L’UNICA, VERA MISSIONE IMPOSSIBILE. CHE NON E’ LA SALVEZZA. VERSO DOMENICA CON UN OBBLIGO, ALMENO STAVOLTA: PARLARE E SCRIVERE SOLO DI ZAMBONI E COMPAGNI. CE LA FAREMO?

Questo articolo avrebbe dovuto essere pubblicato domani nella mia solita rubrica. Anticipo di un giorno perché domani penso sia giusto dedicare l’appuntamento del martedì alla tragedia che ha colpito Ferrara e non solo. Ma pubblico lo stesso, oggi, queste tante righe per vedere se, almeno stavolta, l’appello recente di mister Vecchi verrà rispettato e seguito perché negli ultimi giorni si è parlato di tutto tranne che di Zamboni e compagni. Che meriterebbero decine di articoli e invece il nulla o quasi.

La foto di copertina con la scritta “Mission impossibile” farebbe pensare a un improvviso, personale pessimismo. Non sia mai. Chiarisco subito ma con calma perché la questione è lunga. La missione impossibile, evidentemente anche in questo articolo – e di questo mi prostro e scuso con il tecnico Vecchi e i suoi (bravi) ragazzi perché peccando offendo loro degni di essere amati sopra ogni cosa – riguarda l’argomento squadra. Domenica si è giocata l’andata dei playout di Prima Divisione e ha giocato la Spal. il primo di questi due spareggi decisivi e fondamentali e determinanti per il futuro del bianco e dell’azzurro, è andato bene, adesso si decide tutto domenica prossima. Una domenica da salvezza da dedicare alle vittime del terremoto.
Dice: vabbé ma lo sanno tutti che c’erano e ci sono ancora, domenica prossima, sti stramaledetti spareggi per non retrocedere. Sbagliato. Molti non lo sanno affatto. Sanno, invece, tante altre cose che riguardano l’Ars et Labor. Sanno che c’è stata l’ennesima udienza per il fallimento in tribunale e che sarebbe pure andata molto bene stando alle notizie vere, ai fatti, ai soldi, alla decisione di un giudice, mica di un pizzettaro. Non a Ferrara, però. A Ferrara è diverso, Ferrara è un mondo a parte. Bellissimo, dal punto di vista del paesaggio e dell’architettura e della cultura, ma a parte. A Ferrara, infatti, si sa che sì, vabbé, il fallimento è stato rimandato; che sì, vabbé, Butelli qualcosa ha pagato; che sì, vabbé, il giudice (sarà mica anche lui filo societario?) ha accettato le garanzie fornite nero su bianco; che sì, vabbé, si è fatto un passettino (ci mancava solo un ino-ino aggiunto in fondo) avanti; che sì, vabbé, potrebbe anche essere che la società presto sia svuotata dei debiti e possa quindi essere venduta pulita; che sì, vabbè, magari la Spal l’hanno prossimo si iscrive al campionato… e potrei continuare ancora a snocciolare tutto il negativismo trasudato, quindi maleodorante, di questi giorni. Ma queste sono cose ormai note, non da oggi, e il fatto che poi si scriva, dica, pensi, ipotizzi soltanto il peggio è in parte colpa del recente passato fatto di penalizzazioni e mancanze, ci mancherebbe, ma in altra parte è anche frutto di un nostro, ripeto: nostro, estense modo di essere e di pensare “che domani a piov, che domani a perden, che la squadra l’è scarsa, che quel lì l’è n’asan”. Parentesi: c’è un solo coro curvaiolo che non ho mai cantato, né canterò mai. Quello che finisce con “son ferrarese e me ne vanto”. C’è poco da vantarsi, anche nulla da vergognarsi, sia chiaro, ma da vantarsi proprio no.
Lasciando stare il pessimismo cosmico che regna attorno al peggior presidente della storia della Spal, Cesare Butelli, quello brutto, rosso, cattivo, anche canaglia ho letto recentemente su facebook, quello mascalzone che si è addirittura permesso di vendere il suo (!) fotovoltaico, quello che evidentemente dovrebbe prendere lezioni dai suoi predecessori, Pagliuso compreso, quello che – ma che roba vergognosa – non si presenta da mesi allo stadio perché non si diverte a essere insultato (e chissenefrega se poi segue la Spal in tutte le trasferte), quello che in quattro anni si è trovato senza l’apporto economico dato da sempre (!) dallo sponsor principale, cioè la banca cittadina che non ha agevolato una sola operazione economica utile alla squadra di Ferrara, non all’uomo rosso, brutto, sporco e cattivo, quello che pubblicamente è stato decretato fallito da cariche pubbliche cittadine davanti a stampa e giocatori, quello che da solo ha investito nella Spal milioni e milioni di euro e che – certo – si è trovato in grande crisi di liquidità (l’unico in Italia, eh, perché tutte le imprese vanno che è una meraviglia, hanno tutti un posto di lavoro, non si ammazza nessuno perché non arriva a fine mese) ed è stato giustamente criticato per aver gestito una società senza pagare per tanto, troppo tempo. Anche mettendo in difficoltà ragazzi giovani, persino creando problemi alle famiglie di dipendenti che già guadagnano poco. Qui c’è poco da dire o discutere. E’ così. Qui Butelli ha avuto e ha ancora, almeno finché non salderà tutto, torto.
