ALESSANDRO ROSSI, IL TECNICO DEGLI ESORDIENTI E UNA VITA DA ALLENATORE-EDUCATORE DELLE GIOVANILI

Alessandro Rossi classe ’66 di Rovigo, allenatore delle giovanili, va ad infoltire la colonia rodigina nella società spallina.

Mister per la stagione agonistica 2011-12 quale formazione le è stata affidata?
Quest’anno alleno gli Esordienti ’99 che disputeranno il campionato dei giovanissimi professionisti fascia b. Dopo una fase di preparazione abbiamo esordito domenica (2 ottobre, ndr) in campionato con una vittoria per 1 a 0 contro il Rimini”.

Da quanti lavora per la Spal e quali categorie ha avuto in gestione?
È la terza stagione che sono qui a Ferrara. Il primo anno ho allenato il gruppo dei Pulcini del ’99, poi ho avuto in gestione i Giovanissimi nazionali formato dal gruppo dei ragazzi del ‘96 ed è stata una splendida cavalcata perché abbiamo raggiunto per la prima volta nella storia della Spal le finali nazionali ed è stata una grandissima soddisfazione. Ora i ragazzi del ’99 mi hanno aspettato e son tornato con loro”.

Prima della Spal quali esperienze ha fatto?
Questo è il mio quinto anno di calcio professionistico. I primi due anni ho allenato a Rovigo quando la società era in C2 poi l’anno che sono retrocessi sono passato alla Spal. Prima ho lavorato con settori giovanili di squadre dilettantistiche. Ho fatto solo due anni ad inizio carriera come allenatore di prime squadre, ma ho capito che con il lavoro nel settore giovanile ci sono più soddisfazioni”.

La categoria degli Esordienti rappresenta un punto di raccordo tra l’attività di base della scuola calcio che rientra nel settore scolastico e l’attività agonistica. In questa fase come interviene l’allenatore per spiegare ai ragazzi la transizione?
È un compito molto delicato. Perché il calcio che ho vissuto fino ad oggi negli allenamenti e nelle gare è stato un calcio prettamente ludico, dove gli aspetti di tattica individuale sono molto blandi rispetto a quello che invece può essere l’insegnamento della tecnica di base. Già dall’ultimo semestre dello scorso anno i ragazzi hanno giocato a undici su un campo con dimensioni inconsuete per loro e dove iniziano a subentrare problematiche che sono di capacità, adattamento spazio temporale perché allargando il terreno di gioco ci sono traiettorie nuove da gestire, spazi da coprire e da attaccare. C’è  un insieme di nuove dinamiche che rendono non semplice questo passaggio. È un’età delicata perché c’è anche una differenza fisica e di maturità da ragazzo a ragazzo molto grande. Abbiamo già il ragazzo strutturato fisicamente e maturo sotto l’aspetto mentale che acquisisce subito le informazioni, la capacità di concentrazione che si va a proporre e invece c’è il bambino che ha la necessità di fermarsi di guardare le foglie o altro. Non è semplice mettere assieme queste condizioni che sono tra le più svariate e cercare di lavorare sul progetto che ognuno di noi allenatori si fa all’inizio della propria stagione per raggiungere un obiettivo prefissato. Noi nel primo semestre andiamo a lavorare un po’ sul globale trasmettendo delle nozioni di tattica individuale di base da trasferire ai ragazzi cercando di farli stare al meglio in campo, ma con attenzione al soggetto e dunque ai movimenti di ogni singolo giocatore lavorando in maniera continua anche sulla tecnica di base fondamentale per i giocatori per esempio lo stop della palla. Il mio compito è quello di consegnare all’allenatore dell’annata successiva gente che sia in grado di gestire i fondamentali e fare quello che un ragazzo che gioca a calcio deve saper fare. Poi nel secondo semestre occorre approfondire di più il discorso tattico perché ci confrontiamo con ragazzi di settori giovanili professionisti dell’Emilia Romagna. Dopo aver lavorato nel precampionato e aver affrontato il Rimini abbiamo visto che siamo al loro stesso livello forse un po’ meglio, poi avremo il Cesena che sarà un banco di prova importante non per il risultato in sé, ma per verificare le metodologie di lavoro sulle quali ci dobbiamo confrontare per capire se stiamo andando in una direzione corretta o invece c’è qualcosa da rivedere”.

Oltre all’aspetto tecnico e tattico a quest’età il mister deve fare anche un po’ da psicologo visto che per la prima volta i bambini affrontano l’esclusione dalla gara, la panchina o costretti a giocare pochi minuti?
Su queste argomentazioni c’è stato un confronto prima dell’avvio della stagione con i responsabili della società. Credo che il lavoro sulle giovanili di una società professionistica quando si arriva a questa categoria debba lavorare per forza di cose in una maniera premiante per chi si allena bene e per chi ha capacità evidentemente superiori rispetto a quelle degli altri. Nulla togliendo a chi oggi magari ha delle difficoltà che può colmare con il tempo e il lavoro. Noi lavoriamo sulla disponibilità, nel momento in cui vediamo che c’è un ragazzo in ritardo rispetto agli altri, ma manifesta in maniera chiara la disponibilità al lavoro e al sacrificio si tiene in squadra e si aspetta perché è giusto così. Sono ancora talmente piccoli per dare dei giudizi come “non saranno mai dei calciatori” che è meglio frenare. Ci sono delle dinamiche che cominciano a segnare un po’ il ragazzo nel momento in cui dovesse partecipare meno rispetto a come era abituato e comincia ad avere delusioni, ma è normale che sia così. Questa società non fa opera sociale, ma calcio professionistico. Il nostro compito è quello di formare e lanciare ragazzi promettenti e vincere campionati. Si lavora sul globale però si va a cercare l’eccellenza. Negli ultimi tre anni abbiamo sfornato giocatori per top club ciò significa che è stato fatto un buon lavoro alla base. Due portieri: Costantino è andato alla Sampdoria poi alla Juventus (ora è al Latina) e Gollini alla Fiorentina poi passato al Manchester e l’anno scorso Masiero, un ’96, che è andato al Milan. Una società lungimirante in un periodo di crisi economica come questo in grado di tirar fuori in tre anni altrettante eccellenze sia un dato ottimale per continuare a investire sul movimento, perché vuol dire che anche noi a Ferrara riusciamo a fare un ottimo lavoro”.

Lei che lavora con i giovani ha ricevuto pressioni dai genitori, poiché ciò accade sempre più spesso nel calcio giovanile di oggi?
“Io credo che la tv abbia fatto tanto danno al nostro movimento. Qui l’attenzione è molto alta nel gestire queste dinamiche. Noi abbiamo diciassette ragazzi e un ragazzo dello scorso anno non è stato confermato perché c’era un’ingerenza da parte del genitore valutata non idonea per questo tipo di società. Alla fine il ragazzo ha pagato le conseguenze della presenza troppo pressante del genitore”.

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