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A conti fatti, Girolamo ‘Mino’ Bizzarri è stato l’ultimo bomber di razza capace di infiammare la piazza ferrarese. Nel bene (soprattutto) e nel male, benché di colpe, come ci racconterà, ne abbia avute solo in parte: quarantacinque gol in appena due stagioni, giunse all’ombra del Castello Estense nell’estate del 1993 con diciassette marcature e il titolo di capocannoniere conquistato a Reggio Calabria pochi mesi prima. Non fu un inizio per nulla semplice ma poi, con la prima doppietta con la maglia della SPAL siglata a Mantova il 19 settembre 1993, domenica dopo domenica, Mino riuscì a entrare nel cuore della gente con i suoi colpi di testa chirurgici e il suo micidiale sinistro. Indimenticabili i quattro gol in una sola partita siglati contro lo Spezia il 18 settembre 1994, nella prima uscita ufficiale dopo la prematura scomparsa di Giuseppe Campione: un record ancora imbattuto ed eguagliato solo da Rachid Arma, contro il Pavia, diciassette anni dopo. Due stagioni splendide in biancazzurro che l’attaccante di Roseto degli Abruzzi non ripeterà più pur riuscendo ad arrivare sul palcoscenico della serie A con la maglia del Brescia. Domenica prossima la SPAL tornerà a giocare a Mantova ventuno anni dopo e con il sogno promozione da mettere nel cassetto quanto prima: Mino Bizzarri è stato l’ultimo calciatore spallino ad aver trafitto la porta dei biancorossi al ‘Martelli’, in quell’assolata domenica di metà settembre, con due gol che ancora oggi ricorda molto bene.

Un bomber vero, autentico, come pochi altri se ne sono visti passare a Ferrara, forse, negli ultimi trent’anni.
“E pensare che non fu per nulla semplice, all’inizio. Ma giusto l’inizio, la prima giornata di campionato, intendo. Non me la dimentico più.  Arrivai alla SPAL con grandi motivazioni dopo la stagione disputata a Reggio Calabria e dove vinsi il titolo di capocannoniere. La gente, giustamente, si aspettava un attaccante che, come toccasse palla, la buttasse dentro. Dovevamo risalire subito, la squadra era forte. L’esordio in casa contro il Chievo fu però un disastro: vincemmo 1 a 0 ma mi ritrovai in fuorigioco dieci o forse quindici volte con Lanna, D’Anna e D’Angelo, che poi accompagnarono quella squadra prima in B e poi in A, che mi fecero diventare matto. E i tifosi, abituati a gente come Nappi e  Ciocci, mugugnarono e non poco”.

Sette giorni dopo ecco la temibilissima trasferta di Mantova. Era il 19 settembre 1993.
“Mister Discepoli passò la settimana a dirmi che dovevo stare sereno, che non c’erano problemi, che avrei segnato molto presto. Io ero tranquillissimo, ho sempre saputo cosa potevo dare e quelle che erano le mie capacità e i miei limiti, non era per una partita andata male che mi sarei abbattuto: prima di Ferrara avevo toccato piazze come Nocera, Caserta, Siracusa, Taranto e Reggio Calabria, città toste in campionati difficili ma dove avevo sempre fatto il mio, gol compresi. Mi ricordo che faceva un caldo terribile a Mantova e, quando salimmo le scalette per andare a vedere il terreno di gioco, la nostra curva era strapiena: ci saranno stati almeno tre o forse quattromila tifosi”.

