UN FERRARESE ARRIVATO TROPPO TARDI ALLA SPAL. STORIA DI MARCO TARTARI, INVENTORE DI QUEL PARI CON L’AVELLINO

SPAL-AVELLINO 1-1 (2 dicembre 1973)
Marcatori: (Goffi e Romagnolo)

Personaggio: Marco Tartari

Il primo allenatore fu il padre e, a giudicare da ciò che seppe fare nella sua carriera, doveva essere veramente bravo e preparato. Fra l’altro, per rimanere a livello familiare, anche il fratello, valido difensore laterale, contribuì a farlo crescere tecnicamente. Dopo aver assimilato i famosi fondamentali, si trasferì ad Argenta e con la maglia granata dell’Argentana si mise immediatamente in evidenza approdando nella stagione successiva ad Arezzo. Il Presidente aretino, l’industriale tessile Mario Lebole, in collaborazione con l’allenatore Mario Caciagli, aveva allestito un forte complesso per tentare lo storico “sbarco” in serie B. L’Arezzo fallì la promozione per un soffio, ma Tartari disputò un gran campionato ponendosi all’attenzione del cosiddetto calcio che conta. Non a caso, appena ventenne, fu acquistato dal Verona militante in B. Nella città degli scaligeri arrivò nel momento meno propizio per un giovane, gli iniziali programmi societari furono ridimensionati da una forte crisi tecnica che comportò l’alternanza di ben tre tecnici sulla panchina veronese, da Bruno Bigini a Carlo Facchini a Guido Tavellin, Tartari, però, giocò quindici gare facendo chiaramente capire che, malgrado la giovane età e l’inesperienza in cadetteria, possedeva stoffa, talento e carattere e proprio per dargli la possibilità di “farsi le ossa” fu dato in prestito alla Reggiana allenata dal bolognese Dino Ballacci. Sul terreno del Mirabello Tartari giocò alla grande, disputò ventitrè partite, segnò due reti e contribuì a far rimanere la Reggiana in B e, naturalmente, a fine stagione rientrò alla casa madre.
Il suo ritorno a Verona ebbe un contrattempo che mise in rilievo il carattere e la forte personalità del centrocampista. Non condividendo l’impostazione tattica e il suo utilizzo in campo, con grande franchezza e, come si suole dire, senza peli sulla lingua, disse al trainer, Omero Tognon, mostro sacro del calcio nazionale, ciò che pensava. E la pagò cara: fu messo da parte e aspettò novembre per lasciare Verona e accasarsi altrove. Quasi per punizione scese nel “tacco” della penisola per indossare la maglia del Taranto a spasso per gli infuocati campi della serie C meridionale, da Nardò ad Agrigento, da Cosenza a Caserta. I primi due anni in Puglia coincisero con due terzi posti in classifica e la domenicale menzione dei migliori in campo, molto meglio il terzo anno con Mario Caciagli in panchina: primo posto in classifica e promozione in B. Nella città dei “due mari” si fermò fino al campionato 1971-72 deliziando i tifosi tarantini con lanci millimetrici e con un gioco che onorava, veramente, il calcio. Tartari aveva poco fisico ma tanta classe e altrettanta intelligenza tecnica e tattica. Sono stati tanti gli attaccanti del Taranto che, grazie al gioco e alle qualità di Tartari, hanno potuto scrivere il proprio nome negli annali del calcio nazionale. Non è una esagerazione scrivere che i tifosi del Taranto di ieri, sono soliti raccontare, come se volessero tramandare un mito, le gesta e le imprese di Marco Tartari con la maglia rossoblu.
Nell’estate del 1972 lasciò la Puglia per tornare a respirare aria di casa indossando la maglia della Spal, ritornata nel frattempo in serie B. A Ferrara ritrovò il bravo Mario Caciagli e, pur non essendo fisicamente il Tartari di un tempo, quando giocava riusciva sempre a mettere gli attaccanti nelle condizioni di far gol, come nel caso della partita con l’Avellino quando mandò a rete di Goffi.
In conclusione, senza tema di smentita, un calciatore del valore di Marco Tartari a Ferrara arrivò tardi, molto tardi perché era un… ferrarese!

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