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Domenica la Curva Ovest ha vissuto il suo ultimo giorno di un weekend di festa. Prima della serata a base di musica l’atmosfera vivace è stata mitigata da un appuntamento particolare, sentito da tutti in città, che ancora fa sorgere dubbi, perplessità, rabbia e voglia di giustizia: verso sera tutti si radunano davanti al palco in silenzio perché si parla di Federico Aldrovandi. I ragazzi della Ovest hanno voluto organizzare quest’incontro non solo per continuare a tenere viva la memoria di uno degli eventi più drammatici della storia ferrarese, ma soprattutto per affrontare la spinosa questione della “bandiera” che raffigura il volto di Federico, esposta prima nella curva biancazzurra e poi negli stadi di molte altre squadre italiane su iniziativa dei gruppi di ultras che hanno voluto sposarne la causa. All’Olimpico, poco prima di Roma-SPAL, la questura sanzionò con un verbale i gruppi di tifosi che volevano introdurre la bandiera nel settore ospiti, vedendo nell’effige un possibile motivo di provocazione nei confronti delle forze dell’ordine: il fatto suscitò non solo l’indignazione degli spallini, che rimasero in silenzio per tutto il match, ma anche di altre tifoserie, dell’ACAD (Associazione Contro gli Abusi in Divisa) e di tutti coloro che si battono contro episodi del genere. Il dibattito parte da quest’evento che, indirettamente e per l’ennesima volta, infanga la memoria di Federico. Il primo a prendere la parola è il moderatore Domenico Mungo, professore di italiano, scrittore, ma prima di tutto ultras della Fiorentina, che nonostante la fede diversa ha deciso comunque di partecipare all’incontro per portare avanti la battaglia della memoria di Aldrovandi.

Utilizzando la dialettica degna del migliore oratore condita con l’atteggiamento tipico del tifoso, Mungo ripercorre i fatti di Roma e condanna il divieto imposto non solo alla tifoseria della Ovest, ma anche ad altri gruppi che hanno aderito all’iniziativa, sottolineando che: “Portare il volto di Federico negli stadi significa portarlo nel cuore, nella quotidianità, ed il fatto che dei funzionari temano che un volto possa essere oltraggioso per la divisa che portano fa ridere, perché l’oltraggio è stato fatto dai loro colleghi che hanno cagionato la morte di Federico, Stefano e di tanti altri ragazzi di stadio o di strada“. Partono i primi applausi, la gente comincia ad occupare tutta la platea e buona parte del cuore pulsante della Ovest si raduna di fianco al palco. A questo punto prende la parola Lino Aldrovandi, padre di Federico, che racconta la vicinanza alla SPAL, nata per contrasto al padre tifoso del Bologna, la sua vita a Ferrara e la tragedia che gli ha cambiato la vita. Commosso per l’avvicinamento degli ultras spallini, spiega che sin da quando vide per la prima volta la bandiera col volto del figlio sventolare in curva non pensò che ad un modo per ricordare un ragazzo di diciott’anni scomparso troppo presto, senza vedere in tutto ciò alcuna provocazione od offesa: “Federico è lì, guarda che bel pensiero hanno avuto questi ragazzi“. Poi si sofferma sul divieto imposto a Roma, sul conseguente sciopero del tifo, apprezzando che anche altri tifosi di altre città abbiano iniziato a portare l’immagine di Federico, ma senza essere violenti od offendere nessuno, con una delicatezza che lo ha sempre colpito positivamente. In quella bandiera ha sempre visto “una difesa per i nostri figli, che quando cresceranno e vorranno tornare a casa avranno sempre qualcuno che li aspetta; a Federico è stato impedito ed il processo ha stabilito la colpevolezza degli agenti fino alla sentenza definitiva“. Lino si ferma un secondo e la platea lo sommerge di applausi. “Quella bandiera non urla ‘assassini’ ai poliziotti ma dice semplicemente che Federico è vivo, è qua con noi, non viene dimenticato“. Dopo l’ennesimo applauso, nella commozione generale, Lino spiega perché nonostante tutti questi anni, tra mille difficoltà, continui la sua battaglia: “Se noi teniamo la luce accesa su questi eventi terribili tuteliamo i nostri figli in questi tempi pieni di disumanità. Ci sono persone che stanno con un determinato corpo a prescindere, e questo non lo accetto né come cittadino né come persona che indossa una divisa, seppur diversa: chiedo alle persone che indossano una divisa di tirare fuori il meglio facendo valere il loro giuramento, perché la loro legalità deve essere maggiore di quella di tutti“. Alla fine dell’intervento gli ultras della ovest si rivolgono agli spettatori per intonare il coro “Ovunque tu sarai, un coro sentirai, e Aldro vive con noi”: tutta la gente si alza in piedi, canta, applaude e celebra il dolore di un padre che su quel palco, con grande sofferenza, ha affrontato ancora una volta la tragedia che gli ha segnato la vita.

