervosismo, alla terza rotonda mi viene inequivocabilmente proposto di ascoltare i motorhead e non rompere tanto i coglioni, che tempo ce n’è. Figa mai, eh? Zero che zero, tutto regolare, possiamo partire.

Nemmeno giunti a Bologna ho l’impressione di non farcela, chiedo invano di fermarci, la prima sosta è Fano. Dove cazzo è Fano? Finalmente a Fano m’accorgo d’esser in uno stato allucinatorio modello peyote, willy il peyote, i colori li percepisco distorti, i suoni mi arrivano soffusi ma isterici, ho dimenticato di togliere occhiali e cuffie dell’mp3… Radio corsa dice che a Pescara siamo a metà verso la nostra meta, le prime birrette s’arrendono ormai vuote, noi non potremo mai esser musulmani con le quantità di maiale che ingurgitiamo durante il viaggio.

Si conviene per un’altra forzata sosta, puzza nauseabonda, qualcuno prova a giustificarsi dicendo che viene da fuori. La giornata, tuttavia, è bella, soleggiata al punto giusto. La Puglia, al solito, è infinita, il lago di Lesina sembra un mare, o forse era veramente il mar che ci pareva il lago di Lesina! Al casello ci si ritrova tutti, indipendentemente dall’orario di partenza, attraverso le soste, tutto si riequilibra, come dice il mio autista i gran premi si vincono con i pit stop.

Lo stadio degli ulivi è piccino e la curva andriese è caldissima, un gran bel tifo, nessuno scazzo, colorata, biancazzurra anch’essa e tambureggiante. Noi siamo splendidi rapportati al numero, sosteniamo la squadra dall’inizio e ben oltre la fine, Ferrara canterina torna a casa sorridente, ci crediate o no, questa la verità di chi era presente. Ho trovato strana, o quanto mai inusuale, la mancanza di “sicurezze esterne”, ho trovato patetica la zoommata su documenti, biglietto e facce, una per una… mi tagghi su facebook buon questurino?

Zero a zero, di cui tanto s’è detto e tanto si dirà, nel primo tempo ho l’impressione di “rischiar” di vincerla, nel secondo, pur in superiorità ho la netta e nera sensazione di prenderlo in quel posto. Viene espulso il loro capitano e non se ne accorge nessuno in curva ospiti, debutta Marongiu tra i Pro e non se ne accorge nessun altro.

Il ritorno naturalmente vive di mille umori differenti, io torno ad esser nervoso causa pesantissima influenza, di certo tornarsene da Taranto con tre punti in saccoccia mi è sembrato un po’ più lieve come ritorno… In ultimo, una, mi auguro nemmeno troppo, personale riflessione sull’Italia che abitiamo: è uno schifo assoluto il fatto che non sia stato osservato un minuto di silenzio per le vittime di Messina, per quello che è stato definito un disastro previsto, è uno schifo punto e basta, il fatto che questo silenzio (coperto d’improbabili applausi che mai condividerò), sia stato osservato solo sui campi della Sicilia e in quegli stadi che ospitavano compagini sicule. Meditate gente, meditate… Forza S.P.A.L., Gigio.


