ARIDATECE BUTELLI: PROVOCAZIONE (E NEMMENO TROPPO) A UN PASSO DAL CAMBIO DI SOCIETA’. SPERANDO CHE VADA TUTTO BENE E CHE I COMPRATORI, CHIUNQUE SIANO, RISPETTINO L’ARS ET LABOR

Il tema, da sempre e di fatto, è uno solo. La Spal. Tutto, questo sito e tante altre cose molto più importanti, ruotano proprio e solamente attorno alla Spal. A quella maglietta a righe fini e alla passione che quella stessa maglietta genera da una vita nei suoi tifosi che non sono tantissimi perché c’è stato un buco generazionale dovuto a vent’anni di delusioni, ma sono comunque abbastanza per meritare quantomeno un po’ di serenità sportiva.
Adesso, ma anche ieri, è il tempo dei processi frutto della parola più attuale che mai. Esasperazione. Devo scrivere che mi è piaciuto molto l’editoriale di Paolo Negri su “La Nuova Ferrara” di domenica scorsa. Quando le cose vanno male, e qui vanno malissimo non male, è difficile soppesare tutti i vari aspetti ed è logico che in questa situazione il primo, se non unico, indiziato sia il gruppo dirigente quindi il suo primo rappresentante, il Presidente Butelli. Nell’analisi lucidissima che ha fatto il collega Negri pochi giorni fa, secondo me, c’era tutto, il bene e il male, di una gestione che doveva essere “diversa” in un mondo, quello del calcio, invece molto uguale. Provo a spiegarmi meglio senza passare subito, come succede spesso, per “butelliano”. E’ così, è evidente, ma non ho il paraocchi o, peggio, chissà quali interessi privati e nascosti. Una frase che fa il giro di Ferrara e di internet è una vecchia dichiarazione del Direttore Generale Pozzi nel bel mezzo di una polemica anti societaria della prima ora. “Butelli – urlò il Direttore – ha i soldi per fare quel cazzo che gli pare”. Invece no. Ma non poteva dire diversamente Pozzi, anche se lo disse male e con tono sprezzante, e non solo in quel contesto. Butelli aveva (passato molto remoto perché oggi sono finiti) i soldi per gestire in maniera se volete naif o, meglio, ambiziosa e per certi versi rivoluzionaria una società di calcio. Facciamo un passo indietro. Butelli ha comprato la Spal in Seconda Divisione insieme con tre soci e si è ritrovato un mese dopo sì e no in Prima Divisione senza nessuno al fianco se non lo stesso Pozzi e l’unico ferrarese, Gessi, che hanno lavorato per il club ventiquattro ore su ventiquattro peraltro anche loro, come tutti, senza ricevere lo stipendio da mesi. Una gestione, ritorno ancora indietro, quella in parte rimasta sulla carta da parte di questa proprietà, basata sulla voglia di inventarsi un modo di fare calcio fondato sulle idee più che sui soldi. Lo scriveva bene, sempre Negri, utilizzando il bell’esempio del programma di Sky di qualche giorno fa. Un programma nel quale si incensava la Spal e il fotovoltaico come unica, vera, reale rivoluzione dell’ultimo ventennio attorno al pallone. Il problema, uno dei tanti per la verità, è che nel calcio vincono o quantomeno imperversano quando va bene (!) i Preziosi, i Cellino, gli Zamparini e compagnia brutta. Perché qui, salvo rarissime eccezioni, il più pulito la rogna ce l’ha davvero.
Comunque sia il crollo verticale della popolarità della società ancora per poco attuale è stato causato da un grave errore che persino io, filo societario dal primo minuto, anzi dal minuto prima, ho più volte sottolineato. La comunicazione toppata in pieno. Il popolo spallino, quindi anche la stampa, avrebbe preferito sapere la reale situazione. Peccato che la crisi economica abbia causato i problemi, che oggi vedono anche i ciechi, con le banche e che questa realtà sia ora un dato di fatto che fino a ieri negava anche la politica tutta o quasi. Dice: ma allora bastava dirlo. “Cari spallini di tutto il mondo unito, con le fideiussioni bloccate dalla Lega, con gli introiti del fotovoltaico che oggi nessuna banca ci anticipa, in questo contesto siamo letteralmente con le pezze al culo”. Giusto. Peccato che tutti i giorni i vari interessati alle operazioni che servivano in queste senso ribadissero che a fronte del credito – trentacinque milioni di euro! – alla fine un congruo anticipo sarebbe comunque arrivato e adesso saremmo qui – finalmente – a parlare e scrivere soltanto di un gol sbagliato o di una vittoria o comunque soltanto di quel che avviene sull’erba. Invece no. Non parliamo di gesti sportivi da tempo e l’anticipo congruo non è mai arrivato perché nel frattempo l’Italia è andata in malora e le banche non ne parliamo. La negazione continua ha quindi, e anche comprensibilmente, portato a una popolarità pari allo zero, anzi al meno ventinove, di Butelli & C. e a questa esasperazione oggi insanabile.
