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Quel momento è arrivato e forse era solo questione di tempo. Il momento nel quale un tesserato della SPAL, nella fattispecie il vice-allenatore Massimo Mutarelli, ha pronunciato la fatidica frase.

“Fino a quando la matematica non ci condannerà, lotteremo fino alla fine“.

Una delle tante frasi fatte del lessico calcistico standard, di quelle che si dicono di fronte ai giornalisti per riempire l’apparente vuoto delle spiegazioni plausibili – o ammissibili – per una squadra scarsa, incompleta, immalinconita e incamminata verso la retrocessione come in una via crucis abbastanza fuori stagione. Bandiera bianca, chiediamo l’onore delle armi.

C’è nulla di scandaloso nel vedere una squadra come la SPAL avviata verso la discesa. Anzi, sarebbe sorprendente considerare l’appartenenza alla élite come un dato di fatto. Il ritorno in serie A dopo una vita intera è stato un miracolo tutt’altro che programmato, la permanenza per tre anni ai piani alti una dimostrazione matematica quasi inattaccabile della Sacchiana formula del successo: occhio, pazienza e bus dal cul. Un osservatore in grado di guardare alla realtà con equilibrio sa di non poter recriminare granché per un’annata con incubi di mezza estate (lo stadio sequestrato e relative conseguenze; la mancata cessione di Fares per infortunio) e contrassegnata da errori e valutazioni sbagliate che non hanno fatto altro che renderla più complicata di quanto già non si annunciasse.

Dopo aver visto per sette volte la SPAL di Di Biagio – per quanto in un contesto tutt’altro che attendibile – si può tranquillamente dire che né lui né Semplici avrebbero potuto contribuire in maniera decisiva ad un’altra impresa sportiva. Cade quindi l’alibi della conduzione tecnica che era stato utilizzato per dare corpo all’argomentazione della “squadra più forte di quella dell’anno scorso“, solo gestita male. Punti e prestazioni sembrano smentire questa teoria, per quanto là fuori ci possa essere chi è in grado di sostenere che un avvicendamento anticipato avrebbe cambiato le sorti di questo campionato. Trattandosi di teorema indimostrabile, non è elemento valido di analisi. Di Biagio può concludere da vittima o da corresponsabile, a meno di un sussulto finale che lo eleverebbe al rango di più grande condottiero della storia della SPAL.

La sensazione è che si vada verso un mesetto scarso di altre frasi fatte: “provarci comunque fino alla fine“; “onorare la maglia“; “chiudere con dignità” e via così. Sarebbe bello essere smentiti platealmente, ma le probabilità appaiono piuttosto remote. Al momento la squadra è questa: un gruppo di calciatori tendente al mediocre con qualche lodevole eccezione, in grado di stare in campo decorosamente nella maggior parte dei casi e di offrire, con una certa rarità, prestazioni superiori alle proprie possibilità. Se poi ci si aggiunge l’allarmante frequenza di infortuni, la ricetta è servita.

Spiace poi che gli attuali protocolli post-partita chiudano la possibilità di fare domande o semplicemente di ascoltare i punti di vista dei dirigenti. Ad esempio non sarebbe stato male sentire l’opinione mai scontata di Walter Mattioli sugli errori visti a Genova. Considerato che il giornalismo sportivo è spesso un mercato del riciclo, vale la pena rileggere qualche passaggio delle dichiarazioni del presidente post SPAL-Sampdoria del 4 novembre 2019.

Oggi secondo me non meritavamo di perdere perché la Sampdoria non aveva fatto nulla per vincere. Avevamo giocato un buon primo tempo, siamo un po’ calati verso la fine, commettendo qualche errore anche abbastanza grossolano che ha permesso loro di fare un gol e tornare a casa con i tre punti. […] Una squadra che se vuole vincere le partite deve giocare in un modo diverso: non tanto su quelli che sono gli schemi, su cui non voglio ficcare il naso, ma sul piano della determinazione in campo, sulla volontà, l’aiutarsi gli con gli altri. Dobbiamo tutti quanti, dal presidente, ai dirigenti, all’allenatore, ai giocatori fare un bell’esame di coscienza. […] La differenza la vedo nelle altre squadre che si vogliono salvare, hanno un atteggiamento diverso anche rispetto a quello che abbiamo noi. Abbiamo dimostrato in certe partite di essere davvero una grande squadra, però abbiamo a volte degli atteggiamenti in partita, come ad esempio a Milano o stasera, in cui andiamo discretamente bene ma manca un qualcosa che serve per raggiungere l’obiettivo della vittoria“.

Forse non c’è poi così bisogno di altre dichiarazioni. I tratti distintivi di una stagione infelice erano riconoscibili già da tempo, con buona pace del maquillage mediatico e tecnico (es.: il mercato di gennaio) che si è tentato di allestire negli ultimi mesi. La SPAL 2019-2020 è questa e cercare responsabili (o peggio ancora colpevoli) non è poi così utile. Lo sarebbe di più armarsi di occhio a pazienza per capire cosa non ha funzionato. Se in via Copparo sapranno farlo, senza abbandonarsi allo sconforto e alle recriminazioni, ripartire sarà senz’altro più facile.



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