QUARANT’ANNI DOPO I RICORDI DEL GRANDE MARCONCINI: LA MIA SPAL, QUELLA DI MAZZA, CACIAGLI, MONGARDI, PEZZATO, DONATI… ERAVAMO UNA GRANDE FAMIGLIA

Sono passati all’incirca quarant’anni, quasi mezzo secolo, da quando Roberto Marconcini volava plastico fra i pali a difesa della porta biancazzurra, ma chi l’ha visto giocare ricorda come fosse ieri i baffoni che incorniciavano il volto massiccio di questo personaggio imponente dall’aria scanzonata. Ora quei baffoni non ci sono più, ma lo spiritaccio toscano di questo eterno ragazzo non è cambiato per niente. Ancora oggi, se gli parli di Spal, Marconcini si emoziona e ride di gusto, sciogliendosi ai ricordi di un tempo dolce, di un’epopea irripetibile. La sua carriera ebbe inizio nelle giovanili del Pisa, senza mai debuttare in prima squadra. Ora, il grande cerchio del destino ha riportato Marconcini a lavorare per la squadra della sua città.

Ha seguito in questa avventura il suo grande amico Donati, che prima di lei aveva lasciato l’Empoli: vi lega senz’altro un rapporto speciale, nato ai tempi della Spal di Caciagli.
“E’ la seconda volta che seguo Donati, perché abbiamo lavorato insieme anche a Lucca. Da toscani cerchiamo di aiutarci. Dai tempi della Spal non abbiamo mai smesso di frequentarci, tenendoci al corrente delle nostre vicende familiari”.

Spostandovi da Empoli a Pisa, Lei e Donati avete lasciato uno dei settori giovanili più organizzati d’Italia per uno dei più disastrati della Toscana.
“Ha detto bene. Alla zona di Pisa attingevano molte squadre toscane per le loro giovanili, come la Fiorentina, il Livorno, l’Empoli. Dopo vari passaggi gestionali societari non indolori, durante i quali si era sempre badato solo al risultato della prima squadra, ora il nuovo presidente del Pisa ha deciso di investire per ricreare il settore giovanile, da anni trascurato. Io e Donati anche qui lavoriamo con Lucchesi (già direttore generale di Roma e Fiorentina), come a Empoli. Il primo obiettivo è arrivare in fondo all’annata nel migliore dei modi, ma ci stiamo già muovendo per frenare la caduta libera. Poi ripartiremo l’anno prossimo per riportare la città a livelli da serie B, che le competono”.

Quali sono le sue mansioni?
“Mi occupo della gestione di tutti i portieri del settore giovanile, operando sul campo”.

Quanto è importante il settore giovanile per una società di calcio, soprattutto a questi livelli, e quali sono le basi per farlo funzionare bene?
“Per salvare la prima squadra bisogna credere nei giovani. Non serve andarli a prendere in Danimarca, Francia, Belgio… Quelli te li mandano i procuratori. Bisogna rimanere in zona, dove c’è l’amore per la propria città. A Empoli funziona così da tanti anni, con una rete di osservatori e un centro vicino alla città per dare continuità al settore giovanile”.

Il suo Pisa milita nello stesso girone della Spal, della cui situazione sarà senz’altro a conoscenza.
“A inizio anno abbiamo visto Pisa-Spal con Donati, e poi abbiamo parlato coi giornalisti di Ferrara. Dispiace che si faccia così fatica a trovare qualcuno che riporti la Spal non dico ai tempi di Mazza e Massei, ma a un livello che sia consono a una piazza dal palato fino, a una città con gente appassionata, che il calcio lo sente. Anche Ferrara merita una serie B”.

Che gruppo era quello della vostra Spal?
“Un gruppo che aveva legato tantissimo, e i risultati stanno lì a dimostrarlo. La forza della squadra stava nel fatto che eravamo una grande famiglia”.

Può tracciare un parallelo tra Mazza e Caciagli?
“Mazza viveva per il calcio, col quale si è tolto grandi soddisfazioni. Ha mostrato come si crea un settore giovanile, era come un padre, e aveva sempre una parola per tirare fuori il meglio dai suoi calciatori. Anche Caciagli era come un padre di famiglia, non solo perché divideva lo stesso spogliatoio della squadra, ma anche perché era sempre una persona raggiungibile e disponibile. Anche lui sapeva tirare fuori il meglio dai suoi calciatori, e noi abbiamo sempre dato tutto per lui”.