E Bizzarri cosa pensò?
“Quel giorno mi resi conto di quanto a Ferrara si vivesse e si respirasse di calcio. Una passione vera, autentica, era impossibile non farsi contagiare da quella gente, dal loro entusiasmo. La SPAL non era solo una squadra di pallone, era un simbolo che andava oltre la partita della domenica e noi che andavamo in campo oltre a essere onorati di vestire quella maglia avevamo il dovere di dare tutto e, se possibile, anche di più, per ripagarli solo in parte dei sacrifici che facevano per sostenerci seguendoci dappertutto. Pensavo anche a quei miei compagni, tanti, che rifiutavano contratti al nord solo perché, dicevano, allo stadio li sarebbero andati a vedere in 600 e mai si sarebbero sentiti stimolati come al sud. Tutte balle, a Ferrara ho conosciuto un tifo straordinario che ci ha esaltato come pochi: quando uscivo di casa mi sentivo un dio, uno di voi, la gente mi voleva un gran bene e io e la mia famiglia a loro”.

A Mantova non solo il gol, ma anche la tua prima doppietta in campionato.
“Dopo il loro iniziale vantaggio riuscimmo a ribaltare il risultato a nostro favore: prima grazie a un contropiede, poi su calcio di rigore. Ne segnai altri venti quell’anno. Peccato per quel gol nel finale (di Clementi ndr) che ci costò due punti ma fu una bellissima partita contro una squadra attrezzata, come noi, per vincere il campionato”.

Un anno e mezzo dopo, Bizzarri, se ne andò nel pieno della maturità verso la serie B. E fu un addio al veleno.
“Ma io non volevo andare via! La gente non lo sa ma fui costretto ad andarmene. Donigaglia mi convocò nel suo studio, ad Argenta, e con lui c’erano il mio procuratore (Bruno Carpeggiani – ndr) e il direttore sportivo. Feci una proposta, cioè quella di allungarmi il contratto per spalmare l’ingaggio su una stagione in più. Io a Ferrara stavo benissimo, così mia moglie e mio figlio che aveva appena un anno all’epoca. Nessuno di noi voleva abbandonare una città che ci ha fatto sentire come a casa. Ma fui costretto. Donigaglia mi disse che ero l’unico che aveva un certo tipo di mercato e il Cesena aveva fatto una proposta irrinunciabile (si parla di oltre un miliardo delle vecchie lire – ndr). Cosa potevo fare? Impuntarmi? Scontrarmi con la società? Forse. Ma bisogna, a volte, mettersi anche dalla parte del giocatore, non solo da quella del tifoso, benché li capisca. Ma spesso la realtà è molto diversa da quella che si sogna e si racconta. Forse avrei potuto spiegare qualcosa alla gente di Ferrara quando me ne andai via, di tempo ne ho avuto, è vero. Non lo so, sono attimi, momenti, probabilmente ho sbagliato anche io ma ci rimasi molto male per come mi trattò la società: dovevo andare via e basta, non mi lasciarono alternative. Per il bene della SPAL ho preferito subire io e starmene zitto. A posteriori, però, si è visto come è andata a finire quella gestione”.

Passarono quasi cinque anni prima che le strade della SPAL e di Bizzarri si incrociassero ancora. Era il 12 marzo del 2000 e tu vestivi la maglia del Modena. La Ovest non ti perdonò nulla e tu ricambiasti il ‘saluto’, durante la sostituzione, in maniera un po’ troppo provocatoria.
“Sbagliando. E me ne sono reso subito conto. Sono stato insultato per 90 minuti e apostrofato come mai mi era capitato in vita mia e ho giocato, credimi, su campi pesantucci dove ti dovevi guardare le spalle da tutti, pubblico compreso. La Ovest era la mia curva, quella gente che mi stava insultando era la stessa che mi voleva un bene grande così, come del resto io gliene ho sempre voluto a loro: c’era grande rispetto, anche perché i valori, per me, hanno sempre avuto un peso importante. Mettetevi nei miei panni: chi non avrebbe reagito? Chiedo scusa, a tutti, a quelli che ancora considero i ‘miei’ tifosi e che ancora oggi mi cercano per quel ‘medio’ perché altro, adesso, non posso fare. Per qualcuno sarà tardi, per altri sarò solo un paraculo ma chi mi ha conosciuto almeno un po’ sa che non è così”.

