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Quando lo scorso 13 dicembre la Mobyt ha annunciato l’ingaggio di Simone Flamini si è definitivamente compreso che la società del presidente Bulgarelli stava facendo sul serio. D’altra parte si tratta di un giocatore che ha conquistato promozioni in serie, ha giocato in serie A e addirittura in Eurolega. Uno che può dare spessore e personalità a un roster già di ottimo livello. Eppure i primi sessanta giorni a Ferrara di Flamini non sono stati esattamente da ricordare: una pazzesca sequenza di infortuni ne ha limitato il rendimento, tenendo l’ex Pesaro fuori dalle rotazioni di coach Furlani. Domenica scorsa, contro Firenze, Simone ha finalmente potuto far vedere al pubblico estense di cosa è capace, nonostante un nuovo (lieve) infortunio alla spalla. Lo abbiamo incontrato prima dell’allenamento del giovedì, per capire come sta e quali sono le sue sensazioni a due mesi dal suo ingaggio.

Simone, vorremmo iniziare con la domanda più scontata che farebbe un tifoso della Mobyt: come stai fisicamente?
“Allora, sono sulla via del recupero per quanto riguarda i problemi ai polpacci e acciacchi vari. Domenica però ho avuto la sfortuna di prendere una botta alla spalla, che fortunatamente ha interessato solo la muscolatura, ma che mi limita e non mi fa stare totalmente tranquillo”.

Nella partita di domenica contro Firenze il tuo ingresso in campo è stato determinante per la vittoria della squadra. Come ti sei sentito e quali sono state le tue emozioni nel post match?
“Ero al contempo molto arrabbiato per il fatto di non essere riuscito a finire la partita a causa della spalla, ma allo stesso tempo contento per aver aiutato i compagni a portare a casa i due punti e per aver dato l’energia necessaria a suggellare questo risultato”.

Tutti conosciamo le tue doti tecniche, ma dopo tutti i trascorsi, Flamini, ad oggi, cosa può dare alla Mobyt?
“Sostanzialmente le mie caratteristiche, energia in campo e difesa. Ultimamente mi è stato chiesto dalla dirigenza di prendermi più responsabilità in attacco, ma il problema, ora come ora, è che a causa dei numerosi problemi fisici che ho avuto quello che più mi manca è la continuità e, finché tutto non si sarà stabilizzato, faccio fatica a migliorare la fase offensiva. Comunque non vedo l’ora di tornare in campo al cento per cento, magari sbagliando qualcosa, ma comunque esserci”.

Come mai hai scelto di venire proprio a Ferrara? Sappiamo che anche la Virtus ti aveva contattato.
“Certo, ho ricevuto un’offerta dalla Virtus, ma anche da altre squadre prima. L’anno scorso per me è stato difficile sia dal punto di vista fisico sia mentale, perché vedere la squadra della tua città, in cui sei cresciuto e dove hai ricoperto il ruolo di capitano, nelle condizioni difficili in cui la Scavolini è stata ed è tutt’ora, è un’esperienza che non auguro a nessuno e che sentivo davvero gravare sulle mie spalle. Quest’anno, quindi, cercavo una situazione che mi desse nuovi stimoli e che fosse seria, tutte cose che ho trovato a Ferrara e che, durante questa mia breve permanenza, si stanno confermando”.

Sei arrivato a stagione ormai inoltrata, dopo una serie di sette vittorie consecutive che ha consolidato il gruppo. Come lo hai trovato al tuo arrivo? Hai fatto fatica ad integrarti?
“Assolutamente no, anzi! Conoscevo già qualcun dei ragazzi ad esempio Ferri, anche se non bene, Casadei e Infanti. Al mio arrivo ho trovato un gruppo fantastico, composto da ragazzi davvero ‘fighi’ e di questo sono molto contento. Con lo spirito che c’è in squadra mi sembra di essere ritornato al tempo delle giovanili, dove davvero è presente il più sano spirito di squadra. Una cosa abbastanza difficile da trovare a livello professionistico e che mi è mancata nelle esperienze degli ultimi anni”.

Dall’alto della tua esperienza, credi che questa squadra abbia le qualità necessarie per affrontare al meglio i playoff, o c’è ancora qualcosa che manca?
“Manca ancora qualcosa. Come dico sempre, fin dal mio arrivo, questo è un grande gruppo, con tanta voglia di fare, giovane e che deve convincersi di essere una squadra forte. Noi quindi dobbiamo davvero pensare e convincerci di essere competitivi ad alti livelli, senza, però cadere nella presunzione, ma passando dal lavoro quotidiano in palestra”.