Quale aneddoto, tra i tanti, Le viene in mente su Mazza?
“Era il mio primo anno a Ferrara, e Mazza stava spronando il gruppo durante un allenamento. Longo (attaccante che ebbe poca fortuna nella Spal 1970/71: ndr) era reduce da un infortunio, si sentiva pronto e disse: “Domenica mi sento di esplodere”! Mazza gli rispose: “Vai là a esplodere, dove c’è quel cartellone pubblicitario a bordo campo!”. (ride)

Rende splendidamente l’idea del personaggio. E un aneddoto su Caciagli?
“All’allenamento del mercoledì mattina dovevamo sempre saltare la corda, che era tenuta a un capo da Caciagli, e all’altro dal massaggiatore. Io passavo vicino a Caciagli tanto da sfiorarlo, e lui, con un’espressione tipica toscana, mi diceva: “Ma cosa fai, baccello”? (altra risata) Questa cosa si ripeteva tutti i mercoledì, e ogni volta ridevamo. Questo ti fa capire il clima che si respirava e che gruppo era quello”.

Le chiedo anche un ricordo del vostro capitano, il grande Lucio Mongardi.
“Donati, Pezzato e Mongardi erano come tre fratelli, stavano sempre insieme. Noi vedevamo la loro unione e gli andavamo dietro. Mongardi era trascinatore, umile e lavoratore. Ci spronava a fare il meglio, perché teneva tanto alla Spal”.

Altri tempi, eh!?
“Eh, sì! I giovani di oggi sono come assenti. Era un altro calcio, e noi ci si credeva un po’ di più. Si stava insieme a pranzo e cena, Mazza ci portava una volta a settimana a Porto Garibaldi a mangiare il pesce. Saper tenere il gruppo era importante, perché veniva prima di tecnica e tattica, e i risultati venivano perché si era più che amici”.

Il pubblico ferrarese l’aveva eletto a beniamino per via del suo carattere esuberante.
“Ero un trascinatore della curva. A me piaceva vincere, e tutte le domeniche trasmettevo questa carica ai miei compagni. C’era sempre la possibilità di fare risultato e il pubblico era caldo. Nei momenti di stanca incitavo la curva, e spesso poi il risultato cambiava”.

A questo punto le chiedo anche un aneddoto sul pubblico di Ferrara.
“Il mio primo anno a Ferrara giocava Medeot, un attaccante che Mazza aveva preso dal Monfalcone e ricordava Charles per la grande prestanza fisica. Purtroppo non stava rendendo per come si sperava, così un giorno Mazza chiamò l’allenatore, Meucci, per chiedergli spiegazioni. Meucci rispose: “Questo qui ha i piedi grezzi, bisogna raddrizzarli”, e Mazza disse a Meucci di fargli fare dei palleggi. In una partita di campionato sotto Natale, Medeot aveva appena fallito diverse occasioni da gol, poi fece uno splendido stop a centrocampo su palla altissima. A quel punto, tutto il pubblico si alzò in piedi ad applaudirlo, con grande ironia. Era un pubblico abituato ai piedi buoni”.

Lei ha passato quattro anni a Ferrara, i primi tre in C e l’ultimo in B. Partiamo dal primo, la stagione 1970/71, terminata al secondo posto dopo il Genoa.
“Quello col Genoa fu un bellissimo duello, finito a loro vantaggio per soli due punti, mentre negli scontri diretti furono due pareggi. La squadra si comportò benissimo. La stagione successiva (chiusa al terzo posto dopo Del Duca Ascoli e Parma: ndr), abbiamo avuto più difficoltà, per demerito nostro, e trenta giocatori in rosa erano troppi”.

