LA GIUSTA PAZIENZA, IL CALCIO DEI FRATELLI TOSI E UN CAMPIONATO DA CUI SCAPPARE PRIMA DI SUBITO

Meglio dirlo subito che siamo solo alla seconda giornata e abbiamo dieci giorni di preparazione di ritardo rispetto alle altre; meglio se, a questo, aggiungiamo che la squadra è stata rifatta daccapo, che il gruppo è tutto da costruire e un’identità di gioco, che corrisponda al credo di Sassarini, tutta da trovare. Aggiungiamoci pure, ma comunque non basta, che, chi è fuori, dicono, sarà il fulcro della Spal di un domani che non è, tra l’altro, proprio dietro l’angolo. Una Spal che in tanti ieri abbiamo vanamente cercato sul campo innanzi a una pochezza disarmante. Ci siamo guardati increduli, catapultati in un mondo a cui dovremo abituarci in fretta ma che, forse ancora un po’ presuntuosamente, non sentiamo per nulla nostro. Di Budrio è rimasto il nulla e, come dice Ranzani, senza trarre conclusioni affrettate ma adoperando la giusta distanza di giudizio tra cuore e la verità del campo, se questa è (ma non è) la vera Spal a tornare al piano di sopra serviranno dieci anni. Diciamoci la verità: il pari contro lo spauracchio Mezzolara, tra le favorite del campionato, ci ha ingannato e in tanti avevamo pensato che, giocando così, il Camaiore sarebbe stato poco più di una semplice formalità. Ipotizzabile che anche i giocatori, inconsciamente, lo abbiano pensato. E invece ecco il terzo rigore (netto) regalato agli avversari; uno in Coppa, uno in amichevole, uno in campionato: ora che il cerchio lo abbiamo chiuso, sarà meglio andarseli a procurare i tiri dal dischetto che subirli così. Perché, alla fine, sai com’è, ti girano un po’. E se non sei abituato a perdere, anzi, sei abituato a vincere come Sassarini, figurati come roteano i satelliti intorno a Giove.
Non ha corso la Spal di ieri e il caldo è solo una timida obiezione che regge il giusto: quel che preoccupa, magari, è che gli undici in campo sono spesso sembrati ognuno per sé e non uno per tutti come vorrebbe, tra gli altri, un Benasciutti uscito visibilmente rabbuiato dallo stadio: fatta eccezione per Marongiu e Pignatta e in parte Marchini, il disordine in campo e la disorganizzazione nell’orchestrare la manovra, sono state tra le note più dolenti di un pomeriggio che ha visto uscire festante dal tempio di casa nostra un Camaiore che, punto conquistato a parte, lotterà fino alla fine per evitare gli spareggi retrocessione. Nulla più.
Serie D fa rima con dimensione e non solo come categoria: calarsi in fretta in questo campionato è un obbligo costituzionale a prescindere dal nome e dal passato che ti porti dietro, altrimenti di Federico e Francesco Tosi, di Seghi e di Balleri ne incontreremo ogni domenica pronti a farci la festa. Già, una nota a margine la meritano i fratelli toscani. Sassarini, che li conosce bene per averli avuti a Pietrasanta, sapeva il loro (modesto ma efficace) valore in un contesto comunque misero e alla vigilia aveva avvisato i suoi che il sette e il nove erano da guardare a vista. Per motivi di lavoro, i due, nonostante qualche buona offerta alla mano, non si sono mai spostati dalla loro terra natìa e già questo basta e avanza per comprendere dove siamo capitati: per moltissimi calciatori, il calcio in D è passione, hobby e divertimento, non un lavoro vero. Lo avevamo già sentito a Castenaso, ieri è stato ribadito ancora: le dimensioni più piccole ma consapevoli dei loro ristretti mezzi ma abituate ad arrangiarsi e a costanti sacrifici, alla lunga, sono capaci di dare del filo da torcere a chiunque, soprattutto a chi invece è obbligato a tutti i costi a vincere. La differenza sta nella tranquillità di fondo, probabilmente decisiva, a fronte di chi indossa una maglia che invece, ancora, pesa come una zavorra. Dettagli, forse.
A proposito di maglia: la Spal non ha ancora giocato una partita, amichevoli comprese, con la stessa maglia. Conterà poco, ma conta anche questo: sistemiamoci il vestito il prima possibile come annunciato a Castenaso, senza dover per forza riaprire, ogni volta, il baule dei ricordi del 2005, che già da solo evoca fantasmi pericolosi.