Di ritorno da Taranto, felici e (con)vinCENTI

di Luigi Telloli

Infinita, estenuante, corroborante e sorprendente. Praticamente ri-partirei ora, inalando tutti gli odori del giorno passato, ripercorrendo le ore come un film, avanti e indietro senza stancarmi mai. Frastornato dalla partenza nel cuore della notte, come Linus, inseparabile dal mio cuscino giallo; giungiamo alla “punzonatura” in evidente stato comatoso, rispondo per monosillabi, la miglior forma riposa. A ogni insegna luminosa degli autogrill, appoggio le mani al vetro elemosinando ristoro, ne conto sette prima di poter effettuare il “risveglio celebrale” con la tanto agognata colazione on the road, cappuccino ed Artic Monkeys, occhi gonfi sempre presenti.
Attraversare la notte con calma e ritrovarsi il giorno in faccia, attraversare l’Italia in giornata, strettini e contenti, colazione abbondante e sentimenti veri. Ventiquattro ore, più che un giorno, una vita. Il tempo di un passacuore e mi gioco il Molise, sarà lo stesso nel ritorno.
In macchina aleggia un aria di simpatia che proprio ridere non fa. Alla quarta ora di viaggio, nemmeno a metà, lo scoramento aumenta, ci vengono in soccorso un paio di Moretti (birre, non individui) che, abbinate a panino con crudo sgrassato e pastina di gomma, degna di Bar sport di Benni, esaltano lo spirito del viaggiare.
Nel Tavoliere delle Puglie Tania Cagnotto lancia allusivi messaggi mentre il vero popolo di migranti che anima la domenica, colora le aree di servizio di bianco candore e variopinte corriere, tutti da Padre Pio, mah… anche questa è l’Italia, bisogna pur prenderne atto.
Bari, Foggia, Barletta, una dietro l’altra, ci siamo quasi, il corridoio di acciaierie nel quale ci addentriamo è la riprova di esser sulla strada giusta, infatti dopo qualche chilometro Taranto si svela, soleggiata e scultorea, in un inverosimile connubio di barche, rocce, palazzi antichi e traffico caotico e rude.
Giunti sul lungomare non resisto al richiamo del mare, se indosso un costume da dodici ore avrò le mie ragioni… E fu così che lo scherzo divenne realtà: in un attimo sono sul lungomare in costume, il più è trovare il sentiero giusto e poi via, a nuotare nel Golfo, coscientemente distratto dal tutt’attorno, altri s’aggiungono alla mia demenza senile, la gente ci fotografa, la partita dista tre ore, io me ne starei qui una vita.
Ci ricomponiamo e, mentre i miei compagni di viaggio s’indirizzano verso Gesù Cristo, eccellente ristorante cittadino, io mi unisco ai ragazzi e in una quindicina ci godiamo l’ombra di alberi strani; poi l’inverosimile, scoppia un diluvio, i bordi delle strade sembrano fiumi in piena, il settore ospiti è scoperto, se leggenda dev’esser, che leggenda sia…
Incommensurabili, in venticinque pioggia o chilometri che sia. Il primo tempo non si canta, gli striscioni riposti all’asciutto, ma ecco l’ennesimo colpo di scena, il Bazza s’eleva, la palla entra, è tutto vero. Dopodiché Luis con la complicità avversaria, mette dentro lo zero a due… ci auto-cantiamo non usciamo più, ahahah. Nel secondo tempo ognuno ci mette la voce, le mani, in campo ci mettono i coglioni con una prestazione sontuosa, nemmeno il loro dimezzare lo svantaggio nel finale ci preoccupa, oggi Ferrara deve portarla a casa. Per venti minuti buoni cantiamo sulla melodia di Abbronzatissima di Vianello: maciniamo chilometri/superiamo gli ostacoli/solamente per te/ahah/ancora qua…
Dopo l’alèalèferraraalèalè  del traghetto di Venezia è il coro che più mi sento addosso, fischia, fischia… scene di giubilo, delirio all’ennesima Potenza, espugniamo lo Iacovone e meravigliosamente tra lampi e fulmini torna il sereno su Taranto, non è vero per niente ma mi piace ricordare quel momento così.
Il ritorno è un misto di felicità esasperata e devastazione fisica, il più grande è l’autista, millesettecento chilometri, senza cambi, può guidare ininterrottamente, adoperando come unico ristoro un paio di gratta e vinci serviti a temperatura ambiente, questa vittoria è tua, perché questa volta sei stato tu a spronare la mia infermità mentale, a barattare l’ennesimo giorno della vita per qualcosa che non si ferma a Taranto, ma che, anzi, riparte, fino al giorno in cui diverrà eticamente insopportabile il legiferare altrui sui sogni nostri.
Alla fine resta il tempo e il pensiero per un ultimo saluto a Brian Filipi, quel minuto di silenzio era “anche” tuo,. Ciao.

Di ritorno da Ravenna, centro storico…

… Qui non è più vero niente…
La prendo lunga, circumnavigando un intero mare di svilimento e ricorsi storici…
…la mattina scorre lenta, una rapida lettura della pagina sportiva e poi fuori, con la mia bastardina Olga; ad un certo punto mi chiedo chi è al guinzaglio di chi, a testa bassa mi lascio portare per le strade del mio paesino, c’è una partita importante oggi, vorrei partire subito ma dobbiamo aspettare un amico che esce dalla fabbrica dove lavora alle 14, dobbiamo evitare che le due nostre splendide amiche partano sole e quindi le omaggiamo della presenza di un compaesano che si presta (bella forza!) a farle da bodyguard per un pomeriggio.
Allergici alla statale Romea decidiamo per il nostro tour itinerante per le valli…
Il clima è disteso, qualche timida goccia di pioggia quale lieta compagnia.
Poi…
Poi, qui non è più vero niente e tutto è il contrario di tutto.
Tant’è che posso scrivere col cuore e la sincerità che chi mi “conosce” mi ha sempre ricamato addosso, come una bandiera che sventola fiera, in quel cielo che, pioggia, sole o vento che sia, sempre biancazzurro sarà, tant’è che qualcuno questo articolo lo liquiderà con un “fazioso” qualsiasi…
In trent’anni qualcosa ho visto, qualcosa ho capito…
Davanti allo stadio Benelli niente è come l’avevo immaginato, senza alcun motivo, in forma prettamente gratuita.
Giunto venti minuti prima dell’inizio, vedo una calca insolita per quell’ora, non vogliono far entrare gli striscioni, nemmeno quello per un ragazzo morto, le fiere ammaestrate calano le visiere dei caschi, antepongono tra il mondo civile ed il loro, uno scudo in plexiglass, i loro sguardi, non c’è che dire, trasmettono la dovuta serenità…
Passo interminabili minuti quindici a decidere del mio presente, ed allora mi rimangono tutt’ora impresse le parole di un amico… qualunque decisione prenda non mi sento a mio agio…
Si, perché non esiste proprio questo mondo, non esiste nemmeno nella più fervida tra tutte le immaginazioni, così come non esiste nemmeno l’elasticità mentale come mi fanno notare…
Combattuto tra scene inquietanti perché se a questi gli salta il grillo, ci van di mezzo tutti, decido che è ora di dire basta, basta a questo modo, nemmeno troppo celato di esser presi per il culo, basta, con questi atteggiamenti costruiti ad arte, basta.
…ok, non riesco proprio a prendere sonno, vorrei dire che sono già mezzo dormiente ma è il solo frutto del ricordo…da una parte musi iniettati di qualcosa di simile al veleno e dall’altra visi di persone, nonostante (il) tutto sorridenti, in gita a Ravenna, chiedendo acqua alle vecchiette ai balconi, chiedendo, a chi alla finestra, la possibilità di poter usare il bagno, e soprattutto gettare le cartacce negli appositi cestini.
Ieri mi è stato vietato di entrare allo stadio, munito di regolare tagliando con annessi documenti, mentre, chi, già dentro al settore ospiti, volendone uscire, si vedeva negare questa stessa volontà, ma qui non è più vero niente, nemmeno gli scudi premuti contro le vite delle persone, quelle stesse vite che non valgono il declassamento, marginate in una tessera da consumatori, consumatori di uno spettacolo che sempre sarà meno tale.