Il tuo temperamento se da un lato ti ha permesso di segnare dappertutto e in piazze difficilissime, dall’altro, forse, ti ha penalizzato un po’ troppo in una carriera che meritava maggiori soddisfazioni.
“Non sono mai sceso a patti con nessuno, il mio caratteraccio non mi ha forse permesso di fare grandi cose ad alti livelli, ma ho sempre messo davanti a tutto il potermi guardare in faccia, la sera, allo specchio, senza vergognarmi di nulla. E’ quello che insegno anche ai miei due figli. Qualche soddisfazione comunque l’ho avuta: ho segnato al Milan che, da interista, è tanta roba, e tra due colossi come Ziege e Maldini su quella punizione di un certo Pirlo che ancora illumina il calcio internazionale. In più, per fortuna, non ho mai subìto gravi infortuni e ho giocato fino a pochi anni fa, divertendomi come ho sempre fatto”.

A quando il tuo ritorno a Ferrara?
Sono in contatto con qualche tifoso via Facebook, altri ne ho visti quando sono salito tre anni fa, per conto del Roseto, lì al Centro di via Copparo, dove ho ricordi indelebili. Mi chiedono ripetutamente di tornare a Ferrara e penso proprio che il 4 maggio, per l’ultima in casa, verrò a riabbracciare i ‘miei’ tifosi, il ‘mio’ stadio e quella città che avrei voluto diventasse la mia. A parte il clima, che ho sempre sofferto, per colpa dei miei problemi alla schiena. So che sarà una giornata di festa e devo ammettere che tornare in curva non mi dispiacerebbe: non sono mai andato da nessuna parte, ho evitato centenari, feste e celebrazioni di ogni tipo. Ho sempre molti impegni e poco tempo libero. Ma, questa volta, penso proprio che farò un eccezione e solo per la SPAL”.

Allievi Roseto Bizzarri-600


A proposito di impegni: oggi a cosa ti dedichi?

“Oggi faccio l’allenatore. Pensa un po’, mai ci avrei creduto. Ho giocato fino a 40 anni (15 gol a 39 anni nel Morro d’Oro in D prima dell’ennesimo intervento alla schiena che lo ha costretto allo stop), poi mi sono messo in discussione dall’altra parte. Ho vinto una Promozione con il Roseto, poi però ho capito che non ero portato per i Dilettanti: se ti senti ancora un professionista e hai fatto una vita da professionista, poi fatichi a entrare in una mentalità così diversa. Ho preferito dedicarmi ai ragazzi e così, da tre anni ormai, curo il settore giovanile dell’ A.S. Roseto di cui sono responsabile e alleno la squadra Allievi, i classe ’97 e ’98 per capirci. Ci sono 150 ragazzi che danno l’anima, che si divertono anche se, rispetto a quando giocavo io, non hanno più la fame di arrivare che c’era un tempo. Tu considera che quando giocavo io ci stavo male se non la buttavo dentro ed ero spietato, pure se c’era mia madre in porta, credo che le avrei fatto gol senza pietà (ride). Adesso ci sono più distrazioni, meno voglia di fare sacrifici, di arrivare per costruirsi un percorso valido con le proprie forze. Però sono orgoglioso dei miei ragazzi: mi basta vederli la domenica, in partita, provare le cose che gli spiego in allenamento e mi si riempie il cuore. Mi ascoltano, mi imitano, vorrebbero diventare come me, mi chiedono consigli, su tutto. Per loro sono l’allenatore ma anche un padre e uno psicologo che li aiuta a crescere in un’età non facile e dove lo sport aiuta tantissimo e fa da collante con la famiglia. Tra poco, il prossimo 1 maggio, faremo un torneo e sarà un’occasione in più per loro di mettersi in mostra e per me di riabbracciare un vecchio amico come Pino Brescia con cui non abbiamo mai smesso di sentirci. E poi prometto che salirò a Ferrara, contro il Bellaria. A festeggiare con voi e a emozionarmi ancora, come ai vecchi tempi”.



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