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“Credo siano passati tre giorni dall’ultima volta che ho sentito Mattioli. Dovrò farmi aggiornare un po'”. Simone Colombarini sorride, cordiale come al solito, mentre apre le porte di una sala riunioni degli uffici di Vetroresina. Gli impegni di lavoro lo tengono impegnatissimo in coincidenza di un periodo di (apparente) riposo per la SPAL. Questo però non gli ha impedito di ritagliarsi quasi un’ora di tempo per ripercorrere alcuni passaggi della stagione appena andata in archivio e fare il punto sulle prospettive future di squadra e soprattutto società.

Simone, quella che si è appena chiusa è stata la tua prima stagione da dirigente in terza serie, dopo i tanti anni spesi un gradino più sotto con la Giacomense e in parte con la SPAL: che bilancio ne fai?
“Diciamo che prima di tutto essere in Prima Divisione per la SPAL dovrebbe essere il minimo, per cui stare dove stiamo non è una conquista, ma qualcosa di doveroso. Ci eravamo presi l’impegno di mantenere la categoria e fare un buon campionato e siamo contenti di aver raggiunto l’obiettivo. Un bel finale di stagione ci ha permesso di andare oltre le aspettative per quello che se non sbaglio è il miglior risultato della squadra negli ultimi vent’anni. Ovviamente siamo tutti orgogliosi di esserci arrivati e speriamo di migliorarci, anche se sappiamo che non sarà facile”.

Il percorso che ha portato la SPAL al quarto posto non è stato privo di episodi negativi. Avendo a disposizione una macchina del tempo per tornare indietro cosa cambieresti di questa stagione?
“Le scelte iniziali di mercato, senza alcun dubbio. Con Brevi le cose non sono andate come si sperava e questo ha condizionato la stagione”.

Cosa non ha funzionato con Brevi?
“Credo che per un allenatore l’approccio psicologico sia una componente molto importante e nel suo caso qualcosa non ha funzionato. Intendiamoci: non si discutono le sue qualità tecniche, se lo abbiamo scelto è perché abbiamo riconosciuto la sua capacità di ottenere dei risultati nel corso della sua carriera. Però alla SPAL il suo atteggiamento non è stato quello che avrebbe potuto far crescere i nostri giovani. Le responsabilità vanno sempre divise, però il suo compito principale era quello di ottenere il meglio dalla rosa a disposizione e alla fine non ci è riuscito. Diversamente da lui Semplici ha dimostrato di farcela, a ogni livello. Durante la gestione di Brevi i giocatori meno utilizzati faticavano molto a dare un contributo quando chiamati in causa, mentre con Semplici tutti sono riusciti a rendersi utili. Per fare un esempio si pensi a Landi: ultimamente ha giocato pochissimo, ma quando l’ha fatto ha sempre fatto molto bene”.

Il finale di stagione in crescendo ha riacceso l’entusiasmo dei tifosi, che ora si aspettano ancora di più. Non più tardi di qualche giorno fa uno di loro mi ha fatto notare che fuori dal Paolo Mazza si stanno installando dei tornelli e che questo potrebbe essere indizio di una pianificazione che porti alla serie B.
“(Ride) Mi dispiace deludere questo tifoso, ma la questione dei tornelli nella zona della vecchia Curva Est è relativa ai lavori di adeguamento dello stadio che il Comune sta portando avanti sulla base di alcune richieste della Questura. Si tratta principalmente di modifiche legate alla sicurezza e alla logistica per il personale e la squadra ospite”.

Quando ci incontrammo un paio di anni fa, prima ancora che la Giacomense diventasse SPAL, dicesti che i rischi principali di prendere una società del genere stavano nelle aspettative sempre crescenti del pubblico e nel rischio di rimanere da soli nell’avventura.
“Come puoi vedere entrambi i rischi si sono poi verificati (Ride). Per quanto riguarda le aspettative dobbiamo essere bravi a spiegare che il raggiungimento di certi obiettivi – che tutti sogniamo – è difficile se la proprietà rimane da sola. Non sto dicendo che sia impossibile salire di categoria, perché anche quest’anno con un determinato budget abbiamo dimostrato che passando per gli spareggi ce la si potrebbe fare, però nelle condizioni attuali la SPAL non può pensare di essere la squadra che parte per vincere il campionato. Per fare questo bisogna spendere più di quanto abbiamo attualmente a disposizione. E non è nemmeno detto che questo sistema funzioni, basta vedere cosa è accaduto a realtà che in questa stagione erano partite per ammazzare il campionato e poi sono rimaste fuori”.

Il budget di quest’anno è stato rispettato o c’è stato un esborso più alto del previsto?
“Diciamo che non siamo molto lontani da quello che è l’esborso medio di ogni proprietà in questa categoria. Quest’anno abbiamo speso un po’ di più per i cambi in corsa, d’altra parte dovevamo correggere degli errori che noi stessi avevamo commesso. Altrimenti saremmo arrivati in linea con le previsioni”.


