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Sette anni con il biancazzurro addosso non sono facili da scordare. Anzi, lasciano proprio il segno. Soprattutto se quel tempo è coinciso con una formazione umana e caratteriale, prima ancora che calcistica. Mauro Bresciani sa bene cosa significa stare alla Spal, avendo fatto tutta la trafila delle selezioni giovanili a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e Novanta, fino ad affacciarsi alle porte della prima squadra. Per questo quando parla del suo lavoro come allenatore degli Esordienti 2002, lo fa con la sicurezza di chi sa quali valori trasmettere ai propri ragazzi. Lo abbiamo incontrato prima di uno degli allenamenti settimanali con la squadra, per conoscere meglio lui, il suo pensiero e la sua squadra.

Mister, intanto una premessa, vista la tua giovane età: com’è nato il tuo passaggio dal ruolo di calciatore a quello di allenatore?
“Ho iniziato ad allenare quando ancora giocavo, verso la fine della mia carriera. All’epoca ero all’Emmetre e mi chiesero se ero disponibile a occuparmi di una squadra Esordienti. Accettai, e da lì è iniziato il mio percorso: dopo quella esperienza ho ricoperto lo stesso ruolo al Bosco Mesola e al Comacchio Lidi, fino all’arrivo poco più di un anno fa alla Giacomense”.

E come è nato il trasferimento alla corte di Mattioli?
“Una volta smesso di giocare ho unito l’attività di allenatore a quella di osservatore per il Cesena. Attraverso una serie di contatti è nata la possibilità di allenare una selezione della Giacomense, gli Allievi Interprovinciali, e ho accettato di buon grado. Si è rivelata una scelta giusta, perché l’anno scorso è stato molto positivo sotto ogni punto di vista”.

E’ stato difficile passare dal dilettantismo al professionismo?
“Beh, sono sicuramente due mondi molto diversi, ma non posso dire di essere arrivato impreparato. Ho trascorso sette anni nel settore giovanile della Spal, quindi so come si lavora a questi livelli. L’organizzazione societaria poi è eccellente, quindi tutto è andato per il meglio”.

Si parlava in precedenza degli Allievi della scorsa stagione: ora una parte di quel gruppo è nella selezione nazionale allenata da Alessandro Rossi, che sta ben figurando nel suo campionato. 
“Sì, ed è una bella sensazione vederli maturare sotto il profilo tecnico e tattico. Ovviamente non riesco a seguire le loro vicende con costanza, però mi informo e provo soddisfazione nel sapere che stanno facendo bene”.

Si arriva quindi all’estate 2013, quando è arrivato l’incarico per la squadra Esordienti 2002 della Spal.
“Già, una squadra che io stesso ho chiesto di allenare, visto che gioca le sue partite di sabato e mi permette di fare attività di scouting la domenica. E’ fondamentale andare in giro per vedere ragazzi nuovi da inserire nel nostro settore giovanile, così ogni settimana mi organizzo in sintonia col nostro responsabile Orlandini”.

E’ difficile avere a che fare con dei ragazzi così giovani? Stiamo pur sempre parlando di classe 2002.
“Ma no, non come si potrebbe pensare. Soprattutto perché la maggior parte di loro viene selezionata accuratamente attraverso il lavoro di scouting che menzionavo prima, quindi possiamo già dire di conoscerli quando arrivano qui. Ovviamente, trattandosi di ragazzini di undici e dodici anni, di tanto in tanto bisogna riprenderli per farli stare concentrati, ma è una cosa da poco”.

Spesso gli allenatori di queste selezioni si lamentano per una tendenza all’indisciplina… da questo punto di vista come vanno le cose?
“Direi che non è il mio caso, i ragazzi si comportano sempre bene perché sanno che c’è un regolamento di spogliatoio da seguire alla lettera. D’altra parte devono essere i primi a capire che se imparano a seguire le regole potranno proseguire nel loro percorso. Difficilmente si riesce a correggere un atteggiamento sbagliato verso i quindi e sedici anni, e questo finisce per condizionare delle carriere”.

Come è impostato il lavoro sul campo? Prediligi un approccio ludico o si inizia già a parlare di tattica?
“Beh, quando si lavora con ragazzi di questa età l’obiettivo primario è dare loro gli strumenti di base per giocare a calcio. L’attenzione principale deve essere concentrata sull’aspetto della coordinazione motoria, a maggior ragione perché fanno sempre meno attività fisica e all’aperto. Poi c’è un elemento di tecnica di base e infine i primi concetti tattici. Anche perché questi ragazzi per la prima volta passano da partite con sette giocatori a partite a undici, quindi hanno bisogno delle indicazioni essenziali per imparare a stare in campo”.

Dalla tua esperienza di giocatore nel settore giovanile della Spal hai tratto qualche elemento che poi è confluito nel tuo lavoro di allenatore?
“Sicuramente, soprattutto perché ho avuto dei maestri di grandissimo spessore come Pasetti, Vanzini, Colomba, Benini e Gibì Fabbri, giusto per fare qualche nome. Da ognuno di loro ho tratto qualcosa per il mio metodo d’insegnamento”.

Voltiamo pagina, verso un capitolo usualmente dolente: il rapporto con i genitori com’è?
“(Sorride) Di norma con i genitori sono molto chiaro a inizio stagione: prima dell’inizio dell’attività li incontro per presentarmi e spiegare cosa faccio e come lo faccio. Detto questo, sono a loro disposizione in caso di necessità, senza forzare dei rapporti. Finora non ho avuto problemi di sorta, vedo che i genitori sono molto rispettosi del mio ruolo e anche alle partite si comportano a modo”.

Spesso ad alzare la pressione dei genitori contribuisce il fatto che i loro figli indossino la maglia della Spal. I ragazzi invece quanto sono condizionati da questo aspetto?
“Non più di tanto. Una decina di quelli che ho a disposizione ha già fatto parte della Real Spal nella scorsa stagione, quindi per quanto fosse una realtà non semplice, hanno comunque vissuto quel tipo di sensazione. Gli altri hanno avuto bisogno di un periodo di rodaggio, a maggior ragione perché venivano da esperienze nel dilettantismo. Ma si sono adattati abbastanza in fretta, grazie anche ai compagni”.

Invece per te che significa stare su una panchina della Spal?
“Beh, per me è come essere a casa. E mi fa piacere vedere che questo nome sta recuperando credibilità e popolarità. Quando si va da una società più piccola ci si accorge subito che il nome Spal è in grado di aprire molte porte”.

La tua carriera di allenatore è ancora agli inizi: ti vedi alla guida di una prima squadra nel prossimo futuro?
“No, affatto… sto bene tra i giovani e vorrei continuare a occuparmi di loro anche in futuro. Credo non ci sia gioia più grande che vedere arrivare un giocatore arrivare in alto dopo averlo allenato nelle giovanili. E’ questo lo scopo del mio lavoro”.



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