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Il mondo del pallone appassiona grandi e piccoli, ma ha sempre più a che fare, purtroppo, con termini quali corruzione, razzismo, tribunali e fallimenti. Quindi come far capire a un ragazzino di dieci anni che il calcio è anche, e soprattutto, gioco e divertimento? A spiegarcelo è l’argentano Giampaolo Velsi, allenatore dei Pulcini 2004 della Spal: lo abbiamo intervistato per conoscerlo meglio.

Mister, che ruolo ha avuto e ha tuttora il calcio nella sua vita?
“Ho iniziato a giocare all’età di dieci anni e dopo una carriera nel dilettantismo tra Promozione e Prima Categoria ho preso il patentino da allenatore. Ci tengo a specificare con il massimo dei voti. Ai miei ragazzi cerco sempre di trasmettere valori importanti quali lo studio, l’amicizia e il senso di appartenenza ad una squadra: sono quei principi che una volta acquisiti si mantengono per tutta la vita. Oltre al calcio un’altra mia grandissima passione è quella per gli animali: tra pochi mesi mi laureerò in  Medicina Veterinaria”.

Questo è il suo primo anno in biancazzurro. Quali sono gli obiettivi che si è posto all’inizio di quest’avventura?
“Questo è il mio primo anno alla Spal ma è il terzo con Mattioli come presidente: gli scorsi anni alla Giacomense ho allenato gli Esordienti e i Giovanissimi. L’obiettivo è esclusivamente la crescita dei ragazzi, che ai miei occhi sono tutti uguali: non c’è il fenomeno, lo scarso o quello che sa palleggiare meglio. Ovviamente le basi di partenza sono diverse per tutti. Una frase importante che mi piace sempre ricordare è: ‘Ogni bambino ha il diritto di non essere considerato un campione’. I ragazzi alla Spal stanno vivendo un sogno ed è nostro dovere rispettarlo. Fortunatamente ho la possibilità di lavorare con un gruppo di dieci elementi, quindi non c’è nemmeno il rischio di poter trascurare qualcuno. Il fatto di non aver pressioni in termini di risultati ci dà la possibilità di lavorare con serenità e gettare le basi per il lavoro futuro”.

Gli esempi che giungono dai campionati professionistici spesso non sono propriamente educativi.
consiglierebbe ad un ragazzino, al giorno d’oggi, di intraprendere la carriera da calciatore?
“Considerandomi sia educatore sia allenatore consiglierei di praticare sport: calcio, basket o pallavolo, senza trascurare in maniera assoluta lo studio e le amicizie. Ho imparato che nella vita tutto è possibile, sempre se lo si vuole. È un aspetto che cerco di far capire, talvolta con qualche difficoltà, ai miei ragazzi: essere un allenatore di calcio in queste categorie secondo me vuol dire anche non trascurare, martellando con i dovuti modi, aspetti come l’educazione e la lealtà”.

Come valuta il lavoro del settore giovanile nella provincia di Ferrara? Pensa che sia curato a sufficienza o che ci sia ancora molta strada da fare?
‘’A differenza delle province, che per motivi personali ho avuto modo di conoscere, devo purtroppo ammettere che a Ferrara c’è poca voglia di crescere, anche per quanto riguarda gli allenatori stessi. Ritengo che per fare un buon lavoro, a maggior ragione se si ha tempo, ci sia la necessità di studiare molto e di essere aggiornati il più possibile. Da cinque anni a questa parte trascorro le mie ferie a i vari campus estivi: capisco che ognuno abbia i propri impegni privati, ma anche se si ha soltanto una sera libera per andare a qualche corso a Padova o Bologna, penso sia giusto andare. Non lo dico per vantarmi, ma la professionalità la si nota anche nell’atteggiamento di certi colleghi sul campo che urlano indicazioni ai propri giocatori, avendo come unica finalità la ricerca del risultato. Ritengo invece più costruttivo un confronto durante la settimana in allenamento, durante il quale ci sono più mezzi e soprattutto più tempo per correggere le cose che non vanno”.

A proposito di ragazzi, preferisce avere i genitori più vicini alla squadra o al contrario meno pressanti?
“In questi anni con i genitori ho avuto la fortuna di instaurare un rapporto di fiducia reciproca nel rispetto dei ruoli e delle regole. A settembre ho dato un foglio nel quale cerco di far capire il rispetto che ho nei loro confronti e quello che a loro volta devono avere nei miei. Lo faccio per evitare che si arrivi a metà stagione quando, rendendosi conto di avere a che fare con un ragazzo educato, se ne approfittino. Finora, e mi fa piacere dirlo, questo non è mai successo. I genitori hanno modo di conoscermi anche attraverso ciò che dicono i loro figli a casa e non ho mai avuto problemi con loro. In ogni modo a mia volta cerco di non parlare dei pregi o difetti dei figli per non creare delle situazioni spiacevoli”.

Se a fine anno un’altra società le chiedesse di andare ad allenare una prima squadra come reagirebbe? Quali sono le sue aspettative?
“Ho impostato il mio percorso dedicandomi al settore giovanile e ho intenzione di continuare in questo senso. Ognuno col passare degli anni trova la propria identità e capisce cosa realmente vuol fare. Avendo giocato ho una discreta esperienza e mi permetto di dire con certezza che quello che ti può dare l’allenare un gruppo di ragazzini è totalmente diverso da quello che ti può dare l’allenare un giocatore navigato. Il mio futuro è tra i giovani, fino a quando ne avrò la possibilità, continuerò a lavorare con loro”.



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