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La mia generazione, quella dei cinquantenni arzilli ed assetati, non aveva mai visto una vittoria della SPAL nel derby in casa. Sì, forse una lontanissima coppa Italia, un torneo Campione e null’altro. Due immense soddisfazioni al Dall’Ara, ma in casa mai. In serie A poi, manco a parlarne, non eravamo ancora nati oppure eravamo troppo piccoli. E poi, cosa succede? Succede sabato. Succede che entriamo sotto il diluvio universale, qualcuno addirittura ricorda Pieve di Soligo, ma noi siamo al Mazza, un campo dove solo Sarri è riuscito a lamentarsi, forse anche perché il Napoli in quell’occasione ha raccolto due volte la palla dal fondo della rete. Il drenaggio funziona a meraviglia. I portieri del Bologna nel riscaldamento, cercano in tutti i modi, angoli e spicchi di campo dove la palla non rimbalza. Ma non li trovano. Non sarà mica che ci temono? Macché, loro sono il Bulàgna, giocano contro la Giacomense. Invece ci temono e non poco. Ricordiamoci poi che loro sono pure quelli che mettono la mortadella nel batù, roba da denuncia ai NAS.

Ogni seggiolino della Ovest vede una pergamena colorata, otto carrucole agganciate alla copertura, ognuna dotata di trenta metri di corda, preannunciano una coreografia da sballo. Forse non mi sono spiegato bene, le carrucole sono agganciate alla copertura della curva che ha una altezza di 25 metri o poco meno. Ciò vuol dire che i ragazzi hanno effettuato una lavoro da montatori meccanici, utilizzando una piattaforma piazzata e stabilizzata all’interno del campo. Un lavoro da sette camere. Questo per spiegare a chi pensa che la bellezza della Ovest si crei da sola, che le corografie siano robette da ragazzi. Stiamo parlando di gente che dà la pelle per questi colori, ora, prima e poi, una curva che progetta delle coreografie degne di Marassi e pochi altri stadi in Italia. Un gruppo di ragazzi di varie età, che lavora gratis, per rendere il clima del Mazza infuocato ed infernale per qualunque squadra avversaria abbia l’onore di calcarne il manto. Per capirci.

Gli sfottò iniziano un’ora prima della partita, i Balanzoni sono alla pioggia e noi siamo all’asciutto o quasi. Entrano i ragazzi, si alzano i fogli plastificati, ed in verticale, San Giorgio si erge e punta, il sella al suo bianco destriero, la sua alabarda contro un drago Rosso e Blu. Inarrivabili, invincibili, innamorati. Noi in alta curva siamo disposti con una formazione anomala, il tridente è dietro alle punte, siamo un po’ in linea ed qualche gradone più in alto, speriamo che il nuovo modulo porti bene. Poi come sempre c’è anche la partita. Nel primo tempo potremmo dilagare, il campo sembra in discesa per noi e in salita per il Bologna. Fallo da ultimo uomo e Balanzoni in dieci, la Ovest si dispera ed invita gentilmente il cugino ad abbandonare il campo. Per marcare Lazzari occorrerebbe una lupara. Grassi, fuori di dieci centimetri. Viviani, su punizione bassa. Fuori di due dita. Ante, fuori di poco. Gli inni alla gioia, in curva si sprecano. Una certezza, nessuno del nostro gruppo varcherà le porte del paradiso. Impossibile. Inizia la novena e gli anziani sgranano i rosari. 

Speriamo nel secondo tempo di riuscire a mantenere così tanta intensità. Siamo preoccupati, per i primi cinque minuti, quelli dove noi di solito becchiamo il golletto. Invece Grassi, da fuori area, sotto la Est, la infila. Come sempre le bocche si smascellano, gli occhi luccicano, le spinte e gli strattoni mettono a dura prova le cerniere dei giacconi. Stiamo vincendo col Bologna in serie A. Meglio non pensarci, manca ancora un’era geologica al terzo fischio, fa in tempo a scadermi la patente per la quarta volta. Io in campo vedo ragazzi monumentali e per non citare sempre i soliti, vorrei porre l’attenzione su Grassi, Thiago, Kurtic e Luiz. Everton alla seconda stecca sui garretti degli avversari è diventato il nostro idolo. In campo, oggi ho visto l’anima della mia squadra, lo spirito di quelle righe sottili di cui mi sono innamorato da bambino, ho visto quel di più, quella luce negli occhi dei ragazzi, stile manga, che mi rende orgoglioso di tifare per l’Ars et Labor. Poi, arriva il 93°. Mattia Destro, di destro… a trenta centimetri dalla nostra porta, sotto la curva, manda la palla nella Via Lattea. Non ci crediamo. E mi preoccupo, abbiamo tutti una certa, teniamo famiglia, di fianco a me il dottore si accascia, penso allo schioppone, barcolla, gli occhi vitrei, gocce di sudore gli imperlano la fronte. Per due minuti fino al triplice fischio smettiamo di respirare. Il soffio del curvone ha impattato contro la palla stincata dall’ex promessa del calcio italiano.

Abbiamo vinto IL derby, col Bologna in serie A. I ragazzi si tuffano nel pantano, ci abbracciamo come non mai, magoni e lucciconi si sprecano. Sì, ho partecipato ad una delle più grandi partite che la mia memoria possa contenere, la gioia e la felicità di esserci, di partecipare, di avere la gola in fiamme, le mani spellate ed almeno il doppio dei crampi di Lazzari, non è comprensibile da tutti. Chi ci è nato sui quei gradoni lo sa, noi lo sappiamo che cosa vuol dire, non importa se non sono riuscito a descriverlo, l’importante è averlo vissuto.



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