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Johann Cruijff se ne è andato da nemmeno un’ora, che mi arriva una telefonata da uno stimato collega: “Oh, ma non è che si può chiedere alla SPAL di fare un minuto prima di SPAL-Savona di silenzio per commemorarlo?”. L’idea tutto sommato è buona, ma non può funzionare: primo perché per cose del genere serve un’autorizzazione della Lega, secondo perché i motivi per fermarsi un minuto e riflettere sulle cose più grandi del calcio ci sono già e sono anche parecchi. La tragica scomparsa di Sara Buccolini, le studentesse morte nell’incidente in Spagna, le vittime dell’attentato di Bruxelles. Insomma, in un’ipotetica scala di priorità, Johan Cruijff sarebbe arrivato quarto. Per come era fatto, mi sa che non gli sarebbe interessato particolarmente.

Ci sono almeno un paio di cose che nel contesto di SPAL-Savona mi hanno fatto ripensare a Cruijff. La prima è che in una delle ultime interviste concesse a La Gazzetta dello Sport, sottolineò che il giudizio sui singoli giocatori è sempre una cosa parecchio difficile. Perché il calcio è uno sport in cui ognuno dipende dall’altro e soprattutto perché ad alti livelli sono dettagli praticamente invisibili a fare la differenza: “Se ti chiedo perché Messi è forte, tu non avrai problemi a rispondermi. Ma se dovessi chiederti di spiegarmi perché Xavi è altrettanto forte, non sapresti farlo”. Messi finalizza e porta a casa i premi, Xavi inventa e non porta a casa niente… o quasi. In fondo è così anche in una partita della SPAL contro il Savona: Cellini segna, porta a casa il pallone e buona parte degli onori, gli altri rischiano di fare da cast di supporto. Ma non è così: se c’è una SPAL dell’era recente che sta dimostrando di ragionare da squadra, è proprio questa. Un gruppo in cui ognuno fa la sua parte, e poco importa se non arrivano le copertine come forma di celebrazione. Si lavora per qualcosa di più grande e duraturo.

Il secondo pensiero riguarda il minuto di silenzio che c’è stato al Paolo Mazza, ma non per Cruijff. Va bene lo stesso, perché inconsciamente Semplici e Braghin hanno fatto la loro parte tenendo in panchina i loro due numeri 14. Uno era Bellemo e l’altro Rondanini. Che non l’avranno presa bene lì sul momento, ma che magari si troveranno a rivalutare quel numero da qui in avanti.

Ah, c’è poi quella non secondaria ossessione dell’olandese per gli spazi. Probabilmente Osvaldo Soriano pensava a lui quando ha messo in bocca queste parole al suo Peregrino Fernandez: “Ci sono tre generi di calciatori. Quelli che vedono gli spazi liberi, gli stessi spazi che qualunque fesso può vedere dalla tribuna e li vedi e sei contento e ti senti soddisfatto quando la palla cade dove deve cadere. Poi ci sono quelli che all’improvviso ti fanno vedere uno spazio libero, uno spazio che tu stesso e forse altri avreste potuto vedere se aveste osservato attentamente. Quelli ti prendono di sorpresa. E poi ci sono quelli che creano un nuovo spazio dove non avrebbe dovuto esserci nessuno spazio. Questi sono i profeti. I poeti del gioco“.
Gente di questo tipo al Mazza purtroppo la devo ancora vedere, ma da ieri le probabilità che questo possa accadere in futuro sono aumentate. Lo spazio tra la SPAL e il sogno di un’intera città, è sempre più sottile.



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