UN ANNO DI SPAL RACCONTATO DA STEFANO VECCHI, NEOALLENATORE DEL SUDTIROL. UNO SFOGO INTENSO CHE NON RISPARMIA NESSUNO, DOVE SI ESALTANO POZZI E LE DOTI DI UN GRUPPO DI GIOCATORI INTROVABILE

minispot-intervisteUndici del mattino. E’ il primo giorno di luglio e Stefano “Sam” Vecchi è, da poche ore, ufficialmente l’allenatore del Sudtirol, compagine con sede a Bolzano che la prossima stagione militerà nel campionato di Prima divisione. Via il bavaglio dalla bocca quindi, cade ogni restrizione mediatica imposta dalla società estense. E noi lo contattiamo senza riserva dopo aver preso appuntamento nei giorni scorsi. Il telefono squilla un paio di volte poi, il mister bergamasco alza il ricevitore e diventa un fiume di parole. Si aprono le porte del suo cuore quando parla di Spal. Ci vuole un nulla perché si lasci andare e racconti di “un’esperienza indimenticabile in una città fantastica”, finita come non avrebbe dovuto ma con la consapevolezza di aver dato tutto “in maniera per certi versi anche inaspettata”. In attesa di partire per il ritiro di Vipiteno con la sua nuova squadra (“saranno giovani e agguerriti come i miei ragazzi di quest’anno, con il diesse Piazzi siamo in sintonia sugli obiettivi e abbiamo già capito come muoverci anche se non sarà facile”) si è concesso qualche ora di riposo nella casa dei nonni sulle montagne del bergamasco, lontano dall’afa opprimente della nostra Pianura Padana. C’è una pesante eredità da non far rimpiangere a Bolzano (“Stroppa è finito addirittura in A, a me hanno chiesto una salvezza tranquilla valorizzando qualche giocatore, mi basterebbe questo come primo passo”) e una “lingua” nuova da imparare (“qui ci sono giornali in italiano e tedesco, lo stesso presidente alla fine della conferenza stampa ha parlato alle televisioni locali due minuti abbondanti in lingua ladina, dovrò iniziare a studiare qualcosa, giusto le invettive magari, così almeno capisco quando mi danno la colpa di qualcosa, altrimenti è dura”) ma Stefano Vecchi ha ancora negli occhi le istantantane dell’ultimo campionato. Ha voglia di parlare di Spal. Pardon della “mia Spal” come sottolinea più volte con un affetto e un senso di appartenenza vero, che solo chi ha amato e ama davvero i colori biancazzurri, prima da capitano e poi da allenatore, potrebbe fare.

“Sai” – attacca l’ex allenatore biancazzurro – “visto che sapevo che questa mattina mi avresti chiamato, ieri sera mi sono rivisto i filmati della conferenza stampa di presentazione dello scorso campionato. Ti ricordi quando ci siamo ritrovati tutti lì, nella sala del Centro di via Copparo? Eravamo così pieni di aspettative, di sogni per certi versi. E di speranze. Volevo essere pronto all’appuntamento. Capire se mi è sfuggito qualcosa in questi mesi. Invece sottolineo quello che ho detto alla fine di Spal-Pavia: non ho nessun rammarico, abbiamo dato tutto, anche se il presidente ha lasciato sottintendere altro nelle sue interviste postume ai giornali dopo la retrocessione. Io la responsabilità di essere retrocesso la vorrei condividere con lui piuttosto che addossarla ai giocatori”.

Mister, a posteriori accetterebbe ancora l’incarico di guidare una Spal in queste condizioni?
“In queste condizioni è difficile fare calcio. A prescindere dall’affetto che nutri per una città in cui sei stato bene e in cui sai di aver dato  tanto come calciatore e aver ricevuto altrettanto, in termini di affetto, dai tifosi. Non mi sono mai pentito di aver scelto Ferrara e la Spal. I miei collaboratori so per certo che pensano la stessa cosa. Idem i giocatori. Amo questi colori, questa gente. Era un’esperienza che mi ero promesso che avrei voluto prima o poi fare nella mia carriera quella di allenare la Spal. Forse è arrivata quando i tempi non erano ancora maturi per fare cose importanti. Anche se io, dentro di me, come tutti i miei ragazzi, sappiamo di aver fatto una sorta di “miracolo” riuscendo ad autogestirci spesso in condizioni estreme, abbandonati da tanti ma per fortuna non da tutti. E quei pochi che sono rimasti non sono rimasti per se stessi ma solo per un attaccamento senza eguali alla Spal: loro, come noi, hanno dato l’anima ed è a tutte queste persone che sin da ora va il mio più sentito ringraziamento per non averci mai fatto mancare nulla. Per essere stati la Spal”.