Qualche settimana dopo di te (sempre dalla Scavolini) è arrivato Alessandro Amici. Cosa puoi dirci di lui?
“È un ragazzo che ha una voglia incredibile, cosa che penso abbia già dimostrato ampiamente da quando è in biancazzurro. Naturalmente dovrà riuscire a canalizzare le sue energie nervose per il bene della squadra, in cui si è già integrato ottimamente, cosa di cui non avevo dubbi. Fisicamente è davvero devastante per la categoria, inoltre non è uno che è arrivato qui con la pretesa di prendersi dieci tiri a partita, ma è un giocatore davvero umile che sicuramente sarà, ed è già tuttora, un valore aggiunto per il gruppo. Soprattutto quando, finalmente, riusciremo a fare tre allenamenti consecutivi in dieci! (ride, ndr)”.

Dal presente al passato: hai cominciato la tua carriera vera e propria a Ragusa nella vecchia LegaDue, e poi hai cambiato diverse maglie. Nella stagione 2004/05, è arrivata la chiamata dalla Virtus Bologna (allora Cafè Maxim), fallita due anni prima e retrocessa dalla Serie A, con la quale hai ottenuto la tua prima promozione. È stato difficile giocare per una società così importante e blasonata, in una situazione come quella?
“Certo che sì, in quella palestra, dove sono passati giocatori incredibili, si respirava un atmosfera per così dire… spessa! Personalmente sentivo molto questa pressione, ma anche i miei compagni, ed è per questo che durante quell’annata abbiamo fatto tanta fatica ad esprimerci al meglio. È stata un’annata molto intensa, culminata con il massimo successo, nonostante abbia subito un infortunio piuttosto grave.”

L’anno dopo sei approdato all’Eurorida Scafati di Giorgio Valli e hai ottenuto la seconda promozione consecutiva. Cosa ci puoi dire di quella annata?
“Anche lì le pressioni erano altissime. Era una situazione particolare: sono arrivato a fine agosto e mi sono ritrovato in un ambiente in cui tutti si aspettavano la promozione e ci sono stati dei momenti davvero tosti, nonostante la stagione sia finita nel migliore dei modi. Tutto comunque fa esperienza, anche i momenti peggiori, poi come hai detto tu, quell’anno ho giocato probabilmente la partita migliore della mia carriera contro Ferrara”.

L’anno successivo è arrivata, da vero protagonista, la tanto agognata Serie A con la maglia dell’Eldo Napoli. Cosa vuol dire giocare nella massima serie Italiana? Il gap con la LegaDue è molto ampio?
“Il gap era, ed è tuttora, ampio, anche se in quegli anni la LegaDue era un ottimo terreno di pratica. Per esempio le squadre con cui ho giocato sapevano il fatto loro ed erano molto lunghe. Nel mio caso, più che avere sentito tanto la differenza, ho messo tutto me stesso per capire che cosa dovevo fare per rimanere il più tempo possibile a giocare in Serie A. Credo di esserci anche riuscito, magari giocando più in difesa che in attacco. Di annate ci son state quelle con Napoli, con Montegranaro e con Pesaro, con cui ho fatto anche l’Eurolega”.

Ecco, l’Eurolega. Parlaci un po’ di quella esperienza: deve essere stato fantastico.
“Eh, quella è stata davvero incredibile, ma anche incredibilmente tosta, sia fisicamente sia mentalmente, visto che si giocava ogni tre giorni. È comunque un ricordo che sarà difficile da dimenticare, inoltre mi è capitato di giocare anche tanti minuti (20-25 a partita), a causa dei tanti infortuni nella squadra in quel periodo. Peraltro in partite importanti. Prendere gli schiaffi a Mosca da Smodis, partendo in quintetto base, è sicuramente  un’esperienza importante ed a suo modo formativa”.

Durante la tua carriera hai giocato con tanti super giocatori. Facciamo qualche nome: Boni, Jamison, Morandais, Alvin Young. Quale di loro ti ha maggiormente impressionato e fatto crescere di più?
“Di Mario (Boni) ricordo che sentiva la partita addirittura più di me. Era sempre così voglioso di giocare, di fare bene, che sembrava incredibile. Personalmente sono molto legato, sia come giocatore sia come persona, a Jumaine Jones, con cui ho giocato a Pesaro nell’annata della semifinale scudetto e Coppa Italia, in cui abbiamo ritrovato un forte spirito di gruppo, dopo alcuni trascorsi un po’ burrascosi. Un altro giocatore che ha lavorato tantissimo ed ha ottenuto anche ottimi risultati, è Mason Rocca. Una persona incredibile, un ragazzo intelligentissimo: pensa che dopo soli tre mesi in Italia, parlava già la nostra lingua! Ma ce ne sarebbero tantissimi da ricordare… negli ultimi anni ho visto crescere Daniel Hackett, ora, a mio avviso, uno dei talenti migliori d’Europa. Oppure lo stesso Amici, come dicevo prima, pur così giovane è un ottimo giocatore”.

Per concludere una curiosità: sei un giocatore scaramantico? Hai qualche rituale pre partita?
“Non molto scaramantico, mi capita di usare gli stessi indumenti in partita, dopo averli lavati volta per volta eh (ride), ma più per una questione di comodità che come rituale, oppure ascoltare quelle canzoni che mi caricano, ma anche lì nessuna scaramanzia”.



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