E veniamo alla trionfale cavalacata del 1972/73.
“Eravamo partiti male, poi Caciagli subentrò a Fantini e ottenemmo una serie lunghissima di risultati utili consecutivi. Il ricordo più indelebile è legato al ritorno da Olbia, dove avevamo conseguito la promozione. All’aeroporto di Bologna c’erano tre o quattrocento persone. che ci scortarono in auto verso Ferrara. Credevamo che la cosa fosse finita lì, tant’è vero che le auto vennero fatte uscire al primo casello di Ferrara Sud, mentre il nostro pullman venne fatto proseguire fino all’uscita di Ferrara Nord, per poi dirigersi verso il centro, dove non c’era anima viva. Fummo fatti entrare da una porta secondaria in Comune, dove il sindaco ci diede un riconoscimento spendendo delle belle parole. Poi ci fecero affacciare dal balconcino sulla piazza, e fu una sorpresa incredibile. Si affacciarono per primi Pezzato e Mongardi, e a ogni uscita c’era un boato indescrivibile. Su tutta la piazza si vedevano solo teste a perdita d’occhio. Quando ci penso, mi viene ancora la pelle d’oca”.

Le faccio un quiz: riesce a recitare a memoria quella formazione?
“Oddio, non so se la memoria mi sorregge. Se non ce la faccio, mi aiuta lei”?

Lei cominci, e poi vediamo. Io ho i nomi qui sottomano, se serve.
“Col 2 Cariolato, col 3 Vecchiè, 4 Boldrini, 5 Cairoli, il 6 era Rinero. Poi Donati, Mongardi… là davanti c’era Pezzato… poi a centrocampo c’era uno di Ferrara…”.

Uno di Ferrara era Croci, ma era in difesa: Lei sta parlando di Tartari, e poi manca solo Goffi.
“Sì, quello che volevo dire era Tartari! E’ vero, anche Croci era di Ferrara, e Goffi era il centravanti”.

Se l’è cavata molto bene: ottima memoria! L’anno dopo la Spal ottenne il nono posto finale in B, nella sua ultima stagione a Ferrara.
“Potevamo fare qualcosa di più, ma fu una stagione abbastanza positiva, anche tenendo conto che eravamo una neopromossa”.

Perché poi lasciò la Spal?
“A Perugia stavano cambiando tutta la squadra, a quel tempo non esistevano i procuratori e il destino dei calciatori era nelle mani delle società. Il Perugia propose uno scambio con Grosso alla Spal, che accettò, comunicandomelo a cose fatte”.

Chi ci guadagnò tra le due?
“Beh, sinceramente, con tutta la stima che posso avere di Grosso, ci guadagnò il Perugia, e lo sta a dimostrare il prosieguo della carriera. Io venni promosso in A col Perugia, e l’anno successivo vinsi due volte il premio “Ragno d’Oro” per il miglior portiere della domenica: una volta a Firenze, e l’altra a Milano contro il Milan. Al termine di quella stagione potevo passare alla Fiorentina, ma doveva concretizzarsi un giro di portieri che non andò in porto. Anche il secondo anno a Perugia finimmo a ridosso delle prime, e quello successivo ad Ascoli stravincemmo la B”.

Quali sono gli allenatori che le sono rimasti più nel cuore?
“Di Caciagli ho già parlato. Castagner, che ho avuto nel Perugia, era come un fratello: se sai parlare ai giovani, sei ben accetto, e lui lo sapeva fare benissimo. Con Magni, che mi ha allenato a Monza, ancora mi sento due volte all’anno. So che a Ferrara ha avuto poca fortuna, ma a Monza ha fatto benissimo coi giovani. E’ un gran lavoratore, ha ancora tanta voglia di tornare sul campo, e credo sia una persona che non è stata capita nei posti giusti”.

A Ferrara lei ha giocato con Del Neri: si vedeva già che sarebbe diventato un allenatore?
“No, era troppo giovane, ma si vedeva che aveva qualità, geometrie di gioco, e sapeva interpretare il calcio”.

Quanto è stata importante Ferrara per lei?
“Sportivamente, a Perugia ho raggiunto il massimo, più che ad Ascoli, e ho avuto grandi soddisfazioni, ma a Ferrara ho vinto il mio primo campionato, il ritorno da Olbia è stata una gioia indescrivibile, ho incontrato persone che hanno saputo indirizzare la mia carriera, e ho vissuto in un ambiente dove si respirava una grande professionalità. Anche Ferrara mi ha segnato”.

Cosa si sente di augurare alla Spal?
“Il minimo è augurare la tranquillità societaria, che aiuta i giocatori a fare risultato. Se si ritorna a essere umili, per mettere le basi per il futuro non serve molto, perché il pubblico risponde”.

 

 

 

 

 

 

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