E adesso per la strada la gente è come un fiume, il terzo reparto celere controlla, non c’è nessun motivo per essere nervosi mi dicono, agitando, i loro sfollagente e io dico, non può essere vero e loro dicono…qui non è più vero niente… (Francesco De Gregori)

Giunto a casa ieri sera ho guardato mamma, le ho raccontato, è stata in silenzio ad ascoltare, per niente tranquilla come non lo son stato io, vedo la sua sigaretta che quasi le si spegne tra le dita e lei dopo le parole di suo figlio, quasi rapita mi dice che è fiera di me, quella è la più vitale ed indispensabile di tutte le verità…

Di ritorno da Auronzo di Cadore. Sensazioni, impressioni, il racconto curvaiolo della giornata


IN VIAGGIO CON LA SPAL

di Luigi Telloli

Con i piedi nel lago! … Partiamo dal qui ed ora (hic et nunc), il qui ed ora odierno significa giungere in un posto meraviglioso, riappacificarsi con sé stessi e col mondo, togliersi le scarpe e immergere i piedi nel gelo del lago, per i nostri sensi rigenerante come le buone notizie…

Biancazzurro ovunque ed è di per sé un ottimo inizio; incrociamo decine di piccoli Pandev ovunque… Poi dicono che sia una razza in via d’estinzione… Lo stesso Pandev ma anche Zarate proviamo ad ingaggiarli: pre, durante e post partita, millantando le delizie estensi…

I ragazzi cortesemente declinano… In campo una buona Spal, Bedin catechizza i compagni di reparto e traccia la via, nessun bastian contrario. E chi ben inizia…

Non ci resta che seguire la rotta e imbarcarci, tra qualche domenica questo mare sarà agitato, ci parrà d’essere incapaci di domarlo, ma tutti uniti ricominceremo a navigar, a vele spiegate con tante cose da capire, con il vento nei capelli e le nostre illusioni d’eroi d’altri tempi, nella speranza, non più cieca, di averlo trovato il nostro tempo.

Tutti uniti, sostenendoci gli uni agli altri troveremo quel giusto momento in cui gridare all’Italia intera: siamo tornati!

Verrà quel momento in cui i nostri sorrisi saranno un unico riso e quel giorno ci scrolleremo di dosso le noie della vita quotidiana e dopo aver pasteggiato abbondantemente al nostro banchetto, ci guarderemo negli occhi, fintanto che il più coraggioso dirà: questo è solo l’inizio… gli altri lo seguiranno.. Della partita la cosa che più mi ha frastornato è stato il pubblico, eravamo in tanti, scrivo eravamo perché per una volta qualcosa accomunava due tifoserie, eravamo in tanti e belli… alcune di più!

Sembrava quasi una partita di campionato, struggenti i cori per i nostri due angeli volati loro malgrado nel cielo… Gabriele e Federico, applausi reciproci e veri, due ragazzi che quando ci penso mi rendo conto del dono più grande che m’ha fatto mammà… non mi sono mai state regalate armi giocattolo…

Trovo uno schifo la violenza, tutto ampliato all’ennesima potenza quando questa è perpetuata all’infinito, quando è lo stato ad armare la mano che spara ed i manganelli che si rompono sulle schiene… Vomito ininterrottamente da una vita, vomito da quando non si porta rispetto per questi, tra tanti angeli… Per Federico, per Gabriele…

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