Ricordo che in un’intervista di qualche mese fa dichiarasti che il budget stanziato in questa stagione sarebbe stato “difficile da confermare”. Come si concilia questo aspetto con l’appetito di una tifoseria che ha visto i playoff a portata di mano?
“Il budget non subirà variazioni drastiche, diciamo che il nostro obiettivo è quello di spendere un po’ meglio quello che abbiamo. Quindi migliorare la squadra partendo da basi che abbiamo già adesso e possibilmente evitare correzioni di gennaio come nelle ultime due stagioni”.

L’entusiasmo popolare c’è e aiuta, ma non va di pari passo con un entusiasmo… imprenditoriale della città. La SPAL fatica ad attirare sostenitori. Come ti spieghi tutto ciò?
“E’ difficile trovare una chiave di lettura unica. Di sicuro all’interno della dirigenza eravamo tutti speranzosi circa la possibilità di coinvolgere un po’ l’imprenditoria grazie ai risultati, ma questo nei fatti non si è verificato. Sono convinto che il passato recente della SPAL giochi ancora un ruolo non secondario, perché tanti di quelli che si sono avvicinati con altre proprietà sono rimasti molto delusi. Quando siamo arrivati comunque sapevamo sarebbe stato difficile, già alla Giacomense avevamo ben chiaro che fare calcio a questi livelli rappresenta un costo. Non ci sono secondi fini e ci si rimette. Se ne prende atto e si cerca di fare il meglio possibile, compatibilmente con le risorse a disposizione. Sta a noi dare lustro alla SPAL, portarla in alto e innescare l’interesse di potenziali sponsor. A questo proposito molto presto lanceremo una serie di iniziative per offrire visibilità anche ad attività che non hanno a disposizione grossi budget”.

Di cosa si tratta?
“Sveleremo presto i dettagli, ma alla base c’è la volontà di stringere rapporti anche con coloro che non si possono permettere l’acquisto di un cartellone allo stadio. Per cui la campagna riguarderà commercianti, artigiani e professionisti che potranno abbinare la propria attività al marchio SPAL con somme assolutamente alla portata. Nel contempo ovviamente chiederemo ai tifosi di premiare il più possibile di premiare le attività cittadine che scelgono di sostenere la SPAL come fanno loro acquistando il biglietto o l’abbonamento. Vogliamo che la città si avvicini sempre di più alla sua squadra e per questo stiamo collaborando non solo con associazioni di categoria come Ascom, ma anche con realtà benefiche come l’associazione Giulia Onlus a cui destinare i proventi di alcune nostre iniziative”.

Ora più che mai il calcio cosiddetto “di provincia” è sulla ribalta: dopo Chievo e Sassuolo anche Carpi e Frosinone fanno parlare di sé, una è già in serie A e l’altra ha un piede dentro. Cosa manca a Ferrara e alla SPAL per iscriversi a questo circolo?
“Sicuramente la zona di Modena e Reggio-Emilia ha qualcosa in più rispetto alla nostra. Faccio un esempio: la Reggiana, grosso modo, spende quasi un milione di euro in più rispetto alla SPAL. Se lo può permettere perché quella è la somma che riesce a raccogliere tra sponsorizzazioni e altre entrate simili. Carpi invece mi sembra il classico esempio di una società che parte con un budget ben definito e di anno in anno prova a migliorarsi, senza spese folli. Non credo che in questa stagione fossero partiti con l’intenzione di ammazzare il campionato. Eppure facendo le scelte giuste hanno dominato la serie B, passando davanti a realtà che hanno speso tantissimi soldi. Paradossalmente il Carpi in questa stagione potrà dire di aver raggiunto la serie A spendendo meno del Pisa, che non è neanche riuscito ad arrivare ai playoff in Prima Divisione”.

Questo porta a riflettere su un dettaglio citato già prima: in Lega Pro ci si rimette e non poco, mettendo a repentaglio la stessa esistenza delle squadre.
“Si fa presto a capire come il sistema attuale sia insostenibile: attualmente le sessanta squadre di Lega Pro mettono fuori complessivamente un centinaio di milioni di euro e in media ci rimettono un milione ciascuna. Stare in piedi un anno non è difficile, durare di più sì. Se le cose continueranno a rimanere così difficilmente si potrà continuare a trovare sessanta diverse proprietà disposte a fare certi sacrifici. Per come è ripartita attualmente la torta dei diritti tv ci sono società che in serie B spendono meno di altre di Lega Pro. Senza una riforma seria non si andrà molto lontano: ci diciamo che la Lega Pro deve essere il serbatoio dei giovani e poi la mutualità dai piani superiori è ristrettissima, quasi risibile”.