Sul palco della festa c’è un’altra ospite importante, Ilaria Cucchi, che, invitata per portare la sua testimonianza, spiega con grande orgoglio quanto abbia significato per lei e la sua famiglia la sentenza storica su Aldrovandi pronunciata nel 2008. Dopo aver seguito il processo, decisero di contattare l’avvocato Anselmo, dando inizio al noto “processo Cucchi” e riuscirono a dare dignità al fratello, Stefano, morto mentre si trovava in uno stato di custodia cautelare. Al termine dell’intervento mostra anche la sua vicinanza alla Ovest, annunciando che gli è stato promesso un abbonamento per seguire la SPAL nella prossima stagione, rigorosamente in curva, ovviamente.
L’ultimo ospite ad offrire il suo punto di vista è proprio l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Aldrovandi e successivamente della famiglia Cucchi. “Quello derivante da Federico è un messaggio di grande e profonda legalità ed è per questo che dà fastidio“, sottolinea l’avvocato, spiegando che la vicenda dimostra che quattro agenti di polizia, dopo aver distrutto la vita di un diciottenne, hanno cercato di nascondersi dietro la divisa giustificando il loro comportamento violento, facendolo rientrare negli obblighi istituzionali, chiedendo l’aiuto anche di alcuni sindacati di polizia che sono rimasti al loro fianco come fanno tuttora: “Federico rappresenta un messaggio scomodo perché rappresenta un’imbarazzante coda di paglia di fronte a chi, commettendo reati anche nell’esercizio delle proprie funzioni, deve risponderne davanti alla legge“. Dalle parole del legale traspare tutta l’emotività che lo ha accompagnato nel corso del processo fino alla gioia effimera dopo la pronuncia della cassazione, favorevole in quanto conforme a quanto stabilito dai giudici degli altri gradi, ma incapace comunque di colmare il vuoto lasciato dalla morte di un ragazzo di diciotto anni. “Agli ultras raccomando di continuare così senza perdere la memoria, perché vedere sugli spalti il volto di Federico è sempre emozionante anche se per qualcuno può essere imbarazzante” le ultime parole dell’avvocato Anselmo, che prima di chiudere il suo intervento porta i saluti di Luca Fanesi, ultras della Sanbenedettese coinvolto in un episodio di violenza a marzo 2018, prima di una partita col Vicenza.

Gli ultras chiamano ancora una volta il pubblico per intonare un altro coro: “com’è misera la vita negli abusi di potere” urla la platea, accompagnata dai capi sempre fermi sotto al palco. La parola torna al moderatore, che ricorda altri casi noti di abusi perpetrati dalle forze dell’ordine: la morte di Giuliani in piazza Alimonda e quella di Gabriele Sandri, spiegando come “in questi casi è l’immunità che diviene scandalosa, perché ci sono cittadini di Serie A, B, C e quelli che addirittura non giocano neanche in interregionale. Federico, Stefano e tutti gli altri ragazzi appartengono alla categoria degli esseri umani che sono stati calpestati“. Mungo ci tiene a specificare che gli ultras non sono per partito preso contro le forze dell’ordine e chiedono solo maggior garantismo nei loro confronti, perché altrimenti non si capisce “chi ci protegge da chi ci dovrebbe proteggere“.



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