VITA DA TALENT SCOUT. GENNARO CIOTOLA, UN OSSERVATORE SPALLINO A NAPOLI

Come hai deciso di fare il talent scout?
“Diciamo che la passione per il calcio mi ha letteralmente contagiato sin dalla nascita. Ti basti sapere che quando sono nato, a Napoli il 1 aprile del 1990, nel padiglione della stanza dove si trovava mia madre partoriva anche la moglie di Ciro Ferrara. Grande bandiera partenopea. Siamo nati insieme io e sua figlia. Vennero quindi a trovarlo tutti i grandi giocatori del Napoli: Careca, Alemao, c’erano tutti… E io, grazie a mio padre, sono stato tra le braccia del più grande. Il dio del calcio. Maradona. Peccato solo non aver avuto una macchina fotografica. Quindi posso dire di essere nato sotto il segno del Calcio. Quello con la C maiuscola. Scoprire giovani talenti, poi, è una cosa che mi ha sempre interessato. Da piccolo vedevo in tivù i vari Ronaldo e Batistuta, e mi chiedevo “chissà com’erano forti da piccoli…”. Da li è nata questa mia passione per lo scovare talenti in erba”.

Hai avuto dei maestri?
“Ma, se devo eleggere qualcuno a mio maestro direi sicuramente il signor Lauricella (il responsabile del Settore Giovanile spallino, ndr) per il quale, ci tengo a dirlo, ho la massima stima. Mi dà sempre un sacco di consigli utili che mi aiutano a crescere in questa professione. Un’altra persona che mi ha fatto un po’ da punto di riferimento è mio fratello, che ha giocato da professionista fino in serie C1 con la Turris”.

Cosa cerchi in un ragazzo quando lo segui? Da cosa si vede se qualcuno ha le potenzialità per essere “lanciato”?
“Beh, quando un ragazzo ha veramente talento si vede subito. Spicca rispetto agli altri. Personalmente credo che il vero lavoro di un talent scout non sia tanto trovare chi mostra talento, quanto cercare chi ha un potenziale nascosto, inespresso, che con il lavoro giusto può essere tirato fuori. Ecco, questi sono sicuramente i soggetti più difficili da individuare. Serve molto intuito. E a volte puntare su di loro vuol dire scommettere, perché magari ci si è sbagliati a valutare questo loro “tesoro nascosto”. Però, ripeto, credo che sia questo il vero lavoro di un talent scout. I grandi fenomeni li possono vedere tutti”.

Come sei arrivato a collaborare con la Spal?
“Nel mese di giugno organizzai a Napoli un raduno per visionare dei giovani. Lì invitai anche il signor Lauricella. Il raduno fu un successo, anche se visto il periodo molti ragazzi erano già in trattativa con alcune squadre. Però si è rivelato comunque un lavoro in prospettiva per l’anno prossimo e soprattutto mi ha consentito di prendere contatti con la società. Può sembrare strano ma lavorare con la Spal è sempre stato un mio desiderio. Vicino a casa mia c’è una caserma dell’esercito. E li conobbi una persona, anche abbastanza importante nell’arma, che era proprio di Ferrara. Io all’epoca giocavo ancora a calcio e lui, quando parlavamo di pallone, mi diceva sempre “ prima o poi ti porto alla Spal”. Io avevo dieci, undici anni. Non sapevo niente di questa squadra. Però mi rimase in testa. Purtroppo quella persona morì qualche tempo dopo senza riuscire a mantenere la sua promessa. Ma oggi, ad anni di distanza, eccomi qua. A collaborare proprio con la Spal di Ferrara. E mi fa molto piacere. Si vede che era scritto nel destino…”.

Si può dire che i giovani sono il suo mestiere. Cosa ne pensi del settore giovanile della Spal?
“La Spal lavora molto sul settore giovanile. E questo mi piace. Come mi piacciono tutte le squadre che puntano sui vivai. E’ questo il futuro, c’è poco da fare. Aggiungerei inoltre che l’attenzione maggiore dovrebbe essere rivolta ai giovani di casa nostra. Agli italiani. Non solo per il bene delle squadre ma, in un quadro più ampio, per il bene anche della nazionale e di tutto il calcio italiano. Non è possibile che in Italia dei ragazzi di vent’anni siano ancora nelle squadre Primavera. In altri paesi, come la Spagna, alla stessa età, sono già in prima squadra in serie B, oppure hanno addirittura già esordito in Liga. Per puntare sui giovani servono investimenti, certo. Servono strutture, campi. E la volontà societaria di portare avanti progetti anche a lungo termine. Tutte cose che per diverse ragioni spesso non sono la priorità dei club. Ora io parlo della Campania, la mia terra, che conosco meglio. E mi piace paragonarla, come tutto il Sud Italia, al Sud America. Calcisticamente, s’intende. Cioè una terra con grandissime potenzialità. Con tanti giovani che potrebbero diventare delle stelle. Ma tutto questo è strozzato dalla mancanza di volontà di andare in quella direzione. Che però, torno a dire, è il futuro”.

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