Dica la verità: non si è mai sentito umiliato da tutta questa situazione?
“Ma se anche fosse non sarei stato l’unico. Certo, il detto ‘mal comune mezzo gaudio’ serve a poco in questi frangenti e non è che ti aiuti, però più che umiliato mi sono sentito, come uomo prima ancora del professionista, poco rispettato e mi riferisco a quando la dirigenza ha imposto il silenzio stampa a febbraio dopo la gara persa a Pavia: scelta rispettabile ma per nulla condivisa e non solo per una questione di stile perché è un modo di voler tenere le bocche cucite che credo non si usi più dai tempi delle dittature, ma soprattutto perché poi si rischia, come poi è successo, che tutto ti si ritorca contro come un boomerang nel momento in cui tu, presidente, non sei particolarmente abile a comunicare e gestire i rapporti con i mezzi di comunicazione visti gli spifferi, a volte veri a volte no, che ogni giorno venivano fuori, vuoi dai giornali, vuoi dagli addetti ai lavori. La stampa a Ferrara si è divisa come è normale accada in qualsiasi città: c’era chi remava contro, c’era chi remava per noi, non so se con malizia o meno, francamente non mi interessa, ma so che se ci fosse stato più dialogo, più voglia di farsi capire, qualche malignità qualcuno se la sarebbe tenuta nella penna. In questo senso è stato fondamentale l’apporto di Bortolo Pozzi. A lui la Spal deve tanto, probabilmente deve anche il fatto che nonostante i problemi e le vicissitudini che sta attraversando, la società ferrarese è ancora a galla e lotta per sopravvivere”.

Proviamo a mettere ordine, torniamo indietro nel tempo. E’ settembre, siamo tutti a Casaglia, davanti a noi ci sono quei meravigliosi girasoli che funzionano a energia solare, panacea e vitalizio trentennale, dicono, della Spal 1907. Cosa pensa?
“Che il fotovoltaico è un’idea stupenda. Io mi ci sono trovato per caso perché il progetto è iniziato molto prima del mio arrivo a Ferrara come sai. Dentro di me restano però tante domande senza risposta, probabilmente per mancanze mie, lo ammetto. Ad esempio non ho ancora ben capito a chi appartenga il fotovoltaico, se è tutto del presidente, se ne ha in gestione una parte, il ruolo del Comune se c’è e qual è. Non lo so. Quello che posso dire è che tutta la situazione mi è sembrata, via via che passavano i mesi, perdere un po’ di senso. Mi ricordo che i soldi che dovevano arrivare da Il Gioiello sembravano imminenti addirittura prima della gara di andata dei playout contro il Pavia. Siamo ancora qui che li aspettiamo. Io ci credo che alla fine le promesse saranno tutte mantenute, però è innegabile che la gestione della vicenda abbia assunto connotati particolarmente fastidiosi. Pozzi è stato lo scudo del presidente e lo è tutt’ora, non lo ha mai lasciato solo un istante a differenza di altri che via via abbiamo perso per strada. Non li biasimo, avevano i loro motivi. Ma Bortolo ci ha messo la faccia anche quando poteva starsene a guardare. Ferrara lo sappia. Pozzi si sente sconfitto quanto un tifoso ferrarese, oggi, da tutta questa vicenda”.

