LA PASSIONE CHE RESTA ACCESA NONOSTANTE TUTTO: DALLE PENALIZZAZIONI AI PLAYOUT ORMAI SCONTATI. LO MERITA QUESTA SQUADRA E LO RIBADISCE UN CORO: FACCIAMO QUEL CHE POSSIAMO PER LA NOSTRA SPAL

No, vabbé, ma allora non è possibile. Allora sei malato sul serio. E sei anche un coglione. No, dài, adesso proprio non puoi, è un fatto fisico prima ancora che psichico e morale. Devi per forza lasciarti andare a un attimo di debolezza, una sana serata, almeno una, di depressione calcistica e spallina. Poi domani ricomincia ma almeno ora hai il dovere di cedere, di pensare negativo, di farti insinuare se non alto il beneficio del dubbio. Giusto per ventiquattro ore vedere nero davanti a te è quasi obbligatorio altrimenti rischi la follia.
No, tranquillo, caro fratello interiore che assomigli tanto al Mazzone bis di simpatica memoria, resto così. Folle e sciagurato e positivo e ottimista, continuo a vedere soltanto azzurro, e ovviamente bianco, sopravvivo con piccoli, sani stratagemmi che costano poco. Basta non guardare la classifica, per esempio, abbaiare alla luna e restare beceramente tifoso. Cominciamo da qui. Il rigore del Benevento non c’era. Dici che il regolamento non contempla più la volontarietà? Sì, è vero, ma il braccio di Castiglia era lì per proteggerlo, povero, e comunque non era a rigore a prescindere, me ne fotto anche del regolamento. Secondo: il gol di Cippo, che non giocava da una vita e fa gol proprio a noi era scritto ma mi rode lo stesso. Ed era in fuorigioco. Netto. Clamoroso. Evidente. Cosa? Dici che forse c’era un piede di Canzian a tenerlo in gioco? Cazzate. E quella che è stata definita una leggere strattonata in area ai danni di Laurenti? Eh? Non è rigore, quello? Hanno giocato al tiro alla fune con Laure? Erano due rigori, quelli! E poi, si sa, quel gol dal dischetto ci ha tagliato le gambe dopo un buon inizio e una partita preparata per ripartire veloci. Senza quel gol avremmo senz’altro vinto. E’ sicuro. E senza quel raddoppio avremmo certamente pareggiato. E’ altrettanto sicuro. Ma dai, falla finita, fratello malefico, basta spingermi a guardare la classifica. E se (ri)pronunci la parola playout ti ammazzo e la chiudiamo subito. Guardala tu, sadico infame, la graduatoria. Falli tu i calcoli e pensa tu a immaginare l’avversario che ci toccherà agli spareggi finali. Il saggio sei tu, no? Io sono il tifoso. Per niente depresso, folle quanto ti pare, ma aggrappato alla mia squadra che davanti a quella che resta la formazione con il potenziale migliore del girone, ha fatto comunque la sua porca figura e impreco soltanto sull’unica scelta mai condivisa. La solita seconda punta che manca. Per il resto è normale, va da sé, è scontato, non ci sono dubbi che ora le vinceremo tutte e tre, le restanti partite, e se proprio ci sarà da prolungare questa stagione avremo il vantaggio della classifica, quindi della possibilità di un pari. Tre punti con la Pro Vercelli, tre con l’Avellino e poi tre a casa del Foligno che sarà già retrocesso. E se mercoledì dovessimo per sbaglio, per sfiga, per volontà divina (nel senso di arbitro ubriaco) pareggiare, allora topperanno anche le altre.
Lo vuoi capire, diavolo di un et atto secondo, che la giustizia esiste? Te lo ficchi in testa che dopo una stagione così, tra una penalizzazione e l’altra, ci deve essere per forza un angelo riparatore che ti mette in salvo, con o senza playout? Come fai a non comprendere che una squadra così, una squadra di bravi ragazzi, indomiti e seri, non fa altro che attendere il suo doveroso, meritato, sacrosanto premio finale e che tutta questa sofferenza non è altro che un rigurgito che sta lì, e qui, a ribadire la nostra atavica sofferenza, il nostro modo di essere, di esistere e di tifare senza mollare proprio perché siamo abituati? Anche Woody Allen, Murphy, quello della legge, Tafazzi, Fantozzi… tutti erano e sono ancora biancazzurri. Come quei tredici tifosi che erano a Benevento e avrebbero dovuto fare un viaggio di ritorno di colossale merda e, invece, ne sono certo, si sono comunque divertiti e ognuno avrà combattuto con quel delinquente e sfigato e cronico depresso del proprio fratello interiore già lì a intonare il de profundis.
C’era quel bel coro che diceva più o meno che questa “è una malattia che non va più via… e poi non resisto lontano da te”. E quell’altro che, nonostante tutto, ancora “siamo tra i grandi del calcio italiano”. E quell’altro ancora che “andrò dove il mio cuor mi porterà senza paura… farò quel che potrò per la mia Spal”. Ecco, fratello di merda che se muori son contento. Io proseguo. Vado avanti. Ti maledico e continuo su questa strada. Faccio quello che posso per la mia Spal. Nei secoli dei secoli. E amen, sta ceppa. Amen lo dici tu, fratello che del mio sangue hai solo la parte alcolica, che porti sfiga da sempre e se vai in malora succede esattamente questo. Succede che ci salviamo, quest’anno. E l’anno prossimo con tre, quattro rinforzi vinciamo il campionato e l’anno dopo, da matricola in serie B, partiamo senza i favori del pronostico e facciamo come il Sassuolo. Occhio perché quando succederà e al Paolo Mazza torneranno ventimila persone, tu pseudo consanguineo di sto piripicchio, te ne resti fuori a vai a vedere la Giacomense, sia ben chiaro. Anzi, resta a casa anche nel recupero di domani con la Pro Vercelli. Ma senza sentire la radiocronaca di Sovrani, senza leggere la webcronaca de LoSpallino.com, senza neanche vedere il televideo. Non sei degno di me, di noi, figlio illegittimo del mio stesso padre. Tornerai a essere quello che eri nell’altra vita. Uno stramaledetto gufo con i suoi gufini. Noi siamo spallini. Noi barcolliamo ma non molliamo. Noi ci crediamo. Noi tifiamo. Noi sosteniamo. Noi non ci arrendiamo. Noi speriamo. Noi ci siamo. Noi cantiamo. Noi ci divertiamo (e non falliamo). E’ questo il nostro spirito unico come il nostro acronimo. Essepiaelle con i puntini tra una lettera e l’altra. Maiuscole come noi. Perché noi siamo la Spal.

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