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Se c’è qualcuno, nel mondo del calcio, che può dire di conoscere bene Leonardo Semplici questo è senz’altro Andrea Consumi, che nella SPAL ricopre il ruolo di vice-allenatore. Oltre alla cittadinanza fiorentina – che induce Semplici a pronunciarne il cognome come Honsumi, con la tipica C aspirata – Andrea Consumi infatti condivide con l’attuale mister un percorso professionale iniziato più di quindici anni fa: “Ci siamo conosciuti ai tempi della Rondinella, in serie D, alla fine degli anni Novanta, per poi ritrovarci qualche tempo dopo in C2 a Grosseto”.

Con sei anni di età a dividere i due le rispettive strade si sarebbero potute separare, ma non è stato così. Semplici, una volta diventato allenatore del Figline, ha voluto con sé il suo ex compagno di squadra per farlo giocare a centrocampo, così Consumi, classe 1973, si è tolto la soddisfazione del doppio salto di categoria in gialloblu prima di chiudere col calcio giocato nel 2011. A convincerlo ad appendere le scarpe al chiodo ci ha pensato proprio il suo amico Semplici: “In quel periodo mi stavo allenando col FiesoleCaldine, una squadra di Firenze che fa il campionato di Eccellenza: Leonardo mi chiamò, dicendomi che gli serviva un vice-allenatore nella Primavera della Fiorentina. Visto che pochi mesi prima avevo fatto il corso a Coverciano ho accettato volentieri e da ormai quattro anni lavoriamo insieme”.

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Com’è cambiato il vostro rapporto nel corso degli anni?
“Ovviamente nel periodo in cui sono stato un suo giocatore ho adottato un atteggiamento diverso, per rispetto nei suoi confronti e soprattutto dei compagni di squadra. Ora invece c’è un bel rapporto tra colleghi, ci confrontiamo spesso e sempre in maniera costruttiva. In fondo vediamo il calcio allo stesso modo. Magari ci può essere qualche differenza in termini di sfumature e in casi del genere si discute e uno dei due finisce col cambiare idea”.

Semplici in più occasioni ha sottolineato l’importanza del lavoro di analisi video, di cui sei il principale responsabile.
“Sì, è un aspetto fondamentale per far sì che una squadra sia adeguatamente preparata. Per cui studiamo assieme ai giocatori sia le nostre partite, per capire cosa facciamo bene e meno bene, e poi gli avversari per farci trovare pronti al momento di affrontarli”.

Di solito è quel genere di pratica che annoia a morte i giocatori. Era così anche per te?
“No, devo dire che anche da giocatore mi piaceva. Certo, se non era troppo lunga. Infatti noi cerchiamo di fare sessioni da dieci o quindici minuti al massimo, perché altrimenti la soglia d’attenzione cala inevitabilmente”.

Hai già pensato al giorno in cui ti metterai in proprio?
“Beh, la mia intenzione quattro anni fa era esattamente quella, ma adesso non ne sento affatto il bisogno perché mi sento valorizzato qui nel lavoro che faccio. Grazie a Semplici mi sento già ora un allenatore”.

C’è invece tra gli attuali giocatori qualcuno che lascia intravedere le qualità giuste per diventarlo in futuro?
“Sono indeciso se rispondere o meno, perché i giocatori non amano mai particolarmente le considerazioni sul loro futuro (ride). Però se devo fare dei nomi dico sicuramente Cottafava e Togni, gli altri credo siano ancora lontani anche solo dal pensarci”.

Negli ultimi tre mesi la squadra ha macinato punti a ritmo da promozione: cosa c’è dietro alla metamorfosi a cui abbiamo assistito?
“Eh, tante, tantissime cose… prima di provare a rispondere va fatta una premessa: quando siamo arrivati, sei mesi fa, abbiamo trovato un gruppo di grandi lavoratori. Ragazzi estremamente disponibili al sacrificio. Non c’è un singolo in questo collettivo che si tiri indietro o non abbia il proposito di migliorarsi. Detto questo, la prima cosa che abbiamo fatto è stata lavorare sull’aspetto fisico, perché la condizione della squadra non era consona all’idea di calcio che avevamo in mente. Questo ha richiesto un periodo di quasi quaranta giorni”.

Il secondo passo quale è stato?
“Ridare una fisionomia alla squadra e in questo è stato veramente bravo il mister, perché ha scelto di cambiare il modulo di partenza in base alle caratteristiche dei giocatori che aveva a disposizione. Dopo essere partiti col 433 abbiamo notato che soprattutto nella fase difensiva non c’era l’adeguata sicurezza, per cui è nata l’intuizione del 352 che ha permesso di prendere fiducia e lavorare su alcuni automatismi. La valorizzazione delle caratteristiche di alcuni ragazzi ha poi fatto il resto”.

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E’ il caso di Finotto?
“Lui rappresenta sicuramente il caso più evidente. Quando arrivammo ci disse di essere una punta esterna e invece schierarlo punta centrale ha permesso alla squadra di esprimersi meglio in attacco, oltre che favorire la sua esplosione in termini di rendimento”.

Però viene anche spontaneo attribuire i meriti dei progressi in difesa all’innesto di Cottafava.
“Marcello è molto importante, ma penso che tutto il reparto sia cresciuto nel corso delle settimane. Di partita in partita abbiamo visto prestazioni sempre più convincenti anche di Gasparetto, Silvestri e Giani”.

La stagione ormai è agli sgoccioli. Ti rode un po’ andare a Reggio Emilia senza la possibilità di giocare per i playoff?
“Non più di tanto, nel senso che ho rosicato molto di più a Carrara…”.

Là ti abbiamo visto esultare come mai dopo il gol-vittoria di Giani.
“Sì, è davvero difficile vedermi in certi atteggiamenti, ma lì ero ancora convinto che la Reggiana fosse sotto 2-0 e che la vittoria ci avrebbe permesso di avvicinarci. Purtroppo così non è stato, ma se ripenso a quando eravamo a dieci punti da loro e a quello che è venuto dopo mi dico che abbiamo fatto comunque qualcosa di importante”.



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