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Alla vigilia della sfida del “Vigorito” ci si poteva illudere che battere il derelitto Benevento fosse una cosa scontata. Ma nel calcio e nello sport in generale questo è un errore decisamente banale. Soprattutto perché proprio poche ore prima, diversi pronostici erano stati nettamente sovvertiti: l’Udinese aveva inflitto all’ex capolista Inter la prima sconfitta stagionale, mentre Milan e Sampdoria erano impegnate a prenderle rispettivamente da Hellas Verona e Sassuolo. Quindi perché dare per certa anche la vittoria della SPAL in Campania, in uno scontro che valeva forse più per i sannitiche per la squadra di Semplici?

Entrambe le squadre sono entrate in campo con le spalle al muro: il Benevento per ragioni di carattere aritmetico, la SPAL per quelle di carattere psicologico. Perché ritrovarsi a -4 dalla linea di galleggiamento, per di più concedendo la vittoria a una squadra mai in grado di coglierla, avrebbe generato uno psicodramma fatto di negatività e critiche, magari anche di cattiverie, con conseguenze inimmaginabili. Di tutt’altro peso, invece, è il KO per il Benevento, ora a -13 dal quartultimo posto, un’infinità per chi di punti ne ha fatto solamente uno dopo 17 giornate e grazie ad un miracolo del proprio portiere. Quindi quella del Vigorito era una partita proibitiva, forse la più complicata di questo girone d’andata visto il mix di aspettative e circostanze dovute ai risultati delle rivali nella corsa salvezza. Perché giocare sapendo già i risultati delle altre partite può essere sì un vantaggio, ma anche estremamente penalizzante, ed è stato proprio questo il destino della SPAL.

Che ha risposto presente nell’occasione in cui doveva tirare fuori grinta e attributi, soprattutto dopo l’autogol di Cremonesi che ha spinto Semplici verso il baratro e i criticoni al banchetto delle banalità, cioè a schierarsi ancor più nettamente in quella fascia di tifo che i colori biancazzurri li abbraccia più per moda che per amore incondizionato. Calma, non che l’amore incondizionato sia giusto a prescindere, ma in una stagione come questa, tanto inaspettata quanto meritata, i pesi da mettere sulla bilancia sono tanti, forse troppi per analizzare in maniera completa la situazione. In ogni caso sono arrivati due fendenti del Boia a mettere (quasi) tutti d’accordo, entrambi propiziati dal sempre più decisivo Antenucci e rifinite da Schiattarella prima e da Mattiello poi. Situazione completamente ribaltata, proprio quando c’era chi aveva già pronto l’epitaffio del tecnico toscano, che con la sua arma preferita, il 3-5-2, ha vinto e convinto, perché se all’intervallo la SPAL fosse stata avanti di almeno due gol non ci sarebbe stato nulla da dire.
Va detto che i più determinati hanno continuato a dire che Semplici va sollevato dall’incarico a prescindere, perché non sarà in grado comunque di salvare questa SPAL. Sarà ovviamente la storia a dare il verdetto, ma ai critici più radicali sfugge un dettaglio: la squadra è col suo allenatore. Altrimenti non ci sarebbero stati i sei minuti di fuoco contro l’Hellas, né il ribaltamento del risultato contro il Benevento. Togliere al gruppo una guida ancora saldamente riconosciuta diventerebbe un autogol clamoroso, simile a quello che il Sassuolo realizzò nel 2014 allontanando Di Francesco salvo poi richiamarlo dopo cinque sconfitte consecutive incassate col suo sostituto.

Non è un caso che negli ultimi quattro punti ci sia molto della vecchia guardia che ha fatto le fortune di Semplici in serie B, né che ci sia l’apporto di un Paloschi che dopo un periodo di rodaggio sembra aver abbracciato la mentalità di una SPAL operaia per vocazione e anche per necessità. Le fragilità restano e non potranno che riemergere periodicamente con avversari quasi sempre più preparati: ma se la differenza verrà colmata sempre (e non solo a giorni alterni) con la determinazione e lo spirito di squadra la salvezza diventerà davvero possibile.



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