LA LUNGA CARRIERA DI BOMBER TOSI, GIROVAGO DI PROFESSIONE, A UN PASSO DAI CENTO GOL CON IL CAMAIORE

Federico Tosi da quattro anni è il bomber indiscusso del Camaiore Calcio. Tredici gol in stagione conditi da quattro calci di rigore, il calciatore nativo di Pietrasanta, versiliese doc, classe 1979, proprio domenica scorsa, con la doppietta realizzata a Bagnolo in Piano, ha toccato quota ottantanove centri in carriera in maglia blugranata: trentuno gol in Eccellenza il primo anno, ventitré il secondo, ventuno il terzo e, appunto, tredici sin qui a sedici giornate giornate dal termine e a undici gol da quota cento con la squadra di patron Dini.

Leggendo le statistiche degli anni passati, bisogna ammettere che siamo un po’ indietro sulla tabella di marcia: appena tredici gol. Pochini.
“E’ vero, sto invecchiando (ride). E’ un campionato difficile, io la porta la vedo come sempre ma le squadre attrezzate per fare bene sono molte quest’anno. Ho ancora sedici partite per segnare undici gol. Penso di potercela fare, voglio arrivare a cento con la maglia del Camaiore quest’anno”.

Scherzi a parte, tra te e Piccolo dell’Atletico Piacenza continua la lotta serrata in testa alla classifica marcatori.
“Finché dura è bello stare lassù, al momento siamo pari anche se Piccolo ne avrebbe fatte due in più di reti ma non contano, per fortuna, per le statistiche, visto che gli hanno annullato la partita della prima giornata. La priorità è comunque quella di salvare il Camaiore, l’aspetto gol viene in secondo piano”.

Federico Tosi è l’equivalente di una macchina da gol. Nonostante questo, a trentatré anni, sei rimasto in D. E’ passato il treno giusto per aspirare a qualcosa di più?
“Direi proprio di sì, il treno del professionismo è andato già da qualche anno e devo dire che non ho particolari rimpianti. Nel calcio non basta essere bravo, devi avere il procuratore giusto e gli sponsors adatti per sostenerti. Io non ho mai avuto nessuno dei due e a ventiquattro anni ho deciso di scegliere il lavoro e continuare con il calcio, ma solo per hobby e divertimento”.

Come ci raccontava il Presidente Dini, la vostra è una squadra che, a differenza dei giocatori della Spal e di molte altre realtà blasonate del girone, non vive di calcio.
“Assolutamente no, figurati. Rimborsi spese sì, ma stipendi per poterti permettere di giocare solo a calcio neanche a parlarne. Io stesso sono un ispettore di una compagnia assicurativa ad esempio: lavoro tutti i giorni, dal martedì al sabato mi alleno con i miei compagni e la domenica gioco. Nel mentre faccio anche il marito e il papà di una bambina di quattro anni”.

Torniamo alla tua carriera: in C2 ci sei arrivato vestendo, seppur per pochi mesi, la maglia della Valenzana insieme a Lauria e Malatesta.
“E me ne sono pure scappato a metà stagione: dopo aver giocato la Coppa Italia di categoria e tre partite in cui ho segnato anche un gol ho deciso di tornare a casa. Ho capito che ambiente fosse il calcio. Il professionismo lo pensavo un’altra cosa, lo ammetto, ma mi sono reso conto in fretta che non faceva per me”.

Riavvolgiamo il nastro. Dove nasce calciatore Federico Tosi.
“A sette anni, come a quasi tutti i bambini del resto, ho scoperto che mi piaceva il calcio. Ho mosso i primi passi nella Don Bosco, una squadra giovanile di Pietrasanta e ho fatto di tutto: il portiere, il terzino, il centrocampista esterno. A un certo punto mi sono ritrovato a fare il libero staccato, il sei storico, l’ultimo baluardo prima della porta. E’ stato bello. Mi sono divertito. Mai, però, come quando ho iniziato a segnare”.

Continua.
“Dai quattordici ai sedici anni ho iniziato le giovanili nella Massese: trequartista e punta erano i miei ruoli. Purtroppo però, siamo nel 1997, Massese e Ponsacco furono accusate di illecito sportivo ed entrambe le squadre, benché noi ci fossimo salvati sul campo ai playout, vennero retrocesse in D. La mia carriera non poteva iniziare meglio insomma”.

E poi?
“Poi i miei allenatori non hanno perso il vizio di cambiarrmi ruolo. Sono rimasto una stagione, in D, nel Pietrasanta dove facevo l’esterno in un centrocampo a cinque, una faticaccia che ancora me la ricordo, ogni domenica, fare l’intera fascia; nei due anni successivi ho giocato in Eccellenza nel Forte dei Marmi poi, complice anche il servizio di leva, ho segnato e giocato poco nella Larcianese, in D, una squadra pistoiese. Da qui mi sono spostato ancora, ho segnato sedici gol nel Chiesina Uzzanese, poi altri diciannove in D con la maglia del Chiusi. Detto della poco felice parentesi a Valenza, sono tornato a Forte dei Marmi, ancora in Eccellenza: diciassette gol il primo anno, ventiquattro il secondo compresi i playoff vinti per salire in D. L’anno dopo sono uscito dalla Toscana, ho segnato altri diciassette gol con la maglia della Sarzanese, sempre in D, riuscendo a salvarci; a fine stagione ho ricominciato da casa e sono rimasto due anni a Pietrasanta: ventiquattro gol il primo anno in Eccellenza e con tanto di playoff con in panchina il vostro Sassarini, venti il secondo. Infine, eccomi qui a Camaiore, già da quattro anni. Non mi ero mai fermato così tanto tempo in un solo posto”.

