DALLO SPALLINO A ROMA AL VENETO A FERRARA: IL NUOVO DIRETTORE ALESSANDRO ORLANDIN SI PRESENTA AI LETTORI DE LOSPALLINO.COM

Per come la vedo io, non sta mai bene presentarsi in casa d’altri nei giorni del lutto. È passata una settimana piena dalla retrocessione in Seconda Divisione della Spal e spero che l’umore della tifoseria possa essere passato a quella che secondo la più celebre teoria dell’elaborazione del lutto è detta “fase della contrattazione”. Ovvero il momento in cui la rabbia lascia il posto a spiragli di speranza nei confronti del futuro. 
Detto questo, mi presento: sono Alessandro Orlandin e da poco più di una settimana sono effettivamente diventato il direttore del giornale online che state leggendo. Il mio cognome non lascia spazio a molti dubbi: sono nato in quella che da molti ferraresi ho sentito definire (nel migliore dei casi) “la Repubblica di Oltre Po”. La prima volta che sono entrato in curva Ovest sono bastati all’incirca due minuti per sentire il coro “veneti di merda” intonato a gran voce. Era il 6 maggio 2007 e si giocava Spal-Rovigo sedicesima di ritorno dell’allora campionato di C2, girone B. Era la Spal di Tomasi, di Bisso, Sesa, Servidei e La Grotteria. Mi impressionò vedere tutto quel pubblico, tutto quel calore. Vittoria per 2-1 e buona la prima, non fosse altro che di lì a venti giorni si sarebbe consumata l’ennesima delusione nei playoff contro la Paganese. Storia che tutti conoscono, non serve che la riepiloghi io. Questo per dire che non potrei mai raccontarvi di essere uno spallino purosangue, di quelli che il padre lo portava al Mazza negli anni ruggenti di Gibì. Non ho mai visto la muraglia umana della Ovest nei giorni belli, né ho mai provato la sensazione del vedere tamburi e fumogeni dentro il Paolo Mazza. Ma non sono neanche uno che è saltato sul carro dei vincitori, visto che da Ferrara non fa tappa da un po’. 
Fin dal momento del mio arrivo a Ferrara (per ragioni di studio) la Spal diventò oggetto di passione da Televideo. Ero curioso di sapere, ma per colpa di una qualche forma di ritrosia non mi sono mai avvicinato al tempio di corso Piave. Succede così che un amico – veneto anche lui, ironia della sorte – si offre di accompagnarmi in curva per la partita a cui facevo riferimento prima. Amore a prima vista nonostante gli inevitabili pregiudizi sui veneti. Per me, cresciuto in uno sperduto paesino del Delta de Po, tifare per la squadra della propria città era esercizio abbastanza improbabile. Ecco quindi che la Spal mi offriva una nuova prospettiva: legarmi ulteriormente a Ferrara, sentirmi parte di una comunità, di una storia. Se dopo cinque anni sono qui a raccontarlo significa che ha funzionato. Ho iniziato a dare una mano allo Spallino, allora cartaceo, entrando dalla porta sul retro, ovvero occupandomi di settore giovanile. E’ stato il tipo di formazione migliore: conoscere la realtà del vivaio mi ha dato la possibilità di respirare la passione vera per questi colori dall’interno dell’azione.
Non è per niente facile tifare Spal e neanche parlarne dal punto di vista del giornalista è propriamente agevole. Per questo prendo questo incarico con entusiasmo, ma anche con la dovuta prudenza. A maggior ragione in un momento in cui decifrare il futuro – anche solo a breve termine – dell’Ars et Labor è esercizio complicatissimo. Enrico Testa ha avuto l’indiscutibile merito di creare dal niente un progetto vincente che ora andrà avanti grazie a una squadra di ragazzi giovani e ambiziosi: commetteremo sicuramente degli errori dovuti alla nostra inesperienza e sarà compito anche dei lettori dare una mano con il loro punto di vista. Ci saranno senz’altro alcuni cambiamenti: a partire dalla veste grafica, fino alle varie rubriche. L’opera di ristrutturazione richiederà tempo e pazienza, dipende molto anche dal destino a breve termine della Spal. L’obiettivo di fondo però rimane intatto: essere la più autorevole e puntuale fonte di informazione online per quanto riguarda il mondo biancazzurro. Essere vicini al cuore e alla mente dei tifosi. Cercare, nel nostro piccolo, di conservare intatto il patrimonio di storia ormai impolverata che il nome Spal custodisce al suo interno. I numeri ottenuti finora dal sito testimoniano comunque un’attenzione che non ha eguali anche per squadre di categoria superiore. Una bomba d’entusiasmo che aspetta solo di essere innescata dalla scintilla dei risultati. 
Mi capita sempre più spesso di avvertire una sorta di affetto nostalgico in tanti ferraresi nel parlare della squadra della propria città: “Ah sì, la Spal, ci andavo una volta, ma adesso non è più come prima”. Purtroppo non posso sapere come era “prima”, ma posso immaginarlo. Fatto sta che la disaffezione è concreta e che piazza Trento e Trieste è stata data in comodato d’uso gratuito per i festeggiamenti di interisti, milanisti e juventini. Segno della decadenza calcistica, ma anche sintomo di una comunità fiaccata da oltre vent’anni di delusioni cocenti. Scopri poi che nella maggior parte dei casi sono amanti distratti, che sbirciano il giornale il lunedì mattina o ti chiedono il risultato se ti vedono indossare una sciarpa al ritorno della partita. Sembra impossibile che debbano essere degli “immigrati” come me a doversi affezionare. Nei parchi cittadini d’altronde non si vedono quasi mai ragazzini giocare con la maglia della Spal. Si capisce, provateci voi a fare presa su dei ragazzi nati nel 2000 raccontandogli di Pasetti, Capello, Reja, Delneri, Mongardi, Pezzato, Brescia, Bottazzi o Cancellato. Ridare lustro al malmesso prestigio dell’Ars et Labor passa necessariamente da un riavvicinamento tra l’orgoglio cittadino e la sua squadra di calcio.
Per questo la prossima dirigenza, ammesso che ce ne possa essere una a breve, avrà un compito doppiamente oneroso: riportare la Spal a una categoria più consona e trovare la formula per farci sentire tutti quanti fieramente parte di essa. Convincerci che “andare alla Spal” non è solo un romantico modo di dire, ma una sana abitudine in questo calcio che giorno dopo giorno perde i suoi riferimenti più elementari.

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