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Il nome di Fermo Favini potrebbe non dire granché al primo impatto, nemmeno sentendo il soprannome con cui è più conosciuto, Mino. Ma se lo colleghiamo al settore giovanile italiano più prolifico degli ultimi vent’anni forse qualche campanello in più inizia a suonare. Nel 1990 Antonio Percassi, presidente dell’Atalanta, lo chiama a Bergamo per seguire il vivaio nerazzurro, così Favini lascia il Como – dove tornerà nel 2015 dopo aver lasciato definitivamente Zingonia – per iniziare l’avventura che più lo segnerà nel calcio. Sotto la sua guida sono tanti i talenti esplosi negli anni: da Montolivo a Pazzini, passando per Bonaventura, Baselli, ZappacostaConsigliConti, Caldara e Sportiello, senza dimenticare Zambrotta, scoperto in riva al Lario, e prima ancora Tacchinardi. Oppure talenti incompiuti, come Comandini e Morfeo. Tra questi, anche Alberto Grassi, ora alla SPAL, che dopo essere tornato a disposizione di Semplici proprio nelle ultime ore, domenica farà visita all’Atalanta da ex.

Se la lesione al retto femorale di cui è stato vittima ad inizio ottobre l’avesse lasciato in pace, forse adesso staremmo parlando di lui come giocatore chiave nello schema del tecnico fiorentino. Invece le statistiche sono impietose: settanta minuti di gioco, divisi in due spezzoni da 58′ e 12′ rispettivamente contro Inter e Milan, senza lasciare il segno. Ma per il centrocampista di proprietà del Napoli in prestito alla SPAL adesso può essere il momento della rinascita, come si augura anche Favini, che a Zingonia Grassi lo ha visto crescere dall’età di sette anni: “E’ un buon centrocampista che dalla sua ha sicuramente la giovane età (è nato nel marzo 1995). Forse da lui mi aspettavo qualcosa di più in questo preciso momento della sua carriera, però si tratta di un giocatore di buone qualità. Non parliamo di un campione, ma per una squadra come la SPAL può sicuramente fare la differenza. Del resto se si è mosso addirittura il Napoli per averlo quando aveva appena compiuto vent’anni vuol dire che le caratteristiche per far bene le ha”.

La parentesi, non ancora formalmente chiusa, in Campania è stata caratterizzata più da infortuni che da acuti. Lo dimostra anche il fatto che con la maglia del Napoli non abbia mai esordito.
“Diciamo che quando ha lasciato l’Atalanta era sicuramente più quotato di quanto non lo sia ora. Ripeto il mio punto di vista: si tratta di un giocatore duttile, capace di fare sia l’interno di centrocampo che l’esterno in casi di emergenza, però è naturale che solo il tempo ci dirà quali siano le reali potenzialità del ragazzo. Vista la formula con cui il Napoli l’ha ceduto alla SPAL (prestito annuale con diritto di riscatto e controriscatto), può essere che puntino ancora su di lui, ma non nego che da lui mi sarei aspettato molto di più e non so quali siano le ragioni che ne hanno bloccato il processo di crescita. I paragoni con i giovani della sua stessa annata sono ingombranti: Caldara e Conti, ad esempio, hanno già fatto vedere cose importanti”.

Grassi può essere considerato come una delle sue scoperte però.
“Sì, tarda a venire a galla, ma è un giocatore che stimo. Spero non sia uno di quei talenti inespressi, ma il rischio c’è. Può capitare che si spendano parole troppo entusiastiche nei confronti di un giovane senza essersi realmente resi conto quanto possa valere. Io adesso sono fuori dal calcio e non so nel dettaglio le dinamiche che riguardano la sua crescita. Posso solo dire che spero che riesca ad esprimersi al meglio al più presto”.

Più in generale, parliamo di settore giovanile. La SPAL sta investendo in questa direzione e il modello atalantino è sicuramente un esempio da seguire. Ferrara può essere la piazza adatta per replicarlo in qualche modo?
“Sì, ma ogni società può mettere in piedi un progetto simile. Occorrono tempo, pazienza, impegno e persone in gamba che sanno come lavorare, sanno come capire quale sia il giusto metro di valutazione del ragazzo. Poi di giovani ne passano sempre tanti in un settore giovanile ed è più probabile, per la legge dei grandi numeri, che qualche prospetto interessante venga fuori. Però non è detto, perché dipende sempre da chi guida il gruppo e da chi esamina questi giocatori per capire se ci sono veramente le potenzialità per farlo arrivare fino alla prima squadra, perché dev’essere poi questo l’obiettivo di un settore giovanile: far arrivare forze fresche tra i grandi”.

Sempre più spesso però le squadre italiane puntano su giovani provenienti dall’estero.
“Eh, questa cosa un po’ mi preoccupa. Quando leggo alcune formazioni mi capita di non trovare neanche un italiano e questo mi fa pensar male. Ma è un problema saltuario perché ogni settore giovanile può attraversare periodi floridi, alternati ad altri in cui, per forza di cose, bisogna trovare soluzioni alternative”.

Un giudizio sull’Atalanta? La sorprende l’exploit di questi ultimi due anni?
“Sì, anche se non credo che l’Europa possa diventare la sua dimensione abituale. Ma è sicuramente un’eccezione che fa bene alla città e al calcio italiano”.



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