A Camaiore hai trovato la tua dimensione definitiva. E con te gioca anche tuo fratello Francesco, di un anno più giovane.
“Avrà un anno in meno di me ma ne dimostra molti di più (ride)! A lui, come è naturale, mi lega un rapporto speciale: spesso gli tocca farmi fare gol la domenica, ormai ci conosciamo a memoria, abbiamo sincronismi perfetti e, soprattutto, sono otto anni che giochiamo insieme. Lui è stato più bravo e fortunato di me però, credo abbia vinto otto campionati in carriera. Comunque è vero, ora come ora lasciare Camaiore sarebbe difficilissimo”.

Per questo hai detto di no alla Massese un mese fa?
“Anche. A giugno ho dato la mia parola al Presidente, non me la sono sentita di interrompere un progetto importante e di lasciare a metà il mio lavoro e i miei compagni di squadra”.

Squadra garibaldina la tua: quarto attacco del girone ma la difesa, molto spesso, vive di black-out inspiegabili.
“Tutto vero. Se fossimo stati più attenti adesso avremmo sei, sette punti in più e non ci troveremmo ad annaspare in zona pericolo. Abbiamo sempre giocato alla pari con tutte, nessuna delle avversarie che ho incontrato mi ha sorpreso particolarmente a essere sincero. Neppure il Piacenza, anzi, a casa loro siamo andati sul 2 a 0 quasi subito e la gente, che iniziò a sfollare molto presto, si domandava se fossimo il Barcellona o cosa. Alla fine perdemmo 5 a 3 e non è l’unica sfida che abbiamo buttato al vento e dove l’abbiamo presa nel…fiocco come si dice dalle nostri parti (ride)”.

Dai fratelli Tosi a Rizzato, da Balleri a Pirone: la Spal, domenica prossima, dovrà stare molto attenta al collettivo bluamaranto.
“Sono d’accordo. La squadra è giovane ma arriva in porta con una discreta facilità. Non è contro la Spal che dobbiamo portare a casa i punti per la salvezza ma, sicuramente, scenderemo in campo per strappare almeno un pari. Sappiamo che arriverà una squadra con qualche problema per via delle squalifiche: dovremo essere bravi e concentrati al punto da approfittarne”.

In estate, fino all’ultimo, Federico Tosi sembrava in procinto di arrivare a Ferrara.
“Al mister mi lega un rapporto speciale, inutile negarlo, da quando ci siamo incontrati a Pietrasanta. Lui mi conosce benissimo, posso azzardare che è grazie a lui che ho imparato davvero a giocare al calcio, ad attaccare sul secondo palo come insegna a quasi tutti i suoi attaccanti. E’ una persona straordinaria, capace come nessuno, un maniaco della precisione, nulla è lasciato al caso, come prepara lui le partite non ne ho visti in giro da nessuna parte. Potevo venire a Ferrara, verissimo: fino all’ultimo minuto di mercato mi ha cercato. Secondo me non ha insistito abbastanza, poteva essere più convincente (ride)!. No, scherzi a parte, lo ripeto, ho dato la mia parola al Camaiore e fino a giugno, di mercato, non se ne parla”.

E’ vero che Sassarini, nonostante lui dica il contrario, non è stato ispirato da Sacchi nei suoi allenamenti ma da qualcun altro?
“(Ride) Assolutamente, confermo! Gli ha insegnato Francesco Flachi ad allenare al mister, chiediglielo, anche se non lo ammetterà mai!”.

Racconta.
“Sì, è tutto merito dell’ex giocatore di A di Siena, Fiorentina e Sampdoria. L’anno in cui venne squalificato (nel 2007 n.d.r.) venne da noi al Pietrasanta ad allenarsi. Un ragazzo meraviglioso, umile, che forse ha pagato più di quello che avrebbe dovuto i suoi errori. Fu lui a dire al mister di provarmi come unica punta e con un uomo dietro in appoggio. E l’esperimento andò benissimo. Per questo, scherzando, dico sempre all’allenatore che è Flachi che gli ha insegnato davvero ad allenare”.

All’andata fu tuo il gol, su contestato rigore, che sancì il pareggio finale. Che ricordi hai di quel giorno al “Mazza”?
“Volevo prendere casa lì dentro (ride)! Sensazione bellissima giocare in uno stadio così e con un tifo tanto importante. Ho vissuto anche altre realtà come Mantova e Cremona ai tempi della C2 ma niente è lontanamente paragonabile a Ferrara, anche se siamo in D. Mi ricordo perfettamente la curva, fare gol lì sotto deve far venire la pelle d’oca. Io conto che anche domenica vengano tanti tifosi da Ferrara, noi siamo poverelli e abbiamo bisogno di fare un bell’incasso (ride)”.

Il tuo limite, si dice, sia il “caratteraccio”: in campo, molto spesso, la domenica vai a braccetto con qualche cartellino di troppo.
“Sono un giocatore sanguigno, in campo mi trasformo, è un mio limite. Con l’età sto cercando di migliorare ma non è mica facile. Ogni tanto, verso la fine della partita, soprattutto quando magari ho speso molto e magari sto ingiustamente perdendo, è facile che mi innervosisca più del solito, mi parte l’embolo e addio: il mercoledì il giudice sportivo, che ormai conosce benissimo nome e cognome del sottoscritto, mi punisce con un paio di turni regolari”.

A maggio chi sale?
“Non ho nessun dubbio: dico Spal al cento per cento”.

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