Ma nessuno che dica o scriva perché, veramente, è successo tutto questo e perché nel frattempo non c’è stato alcun soggetto locale disposto a investire in cambio di un risarcimento, mica di brustoline, sulla squadra che a parole è l’orgoglio della città e nei fatti un peso per molti.
Lascio stare anche questa ennesima mia difesa di Butelli perché, si sa, io sono di parte, sono filo societario e, udite udite, addirittura amico del Presidente. Quindi sono un venduto e questo sito esiste soltanto perché lo stesso Butelli non paga nessuno ma paga me. E tantissimo. Tutti i mesi. Puntualissimo. Sono ironico, eh, meglio scriverlo perché poi qualcuno ci crede e il fatto, già scritto, che questa testata avanzi ancora bei soldi dagli sponsor gestiti dalla società rischia di pessare per una minchiata. Invece è tutto vero e documentabile. Chi non ci crede può domandare ai dirigenti della Spal, Butelli in primis. Lascio stare, insisto, la mia butellianità risaputa e vado al punto con colpevole ritardo.
Missione impossibile, scrivevamo all’inizio. Ecco, la missione impossibile, in questi giorni ma non solo, è stata quella, rara, di provare e magari riuscire, a parlare della squadra. Una squadra, altra cosa scritta e riscritta che senza penalizzazioni si sarebbe salvata da tempo e avrebbe addirittura superato le aspettative societarie di inizio stagione. Una squadra allenata bene, costruita altrettanto bene per gli obiettivi di partenza, una squadra formata da ragazzi serissimi che per la prima volta dopo anni e anni hanno onorato davvero la maglia senza far parlare di loro per questioni extra calcistiche. Cosa, quest’ultima, mi riferisco al pettegolezzo becero, capitata persino agli eroi della doppia promozione dalla C2 alla B.
L’appello di mister Vecchi che è ritornato a parlare qualche giorno fa chiedendo un permesso alla società proprio per lanciare un messaggio forte e chiaro a tifosi e ai giornalisti è caduto nella melma. Aveva detto, il tecnico: “Per quindici giorni dimentichiamo e dimenticate tutto, parliamo di calcio e sosteniamo la squadra in questi playout decisivi non soltanto dal punto di vista sportivo”. Come no! Subito. Già dal giorno dopo tutti in fila a far sentire a questi ragazzi che la città è con loro, che il tifo non mancherà, che il pubblico li sosterrà fino al termine. Certo. Un sostegno pazzesco. Totale, assoluto, quotidiano.
Nessuno spazio per ipotizzare apocalittici scenari societari. Zero righe per discutere la scelta del tecnico di chiudere tre allenamenti alla stampa per non far sapere agli avversari magari qualche schema nuovo. Niente accenni agli arbitri (la vigilia dell’andata dei playout!!!) che potrebbero essere contro la Spal perché non paga gli stipendi, cosa peraltro non più vera ma pazienza). Eccolo il sostegno. Eccola la passione per la Spal che, santa benedetta madonna dell’incoronata, non è proprietà assoluta dell’uomo rosso, brutto e cattivo ma di Ferrara. Fer-ra-ra. Dei suoi tifosi. Di quelli che la seguono e la seguivano anche a Pieve di Soligo, persino a Monte San Savino, addirittura a Cento. Di quelli che passano la settimana a cercare di far qualcosa, nel loro piccolo, per alimentare la loro sana passione. Di quelli, magari pochi (e te credo perché se anche io che faccio dell’ottimismo biancazzurro il mio vessillo di tutti i giorni stessi soltanto ad ascoltare o a leggere tutto, domenica prossima, anziché al Mazza, mi presenterei al Motovelodromo convinto che la Spal giochi contro l’Ugo Costa) che guai a chi gliela tocca la loro squadra che si chiami Butelli o Maramao o Fazadacul.
Ecco, questo sostegno – e si fa per dire – è uguale a quello di quest’estate prima che Zamboni e compagni disputassero anche soltanto un’amichevole. Squadra leggerina, difesa inesperta, manca un centrocampista anzi no manca un difensore anzi no manca un attaccante anzi no manca l’allenatore perché Vecchi, in fondo, che cazzo ha fatto fin qui? E poi Pozzi, dio bonino. quel saccente di Pozzi che riprende un giocatore finito con Arma che farà sì e no tre gol per cedere una certezza assoluta come Cipriani. Quel Pozzi che Pambianchi è rotto, Zamboni l’è n’imbariag ruvinà, Capecchi al dev andar in pension, Agnelli chi el?, Castiglia al zugava in tal Viarez, Mendy al po’ far l’atletica, semmai. Quel Pozzi che capisce talmente un cazzo di calcio che ha lasciato andare via in prestito Marongiu, un campione incompreso da sei allenatori e altrettanti dirigenti, spallini compresi, negli ultimi tre anni (attenzione: sarebbe anche vero che il fantasista nostrano di talento ne ha assai ma in tre squadre diverse ha giocato una mezza dozzina di gare da titolare sì e no e la cosa, oltre al sottoscritto che conta zero, dispiace soprattutto alla Spal che avrebbe in casa un uomo mercato oltre che un possibile fenomeno sul quale puntare per fare la differenza).
