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Stamane ho fatto una scoperta. Anzi, forse sarebbe meglio dire una riscoperta. Mentre sfogliavo quel prezioso almanacco di storia spallina che è Il calcio a Ferrara (Fontanelli-Negri, Geo edizioni, 2009), ho avuto modo di richiamare alla memoria dei malumori del tifo biancazzurro riferibili a quella stagione che, mezzo secolo fa, ci regalò la serie A. Ricordo che detti malumori nacquero e presero vigore da un’assenza di vittorie che durò dal 25 ottobre al 27 dicembre 1964 e rese la classifica sempre più preoccupante. In due mesi realizzammo la miseria di due gol, ne subimmo cinque e il bel gioco divenne una chimera. Io c’ero e ricordo l’aria pesante che si respirava in città e le illazioni che presero a circolare intorno a Mazza e ai suoi supposti maneggi. Anche allora l’inizio era stato promettente, con quattro vittorie, due pareggi e una sola sconfitta, che avevano fruttato dieci bei punticini nelle prime sette gare. Poi, nelle successive sette, la metà: una cosa da non credere e impossibile da accettare!

La piazza fu presa dal panico e da mille sospetti sull’operato di Paolo Mazza. Francesco Petagna, subentrato da poco a un Gibì Fabbri refrattario ai modi spicci del presidente, non aveva colpe poiché le scelte tecniche le faceva Mazza in persona e la domenica giocava chi voleva lui. Così si cominciò a dire che il Commendatore non poteva più sostenere i costi della serie A e che le formazioni domenicali ubbidivano soprattutto a esigenze di bilancio. Si mormorò che le manovre occulte del presidente avevano già prodotto la retrocessione dell’anno precedente e che, pertanto, sperare in un immediato ritorno nella massima serie era pura utopia. Insomma, si fece largo la convinzione che ormai Ferrara non fosse più una piazza degna di palcoscenici calcistici nazionali: e per noi tifosi il concetto non era facile da assimilare. Così anche allora gli attriti tra tifoseria, giocatori e dirigenza non tardarono a manifestarsi e i tifosi già minacciavano di disertare gli spalti. La piaga della retrocessione di giugno ancora sanguinava e la popolarità di Mazza segnava i minimi storici. La frustrazione era tale che il 1964 avrebbe anche potuto concludersi in aperta contestazione alla società. Ma i fatti, per fortuna, andarono diversamente.

Spal_1965

Fu in un clima alquanto teso che il 27 dicembre 1964 la SPAL affrontò il Bari al Comunale: era la quindicesima di campionato e quindici erano i punti in classifica. Spalti gremiti, a dispetto del freddo di un inverno d’altri tempi. La gradinata di legno vibrava paurosamente sotto il calpestio della folla che cercava di scaldarsi e le bottigliette mignon di alcolici si vendevano a grappoli. Poi la partita ebbe inizio e, ad un certo punto, Lui entrò in scena: il suo nome era Oscar Alberto Massei, e di colpo, per ventimila ferraresi, fu estate piena. Allo scadere del primo tempo, infatti, il più glorioso vessillo della nostra storia inventò una delle sue magie e ci fece festeggiare il capodanno alla grande. Era uno dei più forti centrocampisti d’Europa, distribuiva alle punte assist millimetrici, ma sapeva anche smarcarsi e realizzare con estrema facilità. Era grande, e mai più uno come lui avrebbe accarezzato l’erba del Mazza. Poi venne il 1965, e fu un’altra storia. La SPAL ci regalò bel gioco, risultati, gol, e Oscar Massei continuò a deliziarci dall’alto della sua classe cristallina. Alla fine fu un trionfo indimenticabile, una festa a cui partecipò tutta la città.

Sono ricordi indelebili questi, amici lettori, ispiratori di qualche nostalgia e un po’ di rimpianto per il tempo che fugge. Ma mi pare che essi possano indurci anche a riflettere sul fatto che certe nostre inossidabili certezze foriere di attriti e malumori vari dovrebbero essere maggiormente ponderate. Il senno di poi infatti dimostra come esse spesso abbiano piedi d’argilla e possano anche essere demolite dai fatti. E’ forse più saggio armarsi di pazienza e vivere i momenti critici in modo costruttivo, anziché formulare giudizi frettolosi. La nostra storia ci insegna che un campionato si può vincere anche se è stato attraversato da un periodo di vacche magre. Affrettiamoci dunque ad augurare buon lavoro a mister Semplici e a gridare, tutti in coro, “forza SPAL!”: chissà che alla fine il 1965 e il 2015 non risultino più simili di quanto si creda!



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