Capitolo Sassarini: a fine gara ha detto a chiare lettere di avere in mente tutta un’altra squadra. Mica poco: demiurgo in questo momento più che allenatore di professione, al mister spezzino va dato tutto il tempo necessario per comprendere il materiale a disposizione e compensare con la grinta e l’abnegazione evidenti carenze e limiti strutturali. Parlare di promozione, adesso, neanche per sogno. Offendere i (tanti) tifosi arrivati al “Mazza” per gustarsi la prima della Sax band, indorando pillole di un amaro mercato estivo dietro il dolce richiamo della serie C come se già fosse conquistata ancor prima di giocarsela non serve a nessuno, se non a far a danni. Non va dimenticato che questa squadra è stata costruita dalla società in fretta e furia con quello che ha trovato sul mercato e non con quello che ha voluto comprare, è un insieme di giocatori messo in piedi più per necessità economiche che per scelta. Questo è il massimo che passa il convento: che basti per vincere o no lo scopriremo cammin facendo ma la questione è che urge capirlo in fretta per non incappare in delusioni evitabili.
Sassarini, ovviamente, deve ancora capire quale sarà l’undici titolare (aspetta ancora dal mercato almeno due ’94): ipotizzabile, di qui a un mese, che la situazione sia ben diversa con, azzardiamo, Mazzoli numero tre, Marcolini numero otto e Rocchi numero nove (benché Pignatta non abbia affatto demeritato ieri, anzi). C’è poi da dirimere la questione Marchini: il capitano, ieri, è piaciuto molto meno rispetto a Budrio, ha sicuro l’esperienza per stare davanti alla difesa ma non il passo ed è palese, benché siamo appena alla seconda di campionato. L’avversario, però, pur modesto, ha evidenziato che lì, una toppa, va messa. Dicono: Marchini in fascia mai, perché lì avrebbe, come minimo, sempre almeno un uomo addosso e allora meglio regista davanti alla difesa con compiti di impostazione e libero da marcature, un ruolo che gli consente, palla al piede, di decentrarsi e portare un po’ di brio alla manovra. Sarà. Intanto è piaciuto e mica poco quando è entrato Federico Massaccesi, classe ’93: palloni buttati zero, testa alta, bel fisico, ordinato e già atleticamente più avanti rispetto ai suoi compagni: pensarlo titolare a Fidenza non è poi così utopistico, magari al posto di un Braiati, oggi almeno, in netta difficoltà ma la cui intelligenza, unita all’esperienza, a gara in corso, può essere fondamentale. Aspettando Marcolini. Se in mediana va così così, sugli esterni va persino peggio. Nulla di grave, per carità, ma se Paris è (veramente) questo e Shqypi è (veramente) questo, fermiamoci subito prima che le nostre aspettative prendano il largo come le mongolfiere che ieri spiavano curiose il “Mazza” dall’alto del cielo, ed evitiamo inutili voli pindarici; senza dimenticare la difesa, che è riuscita a sbandare pericolosamente contro un attacco che più spuntato di quello del Camaiore persino il Giulianova del 5-5-0 di tre stagioni fa, a confronto, sembrava zemaniano: Rosati e Calistri hanno vinto il campionato a Pontedera, eppure a vederli giocare come hanno fatto (fino a) ieri non lo diresti neanche per scherzo. Diamogli tempo. Certo bisogna abituarsi in fretta: noi a loro, loro alla Spal, è così.
Altre sono le cose a cui non eravamo abituati: due partite, due arbitri perfettibili ma già molto (ma molto) meglio di quelli visti negli ultimi quattro anni tra i professionisti, sicuri, sempre vicino all’azione, un po’ troppo fiscali e dal cartellino facile magari con noi, ma che nel complesso non hanno sbagliato nulla, a dispetto della loro giovane età: speriamo non sia un abbaglio destinato a finire presto; infine, fuori lo stadio, la totale assenza di barriere, di zone di prefiltraggio, di steward, di code ai botteghini e compagnia cantante. Non eravamo abituati neanche a questo. E’ il mondo dorato e incantato della D dove tutti, evidentemente, sono più bravi, più belli e più buoni. Ma da cui, comunque sia, bisogna scappare il prima possibile.

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