Chiudo perché l’argomento sarebbe infinito. E chiudo scusandomi ancora con Zamboni e tutti gli altri giocatori della Spal, con lo staff tecnico, con i massaggiatori, con i dipendenti e anche con i dirigenti, con tutti, cioè, quelli che in questa stagione ancora da chiudere in mezzo a tanti problemi – nessuno lo nega – stanno facendo un miracolo sportivo a prescindere da come andrà, domenica prossima, Spal-Pavia. Mi scuso perché la missione impossibile, parlare (bene) di loro, ha contagiato anche noi de LoSpallino.com. Dev’essere una malattia, la “frarìsite acuta”, che si attacca anche ai malati di Spal come noi. C’è nulla da fare. Guai a parlare della squadra. Hai visto mai che faccia male. Che porti sfiga. Meglio stare ore e ore a disquisire del silenzio stampa. Più utile, sei mesi dopo, continuare a ribadire cose che sa anche la casalinga di Ferrara o il pastore estense come il fatto che a dicembre non furono pagati gli stipendi. Meglio ironizzare sul Vecchi cacasotto che nasconde gli allenamenti perché il Pavia fa paura. Preferibile, addirittura, sostenere che ci vorrebbe un altro sano fallimento. E meglio parlare d’altro, a prescindere. L’importante è non ascoltare l’appello dello stesso tecnico. Che con parole semplici e chiare aveva soltanto chiesto una parentesi dopo tanti mesi di critiche spesso sacrosante – sui modi ci sarebbe da discutere e anche su qualche notizia non corrispondente al vero, per la verità – soltanto per consentire alla Spal (di tutti) di portare a termine questo campionato che definire complicato è un eufemismo.
Povero “Sam” Stefano Vecchi. Ingenuo, illuso e pure pirla. Eppure a Ferrara ci aveva giocato. Doveva conoscere certe dinamiche. E invece no. Cazzo, mister, ti metti lì, quasi con il cuore in mano, a chiedere aiuto, in una conferenza stampa. Ma come ti permetti? Ma fat tusar, prima cosa, e magari, la vigilia del ritorno di domenica prossima, fanne un’altra di conferenza stampa. Così ci racconti se nelle tue ultime buste paga l’irpef è stata pagata, se il gas a casa te l’hanno già staccato e argomenti del genere che appassionano i tifosi. Anzi, racconta tutto negli spogliatoi, un attimo prima di entrare in campo. Fai entrare al Mazza Zamboni e compagni, chiudiamo la Ovest, portiamo tutti i tifosi in tribuna e, insieme con noi giornalisti, stiamo lì per novanta minuti a spulciare quelle buste paga che ti sono arrivate (ma il francobollo c’era?), e poi facciamo, tutti insieme una nuova lista perché la memoria fa brutti scherzi, di quando tu e i giocatori e i dipendenti siete stati pagati e quando no, magari affrontiamo anche l’imprescindibile questione degli allenamenti a porte chiuse perché, almeno a me, questa tua scelta senza precedenti nel mondo del calcio continua a non far dormire la notte.
Poi, quando la conferenza finisce, e magari ti diamo anche tre o quattro minuti di recupero così sul prato tornato verde del Mazza (oddio, ho dato una notizia per sbaglio: il manto erboso è tornato spettacolare) c’è rimasto più nessuno. Poi usciamo tutti dallo stadio, torniamo nelle nostre case, chi a Ferrara e chi più lontano, e accendiamo il televideo per sapere se la Spal si è salvata. Se va bene, beh allora ci ha detto culo. Se (pausa di quattro minuti e sedici secondi perché devo stritolarmeli non toccarmeli) invece dovesse andar male, dài che andiamo tutti a Lucca e gli rompiamo il culo a quello rosso, brutto, sporco, cattivo e aldamar. Prima, però, ci fermiamo all’autogrill perché, caro Vecchi, ti sarai sicuramente dimenticato, nella conferenza stampa di cui sopra, di raccontarci se il diciotto febbraio di ormai un anno fa mentre vi stavate allenando al Centro di via Copparo arrivò un omino piccolo vestito con una tuta blu e con in mano una fattura per chiedere quei famosi quarantasette euro per aver dato la calce sul muretto che porta agli spogliatoi senza avere risposte dalla società. No, perché questo è uno scoop che ho saputo solo ora e per motivi deontologici non posso nascondere ai nostri lettori. Che invito a scriverci che cosa pensano di questa cosa scandalosa fin qui tenuta nascosta da Butelli. Il dibattito è aperto. E anche il sondaggio. Chiuderà tutto domenica prossima alle 18. Allora daremo i risultati. Di Spal-Pavia, invece, meglio scriverlo subito, non scriveremo affatto. Farebbe poca audience.

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