LE PAGELLE, IL VOTO DI MIGLIORINI, GLI ALTRI TEMPI E SOPRATTUTTO IL RISPETTO DEI RUOLI

Come direbbe “quello”, mi consenta… Ecco, avrei voluto comunicare con… un comunicato stampa, magari inviato (ed autoinviatomi) all’1 di notte. Confesso che ne ho avuto la tentazione, a mo’ di provocazione, visto che ormai per le vicende di casa Spal sembra che non si possa prescindere dai… comunicati, appunto.
Ho desistito, credo sia meglio così. E tediare per tediare non punto sugli argomenti societari, che proprio non se ne può più: personalmente sono già preso da sfinimento. No, propongo una riflessione su un altro tema: le pagelle. Le pagelle dei giocatori stilate dalla stampa, e l’approccio della gente – dei tifosi – alle stesse. Un approccio che racchiude un discorso molto più ampio.
Personalmente ho sempre odiato le pagelle. A scuola, intendo. Ancor di più le odio giornalisticamente e calcisticamente. Perchè il giornalista non è un professore, e perchè è già difficile per un addetto ai lavori – tecnico, diesse od osservatore che sia – seguire e valutare dall’alto un solo calciatore durante una partita, figuriamoci se un cronista può pensare di poterne giudicare ventidue o giù di lì. E allora, mano sul cuore, massima attenzione possibile (e non sempre è possibile, specialmente quando le partite sono in notturna e tu intanto devi battere sul portatile per “portarti avanti” con il pezzo di cronaca) e ricerca dell’equilibrio. E, sempre, la volontà di non mancare di rispetto a nessuno umanamente e professionalmente. La speranza è riuscirci, la certezza è che mai si accontenterà tutti.
I giocatori, in primis. I giocatori che spesso, oggi come oggi, fanno telefonare dai genitori (o sono i genitori che si arrogano tale diritto) per protestare contro un voto od un giudizio. E parlo di giocatori di prima squadra, non delle giovanili. Negli ultimi anni episodi del genere mi sono capitati spessi. Ma non sono il calcio ed i suoi costumi, ad essere bacati. Sono semplicemente cambiati i tempi, ed il calcio altro non è che riflesso della società. Se prima esistevano educazione e rispetto dei ruoli, adesso il concetto è molto più labile. Io mi nutro del dubbio, mi tormento di interrogativi, mi confronto, accetto la critica ed i rimproveri. Ho sofferto e pianto per gli appunti mossimi a suo tempo (molto a suo tempo, purtroppo…) da un giovane difensore spallino per un’impostazione dell’articolo ed un titolo che non avevo deciso io. Sono stato attaccato ad un muro del vecchio sottotribuna da Adriano Mosele, ed appeso alla rete di recinzione del campo di Tabiano – dove la Spal era in ritiro – da Dario Bonetti. Ma gli aneddoti sarebbero tanti. Certo, come concepisco gli appunti, gradirei anche eventuali apprezzamenti se e quando ve ne fosse motivo. In ventitre anni di carriera professionistica, mi è capitato solo due volte: una da parte di Olivares ed un’altra da parte di Fabio Di Sole. Curioso.
Piuttosto, ad infastidirmi (e non credo che si tratti di una sindrome da “pelle sottile”) sono le rimostranze, definiamole così, degli sportivi nei confronti dei giudizi, delle pagelle, delle valutazioni. Massimo rispetto per le opinioni di tutti e mai ma proprio mai la presunzione di essere su un piedistallo, ci mancherebbe. Ma caspita, il rispetto deve essere solo unilaterale? Ed il rispetto dei ruoli? Io non so se sia una questione di mentalità, di educazione, di generazione, ma sono cresciuto in un’epoca in cui – se vogliamo riferirci solo al calcio – i giocatori facevano i giocatori, i giornalisti facevano i giornalisti ed i tifosi facevano i tifosi. Io, da tifoso della Spal, quando il lunedì mattina andavo a scuola e qualche decina di metri prima dell’ingresso del liceo mi fermavo davanti alle vetrine (sì, proprio le vetrine) della vecchia Gazzetta di Ferrara, dove erano esposte – attaccate con il nastro adesivo – le varie pagine, comprese quelle con le cronache sulla partita della Spal e relative pagelle, non mi sono mai permesso di contestare od ironizzare, di attendere di incontrare il giornalista in questione per poi rinfacciargli i suoi giudizi. No, confrontavo mentalmente le sue opinioni con le mie impressioni, e cercavo di arricchirmi grazie a tale confronto.
Adesso non è così, è cambiato tutto, non si può esprimere un parere che subito si solleva un vespaio. In relazione alla Spal, ad esempio, non puoi scrivere che Migliorini – per dirne una – ha giocato bene e sei subito preso di mira. Domenica, prima di Spal-Carpi, un tifoso, a voce alta, fingendo di parlare con un amico ma appositamente per farsi sentire, urlava “ma come si fa a scrivere che Migliorini è stato il migliore, eh come si fa?”. Si fa che è un’opinione, e basta. E si fa che prima di parlare bisogna leggere bene, perchè leggendo bene magari ci si accorge che Migliorini (voto 6.5 nella gara col Como: nella stessa partita 8 Capecchi, 7 Laurenti…) non è stato valutato il migliore in campo, pur avendo la classe, l’eleganza, la tecnica, la visione di gioco e l’intelligenza per esserlo molto più spesso di quanto magari lo sia stato finora.
Ormai tutti devono sindacare tutto. E non sul piano del confronto. Ma con un livore dialettico, una violenza verbale ed una presunzione che spesso spaventano. Ma la colpa di ciò è anche degli organi di informazione. Un tempo i giornali rivestivano anche un ruolo educatore. Leggere un articolo, pure in ambito sportivo (il giornalismo sportivo non è di serie B), era occasione di approfondimento ed apprendimento, stimolava ad ampliare il proprio bagaglio culturale, incuriosiva, era fonte di scoperta. Si leggeva per il piacere di leggere, e – quando un articolo ti conquistava – la speranza era che quasi non finisse, che si prolungasse il più possibile. Poi magari ti si aprivano nuovi orizzonti, perchè il calcio e la lettura del calcio possono essere strumento di conoscenza. Poi è cambiato tutto, o molto. Il giornalismo è diventato sempre più un prodotto. Un prodotto si deve vendere. Per vendere si cerca di imbonire il lettore, si fanno referendum, si lanciano sondaggi, si sprecano i “dite la vostra”, si finge – sapendo di fingere, ma chissenefrega – di voler coinvolgere il “cliente” assurgendolo a protagonista. Quando protagonista non è e non deve essere. Ma se tu lo fai sentire tale, lui lo si sente eccome. E si comporta di conseguenza. Anche da qui una deriva di costumi, di abitudini, di comportamenti, di decadimento socio-educativo-culturale.
Ci deve essere sempre rispetto dei ruoli e divisione dei ruoli. I protagonisti del calcio sono i calciatori, senza di loro non ci sarebbero né appassionati né giornalisti a scrivere di calcio. Vediamo dunque di comprendere e non invadere gli ambiti. Di tutti.

 

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