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Senza parole. Esatto. Senza parole… e come si fa a scrivere un articolo, se uno non ha le parole per farlo? Boh, questo non lo so, magari mentre picchetto sui tasti di questo massacrato portatile stanco, magari escono, forse basta mettersi in modalità rewind e ricordarsi, qualche ora fa, tra gli amici, nell’umidità e nel calore di migliaia di abbracci, grida, urla ed occhi lucidi. E’ vero c’è il rischio di essere ripetitivi, melensi, mielosi. Ma che ci vuoi fare, nemmeno i sogni, quelli più azzardati ci avrebbero fatto immaginare una realtà così. Due punti dalla vetta della serie B. Ma ci state prendendo in giro? Ce lo stiamo sognando, oppure è la realtà?

Vero, verissimo, super vero, piedi per terra, il nostro obiettivo, la salvezza, è lontano 18 punti. Solo 18 punti e siamo neanche alla metà di dicembre. Ok, lo sappiamo, nessun volo pindarico, verranno i momenti difficili, le locuste, il Boicelli diventerà rosso sangue, Meret si dimenticherà di salutare la curva, ed altri mille se, però e ma. “Un anno, un mese, un’ora” dovesse durare questa classifica, l’oggi, l’adesso, dice meno due dalla vetta, da quegli scaligeri, mai simpatici, che qualche mese or sono ci strapazzarono in casa. Un’eternità, forse un mai, senza scomodare “gli anni d’oro della grande SPAL e gli anni dei successi in serie A” ci ha visto lassù. Per descrivere senza retorica, le emozioni, la gioia e la passione di questa giornata ci vorrebbe Gianni Brera, ci vorrebbe una canzone con parole e testo di Dylan/Lennon, una poesia di B. Brecht, insomma ci vorrebbero quelli bravi. Ma bravi davvero.

Noi siamo la SPAL, sì quella Cenerentola fallita due volte, retrocessa e svilita fino ai dilettanti, quella squadretta che arrancava in terza, quarta e quinta serie. Ma oggi no, non lo siamo più. La nebbia, il simbolo umido della nostra città, tanto odiata dai ferraresi, ma tanto parte di noi. Soffiava la nebbia dalla casa del custode. Noi partiamo con un gol a favore degli avversari di default, come si faceva nel cortile quando si giocava grandi contro piccoli. Troppo facile, sarebbe altrimenti. Dopo quel gol, ci siamo trasformati nei Demoni di Dostoevskij, annichiliamo gli spazzini, pareggiamo con uno spizzo da favola del filosofo. Non mi soffermo, sulle urla, sulle bocche e sulle facce, l’ho già fatto altre volte. Voglio arrivare alla fine, l’ultimo quarto d’ora. Secondo tempo d’equilibrio. Poi, ci pensa il bomber. Ante7, c’è anche quando non c’è. Mette in apprensione tutta la compatta difesa spezzina. Dalla curva vediamo poco, ma una frazione di secondo dopo il tiro capiamo tutto e saremo da ricoverare alla neuro, in sala M, a san Bartolo ed in Via Ghiara. Grazie professor Basaglia per averci aperto i cancelli… Due a uno. Punto.

Quanto manca? Un secolo, quindici minuti eterni, lunghi come un’era geologica. C’è chi guarda il proprio smartphone e sussurra frasi incomprensibili guardando la classifica della serie B. Risultati, incroci, che ci conducono oltre il nido del cuculo, talmente in alto che neppure Mike Bongiorno sarebbe stato in grado di farci la reclame. Ho, abbiamo, la gola in fiamme, le mani arrossate e la testa fra le nuvole. Ma entriamo in campo, tutti. Io sono su tutti i palloni, raddoppio sul loro 17, supporto Vicari e Gasparetto. I più giovani e veloci aiutano Lazzarino sulla fascia, i mancini spingono Bego. I piedi fini proteggono Schiatta, gli ex punteri, duettano, col bomber, con Zigo, con Cerri e Finotto, tenendo la palla lontana dall’area. Tutti i rimpalli per loro. Le mani abbracciano parti, pallide e mai raggiunte dalla luce del sole. Mischie, in area nostra. Marchegiani c’è, ed a fianco a lui tutti quelli che almeno una volta nella loro vita hanno giocato in porta. Rilancio. Il campo sembra in discesa, la nebbia ci avvolge, sembra volerli (gli avversari), spazzare via. Ma loro non demordono. Giallo a Schiatta, rosso a Gaspare, ma perché cacchio (metafora), l’ha espulso? Il collaboratore di linea, cosa ha visto in mezzo a quella fumana? La Lega e le designazioni arbitrali si prendono nomi tutt’altro che simpatici. Soffriamo. Siamo tutti in campo, giovani, vecchi, donne e bambini, the wall viene eretto dentro l’area piccola. Otto mesi, sembra durare il recupero. Poi, palla vicino alla gradinata, ed eccoli. I tre fischi.

Non ci si crede, richiesta di t.s.o. collettivo per tutta la ovest. Siamo impazziti. I soliti telefonini, le solite classifiche, ci confermano ciò che non crediamo. Senza fretta, anzi controvoglia, si discendono i gradoni, gli ultimi abbracci, saluti “calorosi” agli spezzini, commenti, gioia e incredulità. Un ragazzo, mai visto mi dice che forse è il premio per i venticinque anni appena trascorsi, io non so, forse è mezzo secolo che non accade ciò che sta accadendo.
Ci penso un attimo, guardo il ragazzo e credo che lui forse venticinque anni fa aveva due anni o forse meno.
Si defluisce con calma. Abbraccio il capitano, gli sussurro in un orecchio ciò che già sa. Siamo secondi, gli dico, testa nelle nuvole, un arrivederci a presto. Ma per stasera, siamo là, dove osano le aquile e dove nessuno di noi mai avrebbe creduto possibile essere. E’ vero i sogni, non finiscono mai.



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