Mentre la società perdeva, in ordine di tempo, Stefano Bena, Renato Schena e Sergio Gessi, la squadra, paradossalmente reagiva sul campo portando a termine imprese che trascinavano i tifosi come ai bei tempi.
“Se vogliamo dirla tutta, questo è proprio quello che ci siamo detti tra di noi quando ci siamo salutati. Ad agosto abbiamo perso nel silenzio più assoluto l’amministratore delegato, che io non ho più sentito, benché non fosse con me che dovesse relazionarsi; poi, prima dell’importantissima partita con una diretta concorrente come il Foligno in casa, prima di Natale, ci siam poi ritrovati un bel pomeriggio a leggere dei cartelli di commiato scritti da Renato Schena nello spogliatoio del Centro come personale saluto. E questa fu un’altra situazione che già si sommava ai primi rumors negativi e alle penalizzazioni che sarebbero arrivate di lì a poco: capisci bene che tutte queste cose sommate una a una avrebbero ammazzato un toro, considerando che non stavamo già attraversando un grande periodo da un punto di vista tecnico: con Schena, auguri di Natale a parte, mai più sentito e lo dico senza biasimo alcuno, ci sta, non è che avessimo rapporti così stretti aldilà dell’ambito professionale. Poi è stata la volta di Gessi propendere per l’uscita di scena. Tutte persone che hanno avuto validi motivi per scendere dal treno in corsa. D’altronde, se tu presidente sei lasciato da solo, anzi, ti hanno lasciato da solo sin dal tuo arrivo a Ferrara quando hai perso in pochi mesi i soci con cui eri entrato nella Spal come mi hanno riferito, una piccola parte di responsabilità sarà anche tua o no? Intanto noi scendevamo in campo a fare punti, a dimostrazione che tutti sono importanti in un meccanismo vincente, ma nessuno è indispensabile: ventisette punti per la precisione in tutto il girone di ritorno, media playoff altroché salvezza. Ho sbagliato i playout, è vero. Non sarà una scusante ma se vai a vedere le partite di quest’anno degli spareggi promozione  e retrocessione, tutte le squadre che erano arrivate alla fine penalizzate hanno pagato dazio. Probabilmente si instaurano meccanismi mentali nei giocatori che io non ho colto o non sono stato bravo a gestire, anche se a loro, ripeto, non ho niente da rimproverare. A posteriori mi chiedo ancora oggi cosa avrei potuto fare di più alla vigilia di una partita in cui servivano due risultati utili su tre, ma che ci siamo lasciati scippare con pieno merito da una squadra che è entrata in campo meno timorosa di noi. Mi rimprovero di non aver avuto idee nuove per caricarli ancora di più. Ma io, tutto il mio staff, chi è rimasto sempre con noi, solo perché ci faceva sentire orgogliosi il fatto di essere alla Spal e per il rispetto dei tifosi e di chi ci fermava per strada dandoci forza e coraggio durante la settimana, siamo arrabbiati per l’epilogo ma sereni per aver gestito una squadra in condizioni impossibili”.

Al presidente Butelli, abbiamo capito, rimprovera il fatto di non esser stato bravo a comunicare le sue difficoltà e di essere riuscito in maniera quasi chirurgica di fare “terra bruciata” intorno a sé. Al diggì Pozzi, invece, muove qualche obiezione?
“Se non ci fosse Bortolo la Spal non ci sarebbe più da un pezzo. Lascia stare quello che dice la gente, spesso c’è chi appare più per quello che gli altri vogliono che quello che sei realmente. Pozzi per la Spal ha fatto e sta facendo tantissimo. La scorsa estate avevamo capito che sul mercato ci sarebbe stato qualche problema: dovevi ripianare un disavanzo di seicento, settecento mila euro, un macigno figlio della stagione precedente. Se avessimo avuto quei soldi avremmo potuto muoverci con più scioltezza e portare a Ferrara chi, per una pura ragione di scetticismo e senza sapere come stavano realmente le cose, pur dimostrando di aver ragione alla fine, ci ha rifiutato a priori (i riferimenti sono al terzino Benedetti, finito al Pisa e all’estremo difensore Brignoli, acquistato poi dal Lumezzane n.d.r.). Quarantadue punti sul campo, un decimo posto complessivo con una squadra che contava solo su Zamboni e Melara provenienti da un campionato intero, mentre gli altri erano tutti o reduci da infortuni, o da scelte tecniche che ne avevano pregiudicato l’impiego, o giovani alle prime armi ancora da svezzare con tutti i punti interrogativi del caso. A gennaio non mi ha rinforzato la squadra, questo sì. E’ andato via Melara ed è arrivato Marchini con i suoi acciacchi. E’ andato via Meloni e sul mercato tutti ci hanno voltato le spalle perché sapevano che sarebbero venuti a giocare più per la gloria che per i soldi. Poi si è infortunato Mendy che stava facendo bene e aveva trovato una sua sistemazione tattica, secondo me, che ne faceva risaltare le doti, soprattutto atletiche. A volte mi chiedo se con qualche soldo in più avremmo fatto meglio e mi rispondo che probabilmente la squadra non avrebbe fatto più di così, avremmo terminato la nostra corsa a metà classifica senza quegli otto punti di penalità”.