L’eroe Butelli, prima cercato, voluto, richiesto, amato, contattato, sostenuto oggi, nella migliore delle ipotesi è un pirla, nella peggiore un mascalzone. Non è così ma è anche normale che l’esasperazione di cui sopra cancelli l’equilibrio. Almeno fino a ieri, quando sono cominciate a trapelare indiscrezioni sui candidati a rilevare la società che hanno condizionato l’umore della tifoseria impegnata a cercare notizie e referenze – al giorno d’oggi basta google – sul gruppo romano perché su quello milanese (ammesso che presenti un’fferta reale nelle prossime ore) nessuno sa ancora niente di certo e quindi non c’è ancora motivo di preoccuparsi o esaltarsi.
Su una cosa sono, anzi siamo, tutti legittimamente d’accordo: in queste ore deve, ripeto: deve, concretizzarsi il passaggio di società. Personalmente mi appassiona poco il tifo a scatola chiusa per questo o quel gruppo per un semplice motivo. Non credo esistano persone per bene da tutti i punti di vista che abbiano soldi veri e interesse sacrosanto per rilevare una società in Lega Pro, Spal compresa. Credo, infatti, ma è un giudizio assolutamente personale quindi criticabile anche se coerente, che comunque sia e sarà, una certa idea di calcio che continuo utopisticamente a sostenere sia fallita. Non ho, e non penso ce l’abbia veramente nessuno, la più pallida idea di che cosa sia meglio per la Spal. Qualcuno spinge addirittura per il fallimento nella speranza che il vecchio salvatore, Tomasi, (ri)faccia il miracolo. Davvero non lo so. So soltanto che anche l’altra volta il miracolo di Tomasi, perché di miracolo si è trattato, è andato in scena a dieci minuti dalla chiusura totale di ogni speranza di sopravvivenza. Il salvatore vero, rassegnatevi tutti, non arriverà. Il presidente fico, magari non ignorante, possibilmente bello e con un malloppo di soldi grosso così non esiste. Tantomeno a Ferrara. L’ha detto anche il Sindaco, ieri. Non ci crede nemmeno il più ottimista degli ottimisti che un estense, ma anche uno “straniero”, qualsiasi possa spuntare all’improvviso nonostante di gente con i soldi ce ne sia eccome. Ma la crisi è reale, la Lega Pro la conosciamo e anche il calcio tutto può essere un investimento redditizio soltanto se dietro all’imprenditore di turno ci sono altri interessi e non sempre leciti.
Staremo a vedere e intanto stiamo qui a trepidare. Ormai manca davvero poco. Questione di ore e si dovrà vendere a chi mette sul piatto un’offerta vera perché di fatto l’attuale proprietà non metterà in tasca un euro se non, a spizzichi e bocconi, e ancora non è detto, da quello che arriverà dal fotovoltaico. Una cosa indiscutibile che passa insosservata, e spero sia soltanto per la solita e comprensibile esasperazione, è che se c’è qualcuno in fila per prendere la Spal è soltanto per quello che alla Spal e attaccato e cioè il solito fotovoltaico. Vorrei pensare, e quindi scrivere, che è il nostro blasone, la nostra storia, il nostro nome a suggerire investimenti fatti con il cuore. No, ragazzi. Non è più così e da un pezzo. L’unica, reale garanzia in questo senso sarebbe, quindi non è il nostro caso, un ferrarese pieno di soldi da buttare e pazzo per la Spal disposto a comprarla adesso, e non dal fallimento. Ci vogliono (pare) più o meno due milioni e mezzo di euro per coprire i debiti e assicurare la gestione fino a giugno. Ma questo benefattore o questo tifoso vero non esiste. Insisto: profeti in patria, a queste latitudini nel mondo dello sport in generale, non se ne vedono da un secolo. E anche quando si sono visti hanno fatto una brutta fine, magari pagando gli stipendi a giocatori e dipendenti ma con i soldi dei correntisti Carife, cioè con i soldi vostri-nostri. E allora, visto che oggi non si può riabilitare Butelli, ormai da mesi alla gogna, tocca aspettare e sperare. Lo scrivo subito: stranamente, almeno stavolta, sono molto pessimista. Non ci resta che piangere, sempre secondo me, sperando nell’ennesimo miracolo. Che chi arriverà, cioè, metta in moto una gestione trasparente senza secondi fini e abbia l’onestà di rispettare una passione ai minimi storici ma pur sempre importante, sincera e ineguagliabile. Perché tifare Juventus o Milan o Inter o quello che vi pare è bello e gratificante ma soffrire ogni maledetta domenica magari senza avere nemmeno più il televideo che dà i risultati in tempo reale e senza poter vedere i gol in televisione è tutta un’altra storia ed è una fatica immonda che rende però più bello il giorno che prima o poi arriverà. Soltanto su questo resto ottimista. Arriverà di sicuro, quel giorno, anche se chissà quando. Temo infatti che morirò così, senza vederla quell’alba a righe sottili che se proprio ci dovete mettere un’etichetta o uno sponsor sopra mi piacerebbe fosse la scritta “Sauber” e che i giocatori venissimo presentati da Novaghemo e Monocura. Morirò invece senza tutto questo, spallinamente parlando. Coscientemente in direzione ostinata e contraria. Soltanto che invece di una bandiera nera e anarchica continuerò a sventolare quella biancazzurra.

 

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