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La SPAL di Titta Rota fu la mia SPAL. Già bazzicavo i gradoni della curva da qualche anno, mi ero già innamorato di Manfrin e Gibo. Ma quella SPAL del 1980 mi travolse come un uragano. Avevo undici anni ed il pallone era qualcosa di più del mio sogno. Era la mia ragione di vita. Rincorrere un super Tele, un Elite, uno Yaschin o addirittura un Tango era il collante per nuvole di ragazzini che pensavano solo a quello.

Travolgente la partenza estiva di quella fantastica squadra, vittorie a pioggia in coppa Italia ed in campionato. Non stavamo più nella pelle, a scuola, a casa, in cortile si parlava solo di loro dei nostri eroi. “Olivia” Renzi il portiere, Ferrari terzino rigorista, i due giovani centrali, forza ed eleganza Fabbri e Albiero, Giani ala destra atipica, alto e criticato, Gibo il capitano, Bergossi la catarsi del centravanti, il dribbling come filosofia di vita. Primi in classifica per buona parte del girone di andata, le due rapine contro il Milan. Grande vittoria con rigore di Danilo sotto la pioggia contro il Toro, nei quarti di finale di Coppa Italia, la partita la vidi dalla tribuna. Titta Rota, baffoni anni Settanta espressione di un calcio vero, che portava alla domenica ventimila ferraresi sugli spalti, i biglietti si acquistavano in… biglietteria (e dove se no?) e l’abbonamento si acquistava in sede, in viale Cavour, in settembre. La maschera all’ingresso della curva ti bucava il cartoncino con quello strano attrezzo preistorico, che io ho sempre chiamato bucaiola, con buona pace dei fiorentini.

Vivevamo per quella squadra e per il pallone. Io giocavo interminabili partite nel cortile, le continuavo in camera, con una pallina da tennis, le simulavo con Big Jim ed in fine le disegnavo sul mio quadernone con la copertina di finto jeans. Sì, col mio quadernone (se la sindrome di Max Pezzali, mi attanaglia troppo, ditemelo), tenevo la contabilità delle partite, marcatori, minuto e risultato. Ricalcavo i goal più significativi dal manuale del calcio illustrato, passavo ore a colorarli con i pastelli, avendo la cura maniacale, di trovare l’esatta tonalità di azzurro. La SPAL di Titta, bel sogno, troppi ricordi, mi fanno male. Erano le estati di Giochi senza Frontiere e della spensieratezza dei bambini. Si parlava di Ercole Mosti e di Giuseppe Garibaldi, intesi come plessi scolastici. La graziella era il mezzo di locomozione ed una punizione calciata nell’angolo del passo carrabile di un palazzo dell’Ente era un motivo di gioia infinita.

La nostra arrampicata sportiva era quella che si effettuava aggrappandosi ai pluviali ed ai balconi per recuperare il “boccione” (pallone n.d.r.). Il lunedì si guardava la replica della partita dei biancoazzurri su Tele Mondo Ferrarese, Fioro trasmetteva “The Kids are United”, in trasferta non andavamo perché eravamo troppo piccoli e si ascoltavano le gesta degli eroi dalle radio a transistor gialle che si aprivano in due metà. Grazie Titta per quel fantastico campionato, il ritorno poi fu difficile, come l’anno dopo che ci aprì le porte al nostro millenario calvario.

Siamo diventati spallini in quegli anni, poco prima, poco dopo, io da sempre conosco quella formazione a memoria Renzi-Cavasin-Ferrari-Ogliari-Fabbri-Albiero-Giani-Rampanti-Bergossi-Tagliaferri-Grop. Gibo era spesso infortunato e spesso in panca. Per me il calcio non esiste senza la squadra dai colori del cielo, della mia città, della mia infanzia, della mia storia e quegli albori di anni Ottanta, sono stati un fantastico mondo antico, che spesso riemerge dal fondo del mio stomaco e mi fa sorridere, anche se spesso gli occhi mi diventano lucidi. Lucidi larallarallarà quella era una altra SPAL ed erano passati altri dieci anni. Forza SPAL e ciao Titta.



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