Le solite malelingue dicono che ci sia stato un momento in cui Pozzi l’abbia virtualmente scaricata.
“Quando in inverno si insediò per una settimana quella che sarebbe dovuta diventare la nuova proprietà di lì a poco io mi sono messo pienamente a loro disposizione. Perché? Perché me l’aveva chiesto il presidente di assecondarli. E io non potevo e non volevo mettermi di traverso, perché la mia premura era quella di proteggere i miei ragazzi. Io sono un uomo di campo. Con il ‘governo provvisorio’ ho avuto rapporti cordiali, so che Bortolo ci è rimasto male e se l’è un po’ presa, non so, magari pensava che lo tradissi con il primo venuto (ride). In realtà poi abbiamo chiarito tutto, che mi risulti nessuno ha mai scaricato nessuno, semmai da quell’esperienza ne siamo usciti paradossalmente ancora più forti”.

Torniamo al mercato. E’ mai esistito un “caso” Meloni? E soprattutto, è stato così indispensabile cederlo per poi ritrovarsi con i soli Marconi e Arma a tener su la baracca fino alla fine? Eppure, in Coppa Italia, l’attaccante sardo contro la Reggiana aveva dato ampi segnali di ripresa
“Ha chiesto lui di andare via, agli allenamenti non si presentava. Io ho sempre detto che in situazioni ‘estreme’ ci sarebbe stato utile. Meloni lo avevo reintegrato, arrivava da un infortunio non di poco conto, il gol alla Reggiana lo aveva rinfrancato e probabilmente si è sentito qui, da me, poco apprezzato. E poi io ho sempre sperato, una mia colpa probabilmente, che Marconi e Arma si aiutassero un po’ di più per andarsi incontro nei rispettivi limiti e potessero integrarsi maggiormente. Michele è un buonissimo ragazzo, ha capacità, ha sempre dimostrato di poter dire la sua quando gli ho dato fiducia come in Coppa Italia (sei gol n.d.r.) ma ha avuto la sfortuna di trovarsi davanti un Arma che ha disputato un campionato straordinario. Sapevamo dall’estate che erano due giocatori molto simili, ma eravamo convinti che si sarebbero potuti integrare. Invece abbiamo appurato che Marconi e Arma giocano bene quando giocano da soli in attacco”.

C’è una responsabilità che sente più sua delle altre?
“Il non aver capito subito che questa squadra non poteva sostenere un certo tipo di gioco e quindi che il 4141 fosse la soluzione più idonea in base al materiale tecnico a disposizione. Ma anche qui, se non ci avessi provato qualcuno mi avrebbe rimproverato proprio di essere stato troppo rinunciatoria fin dall’inizio”.

Senza fare dietrologia spiccia, mi spiega perché una squadra come la sua è riuscita a vincere a Terni dalla prima in classifica e a raccogliere applausi in quel di Sorrento, salvo poi crollare contro le dirette concorrenti?
“Da novembre abbiamo giocato partite decisive. Abbiamo sbagliato due partite al Mazza, quella contro il Monza e quella contro la Reggiana poi, a memoria, abbiam perso a Viareggio ma come giustamente sottolineavi tu poi siamo andati a vincere su campi dove nessuno avrebbe scommesso un euro su di un nostro risultato positivo. Sicuramente ho avuto anche io l’impressione che a volte scendessimo in campo, proprio come successo nei playout, con le gambe più pesanti: paura? No, non credo, ma non penso nemmeno sia stato un limite decisivo di questa squadra l’aver sbagliato quelle poche partite. Penso che in nove mesi sia fisiologico”. 

Dopo la retrocessione ha parlato con il presidente?
“Io il presidente non l’ho più sentito. L’ho letto attraverso i giornali, come dicevo prima, rispetto tutte le sue esternazioni e capisco la sua delusione ma ho la piena facoltà di non condividerle. Anzi. L’ultima volta che ci ho parlato è stato circa tre mesi fa, se non ricordo male, quando ha parlato a tutta la squadra e ci ha rassicurato che tutto sarebbe andato a posto in pochi giorni. Ora so che è mercoledì prossimo il giorno in cui dovrebbe andare tutto per il verso giusto: io al presidente ho sempre creduto, non fatico certo adesso di più nel dargli credito per un’altra settimana. Ma ci sono rimasto male. Lascia stare per come si è rapportato umanamente con il sottoscritto o con i dipendenti, io mi riferisco soprattutto al modo con cui ha trattato i miei ragazzi. C’erano una quindicina di ragazzi che con orgoglio andavano in giro per la città di Ferrara perché sapevano di rappresentare una società gloriosa come la Spal che nel panorama calcistico nazionale vanta crediti, ma che si sentivano obiettare quando dovevano sedersi a tavola o andare a casa a riposare. Così non sei tranquillo. Non puoi lavorare sereno. Siamo stati zitti. Le cose sono uscite quando ormai era impossibile tenerle tra le quattro mura del Centro, già notoriamente pieno di spifferi, ma sul campo voglio che il presidente mi dica quando mai si è visto che questi ragazzini risentissero di certe mancanze. Sono tornati a casa a Natale con una mancia in tasca. Dai, è andata così, ma la retrocessione è a monte, non è retrocessa la mia squadra, fatico ad accettarlo anche se un giorno dovrò per forza piegarmi ai voleri delle statistiche e dell’almanacco”.

