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Il dopo partita di Forlì-SPAL, oltre alla rabbia e alla frustrazione dei tifosi spallini, ha riservato risvolti quasi fantozziani che hanno ricordato la celebre circolazione “di voci incontrollate e pazzesche” di Italia-Inghilterra. Infatti a poco meno di mezz’ora dal fischio finale hanno iniziato a farsi strada segnalazioni di avvistamento di potenziali sostituti di Oscar Brevi sulle tribune dello stadio Morgagni di Forlì. Considerato che buona parte della tifoseria lo vorrebbe vedere disoccupato da domani, questo non sorprende. Due i nomi circolati con più insistenza nella serata di venerdì: David Sesa e Leonardo Semplici. Il primo è già transitato da Ferrara come giocatore durante la presidenza Tomasi e da febbraio è alla ricerca di una panchina, il secondo è reduce da buoni risultati con la Primavera della Fiorentina. Sulla presenza di Sesa a Forlì non ci sono conferme credibili, mentre Semplici era effettivamente seduto sulla tribuna dello stadio romagnolo. Peccato che fosse lì in qualità di potenziale successore di Roberto Rossi, allenatore del Forlì, considerato pericolosamente traballante alla vigilia del confronto con la SPAL.

Al di là di questi dettagli, la verità è che in questo momento l’esonero di Oscar Brevi non è da considerarsi una prospettiva realistica. Per quanto esista e sia palese una differenza di vedute tra dirigenza e allenatore, sembra improbabile che questa sia sufficiente per causare un divorzio che alla luce della classifica avrebbe del sorprendente. Perché attualmente la SPAL si trova lì dove ambiva a trovarsi quando ha fissato i suoi obiettivi a luglio. A meno che ai piani alti di via Copparo non ci si sia convinti – in un secondo momento – che questo organico può effettivamente competere con quelli di Ascoli, Pisa, L’Aquila e Teramo per un piazzamento playoff alla luce del grande equilibrio registrato finora. Ma se è così la dirigenza deve uscire allo scoperto e chiarirlo definitivamente e inequivocabilmente, senza alludere alla solita formula secondo cui “sognare non costa nulla”. Perché in questo modo si alimentano ambiguità che possono avere conseguenze preoccupanti a livello ambientale. In primis aspettative irrealistiche instillate nella tifoseria.

Ci sono poi da valutare due aspetti pratici che di norma finiscono col pesare sul destino di un allenatore. Il primo riguarda il livello di coesione tra giocatori e tecnico. In questa SPAL risulta essere ancora a livelli più che buoni, motivo per cui non è realistico pensare di poter far leva su una sfiducia a livello di spogliatoio. A meno che qualcosa non finisca per guastarsi nelle prossime settimane.
Il secondo aspetto, forse ancora più influente, ha a che fare col bilancio societario. Conviene davvero, a una proprietà giustamente parsimoniosa come quella attuale, imbarcarsi in una ulteriore spesa per cambiare staff tecnico? Anche perché nel caso si porrebbe un problema: in un momento del genere o si finisce con l’ingaggiare un allenatore interinale per sette mesi (come fu Gadda la scorsa stagione), oppure si va sul grande nome che nella migliore delle ipotesi chiede due anni di contratto con cifre importanti. Con logiche ripercussioni sul budget per i giocatori. A questo si può tranquillamente aggiungere la scarsa propensione dei Colombarini agli esoneri. Già l’anno scorso la separazione con Leonardo Rossi venne vissuta come un momento traumatico e non in linea con i precedenti storici della Famiglia.

Alla luce di tutto questo il dilemma appare tutto sommato semplice: se la società ritiene che l’organico sia dai playoff e l’allenatore non all’altezza, può decidere di scaricare Brevi per affidarsi a un altro, con la speranza che il sostituto possa ottenere risultati e gioco migliori. Diversamente, se ha veramente fiducia nel tecnico, può investire a gennaio per puntellare la rosa e inseguire quei sogni di cui ha fatto menzione nelle scorse settimane.



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