LE OCCASIONI MANCATE E LA VOGLIA DI ARRIVARE, OSSIA QUANDO I RIFERIMENTI FANNO LA DIFFERENZA.

Chi di rimonta ferisce, di rimonta perisce. A voler essere sarcastici si potrebbe inquadrare così il risultato della partita di ieri tra Spal e Lucchese. Un pareggio beffardo per tempistica e modalità che lascia tutti con un discreto amaro in bocca. Quando il risultato sembrava già in cassaforte, in pieno recupero la Spal viene, è il caso di dire, fregata da una punizione strana, messa dentro con una  parabola perfetta a metà tra il talento cristallino e il fondoschiena più sfacciato.  Beh, novantanove volte su cento non resterebbe altro da fare se non arrendersi alla dura legge di quell’unico episodio maledetto. Allargare le braccia e constatare che le palla è rotonda, che la partita non è mai finita fino al’ultimo fischio, che le occasioni a volte girano, a volte no e mille altre frasi fatte per dire che nel calcio, come nella vita, è tutto possibile. O quasi. Ma ripensando alla partita di ieri tanto fatalismo buonista potrebbe anche sembrare fuori luogo. Ripercorrendo l’ultima parte del match, infatti, viene da pensare non a come è finita, ma a come sarebbe dovuta andare secondo logica. Una partita che è stata decisa da un episodio, ma che avrebbe dovuto essere già chiusa da dieci minuti o anche più, prima della punizione incriminata. Già, perché dal ventesimo minuto della ripresa, lo ricordiamo, la Lucchese era costretta in dieci uomini a seguito dell’espulsione di Redomi per gioco violento su Braiati. Dal gancio ‘alla Duran’ rifilato in area al mediano ferrarese e subito seguìto da una sceneggiata che anticipava di qualche ora la consegna degli Oscar, nasceva il rigore realizzato in maniera impeccabile da Marchini che ridava fiato ai biancazzurri e una scossa determinante per la rimonta spallina. Sì, perché fino al quel momento la Spal era sotto e con pieno merito, diciamolo pure. Ed è proprio quel tiro dal dischetto che riporta la situazione in parità e dà all’undici di Sassarini una spinta decisiva: bisogna aspettare appena altri quattro minuti per vedere di nuovo il capitano battere Casapieri e portare la Spal in vantaggio. E’ il venticinquesimo minuto del secondo tempo. La Spal mette la freccia e le cose iniziano a cambiare. Si dice. Si Spera. Perché da una squadra in piena trance agonistica e mossa sulle ali dell’entusiasmo per i due gol e il risultato ribaltato, trascinata da un pubblico d’altra categoria contro un avversario in inferiorità numerica, tutti si aspettano la stoccata finale. Un ultimo fendente, il colpo di grazia al match. Un altro gol che andava forse cercato con ancora più intensità e brutalità per chiudere la partita e per scacciare con un’altra prova di forza, come quella di Borgo San Lorenzo, tutti i fantasmi, del campo e non, che girano intorno alla squadra e al campionato. Per mostrare una volta per tutte i muscoli della Spal. E invece no. Dal secondo gol la parola d’ordine diventa amministrare. Nei minuti a seguire il ritmo cala vistosamente e il risultato sembra andare bene alla Spal. Che però non ha fatto i conti con la Lucchese, con quella Pantera ferita, azzoppata ma mai doma che non molla mai e continua a provarci. Innocenti manda in campo due punte in aggiunta a Brega e Chianese e lancia all’arma bianca anche il centrale difensivo Carli pur di scollinare la metà campo e trovarsi con un paio di balzi dalle parti di un Gallo ancora arrugginito dai due mesi di assenza. Corre di più la Lucchese e tiene meglio il campo, tanto che l’inferiorità numerica non sembra neppure riguardarla. Ed ecco in premio l’episodio tanto cercato e il gol magistralmente confezionato dal partenopeo Pettrone, abile a portarsi la palla di quei due metri abbondanti avanti con l’arbitro che non se ne avvede. 
In virtù della sconfitta dell’Atletico Piacenza contro la Massese, la Spal un punto lo guadagna sulla capolista e non ci piove. Ma il pensiero che continua a ronzare, è che il pareggio contro la Lucchese significhi più due punti persi che uno guadagnato. Il discorso è più ampio e non si ferma al campo. Riguarda il momento particolare del campionato, e l’impresa che la Spal sta cercando di compiere per sedersi da sola sul tetto del girone e guadagnare la famosa categoria superiore. Ebbene, la squadra che vince il campionato è quella che ha le qualità per farlo, e a questo punto dell’anno si parla di qualità morali più che tecniche. Le capacità in campo di questo gruppo non sono più in discussione da tempo. Con i suoi pregi e difetti questo collettivo è ampiamente iscrivibile tra i migliori rispetto a quelli incontrati durante l’anno. Ma a questo punto della stagione, una volta scremate le vere concorrenti e accertato che il livello tecnico delle stesse è abbastanza omogeneo, si capisce sempre più chiaramente che a spuntarla sarà chi riuscirà a mettere in campo qualità come la costanza, la tenacia, la concentrazione, e sopratutto il cinismo. Questa è la caratteristica d’oro che alla Spal è mancata ieri e in diverse altre occasioni. La zampata finale. La sicurezza e la semplice determinazione a vincere. E invece la Spal di Sassarini sembra essere una squadra sempre più a corrente alternata. Non tanto alternando prestazioni buone ad altre meno buone, ma ora cambiando faccia più volte anche durante lo svolgimento della stessa partita. E’ successo contro la Fortis Juventus, quando ad un primo tempo pessimo ne è seguito un secondo meraviglioso, ed è successo ieri, quando si è assistito ad un primo tempo anonimo, ad un inizio di ripresa arrembante e poi ad un finale meno brillante dell’assalto rosso nero. Certo, ributtare nella mischia Gallo dopo la lunga assenza proprio in una partita come quella di ieri forse è stata una mossa azzardata, e non senza conseguenze. E anche proseguire con un attacco tanto corale quanto spesso inconcludente mentre uno dei migliori realizzatori sta guardando dalla panchina (vedi Marongiu) lascia qualche pensiero. Però oggi le obbiezioni tecniche a chi guida la Spal sembrano poter passare in secondo piano. In più le assenze di Nodari e Rosati sono pesanti a livello di sicurezza e di soluzioni possibili, e ora quella di Fiorini complica notevolmente la faccenda. La grossa domanda risiede nella motivazione è nello spirito con cui i ragazzi scendono in campo la domenica. Certo, le questioni societarie, i recenti fatti e le imminenti scadenze per il pagamento degli stipendi potrebbero anche avere qualche strascico. Ma il discorso vero e proprio è nello spogliatoio, ed è li che chi impugna le redini forse non è ancora riuscito a dare gli stimoli, i riferimenti e il carisma giusti, senza i quali la continuità per fare gare della stessa tensione e la spietatezza per superare e schiacciare un avversario, sopratutto se in difficoltà, sono solo miraggi. Ed è in questo modo che si corre il rischio di rimanere alla fine vittime di tante piccole occasioni perse.

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