Vista da fuori, si fa per dire, che idea si è fatto del rapporto tra la Spal e il Comune o più in generale le istituzioni ferraresi.
“Dal sindaco Tagliani all’Assessore Masieri io non posso che spendere parole positive, nel senso che ci hanno sempre ascoltato e hanno accolto i nostri bisogni come se fossero i loro anche quando le priorità della città erano e sono, anche adesso dopo il terremoto, altre. Non ho ben capito la questione fotovoltaico, lo ripeto, sono cose che non mi competono perché io ero pagato per occuparmi dei miei ragazzi, ma se proprio mi chiedi di entrare nel merito ti dico che ho avuto l’impressione che innanzi ai loro occhi spesso si presentassero strade che nemmeno loro sapevano del tutto dove li avrebbero portati. Magari è solo una sensazione. Ma ci sono stati vicini, sono perfettamente consapevoli anche loro che perdere la Spal sarebbe una sciagura”.

Parla sempre e molto dei “suoi” ragazzi ma non si avventura mai nel fare nomi. Forse è il momento di farne qualcuno.
“La mia squadra aveva in Marco Zamboni, Cristian Agnelli, Luca Castiglia e Rachid Arma i quattro giocatori indispensabili. Gli altri, bene o male, sapevo come sostituirli. Loro no. E purtroppo nelle due gare da dentro o fuori ci è mancato Luca per infortunio e Cristian era esausto dopo una stagione sempre o quasi vissuta ai cento all’ora. Ma non mi dimentico degli altri. Capecchi e Bedin hanno fatto un girone di ritorno praticamente perfetto, Fortunato mi è piaciuto tanto, Pambianchi idem, Laurenti ha fatto intravvedere cose interessantissime, mentre Ghiringhelli è stata la sorpresa più bella e inaspettata, tanto che credo potrà senz’altro ambire alla B già dalla prossima stagione”.

C’è una cosa che la riempie comunque d’orgoglio alla fine di una stagione così sciagurata?
“I mie ragazzi, senza dubbio, un gruppo di spessore morale altissimo per gli standard in circolazione, gente che si è cucita addosso la maglia proprio come vogliono i tifosi ferraresi: a Ferrara ti perdonano praticamente tutto, anche una retrocessione se dimostri di non risparmiarti mai. Nel nostro piccolo lo abbiamo fatto. E ho saputo che allo stadio è tornata gente che mancava da dieci anni. Serve a poco riempirsi la pancia di aria, ti sazi ma non rimane nulla, il succo è questo. Ma la stagione a Ferrara è stata una breve parentesi in cui io e tutti quelli che erano con me, abbiamo condiviso momenti intensi, fatti di valori umani importantissimi che non dimenticheremo e porteremo nel nostro bagaglio personale ovunque saremo, cercando di trasmetterli a chi incontreremo”.

La rivedremo tra quanto tempo sulla panchina della Spal?
“Non diamoci scadenze, ma penso che se si ripresenteranno le condizioni adatte e qualcuno deciderà che posso essere la guida tecnica giusta, come ho già detto più volte, a Ferrara torno volentieri”.

Basta che non le ripromettano un altro ciclo “virtuoso”, dico bene?
“In questi giorni ho preso coraggio, ho aperto il dizionario e sono andato a vedere se la parola ‘virtuoso’ avesse un significato diverso da quello che conoscevo. E non ho trovato sorprese. E’ stato un aggettivo usato in maniera impropria direi, perché alla fine quello a cui abbiamo assistito tutti è stato un qualche cosa che di virtuoso ha avuto ben poco, se non nelle intenzioni”.

Grazie mister e in bocca al lupo per la sua nuova avventura in Alto-Adige.
“Grazie a voi, ai tifosi e a tutti quelli con cui ho condiviso un anno di Spal. Ferrara resterà sempre nel mio cuore”.

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