Per la prossima stagione la Lega Pro ha diminuito l’importo delle fideiussioni, passando da 600 a 400mila Euro, promuovendo addirittura degli sconti per chi limita il monte ingaggi. E’ un passo nella direzione giusta?
“Per niente. Anzi, è il genere di provvedimento che rende solo più facile l’iscrizione per i club potenzialmente in difficoltà e l’unico effetto sarà quello di evitare qualche mancata iscrizione in estate. Ma il problema di fondo rimarrebbe: la fideiussione non è un costo, non sono soldi che si tirano fuori. Se una società non riesce a ottenere una fideiussione di quell’entità da una banca allo scopo di fare un campionato che richiede più spese che ricavi non si deve nemmeno iscrivere. Il punto critico non sta nella possibilità iscriversi al campionato. Sta nel riuscire a portarlo a termine regolarmente, pagando tutto quello che c’è da pagare. Con le regole attuali uno può iniziare la stagione e dire ‘Speriamo di trovare un milione di euro durante l’anno’. Se però non ha questa fortuna smette di pagare gli stipendi e finisce col falsare il campionato. Per questo serve una riforma anche in termini di maggiori controlli e di maggiori garanzie”.

Cosa ne dici invece della riforma che riguarda i contributi per l’impiego dei giovani?
“Quella mi sembra una buona idea. Lascerà più autonomia alle società e gli allenatori non dovranno più fare calcoli per decidere quali giocatori staranno in panchina o in tribuna. In sede di mercato si potranno fare scelte di maggiore qualità, anche se trovare giovani veramente buoni rimarrà difficile come al solito. Con parametri del genere credo che quasi tutte le squadre faranno organici con i sedici ‘over’ e si stare più o meno tutti sullo stesso piano, sia in termini di distribuzione delle risorse, sia di competitività del campionato”.

La SPAL in questa stagione ha ricevuto quanto aveva messo in preventivo per il rispetto dell’età media?
“Credo riceveremo leggermente meno del previsto, ma non dipende dall’età media della nostra squadra, quanto dal fatto che ancora non si ha ancora la certezza di quante risorse ci siano a disposizione. In altre parole sapremo solo a giugno quanto ci spetterà e questo fa capire come sia organizzata la Lega Pro. L’unica certezza per i club è la presenza dei 25 milioni di euro provenienti grazie alla Legge Melandri, poi tutto il resto è soggetto a variazioni per motivi diversi. Per esempio chi salta un pagamento degli stipendi viene automaticamente escluso e questo aumenta la disponibilità a favore delle altre società. Ma ci sono anche società che per motivi di budget hanno fatto giocare un sacco di giovani”.

Fare un bilancio preventivo con questi presupposti deve essere un inferno.
“Lo è, ed è abbastanza assurdo che la stessa Lega Pro chieda alle società i bilanci preventivi quando lei stessa non sa dare indicazioni precise su quantità e tempi dei contributi”.

Sul bilancio di quest’anno ha pesato anche l’investimento per i nuovi riflettori del Paolo Mazza. A settembre Mattioli affermò che quella spesa aveva precluso l’ingaggio di un “attaccante buono”. Dobbiamo presumere che quest’anno l’attaccante buono arriverà?
“(Ride) Non lo so, è una domanda da rivolgere a Vagnati. A essere onesto credevo che gli attaccanti presi in estate fossero buoni, poi per un motivo o per l’altro non hanno rispettato le attese. Il nostro proposito è quello di migliorare la rosa, ma per l’attacco saremmo felici di confermare Finotto e Zigoni. Sul primo non ci sono dubbi, sul secondo non dipende a noi. Speriamo di poter trovare un accordo, fermo restando che un terzo attaccante arriverà sicuramente”.

L’attuale stagione è stata anche la prima dello spezzatino televisivo estremo. Come lo hai vissuto?
“Onestamente mi auguro che venga limitato nella prossima stagione, perché società come la SPAL ne escono penalizzate. La scorsa estate avevamo fatto alcune stime sul pubblico e complessivamente ci aspettavamo qualcosa in più: se non sbaglio abbiamo chiuso con una media di 3.500 spettatori a partita, mentre noi avevamo preventivato un livello vicino ai 4.000. Però quando abbiamo fatto i conti non eravamo ancora a conoscenza dell’entità dello spezzatino e questo ha finito con l’incidere. Il problema è che le entrate derivanti dallo spezzatino probabilmente non riusciranno a compensare l’assenza di quelle 3-400 persone allo stadio”.

Tra le altre cose l’inquadratura standard di Sportube punta su una gradinata tristemente vuota. Qualcuno ha avanzato ipotesi di riapertura. E’ una cosa possibile?
“Per essere possibile lo è, perché dal punto di vista tecnico non ci sono chissà quali interventi da fare. Numerare i posti, creare una divisione più marcata col settore ospiti e rinnovare i servizi igienici. Ma allo stato attuale non ne varrebbe la pena. Per riaprire la gradinata dovremmo, in alternativa, aumentare la capienza totale o limitare l’afflusso negli altri settori. Nel primo caso si andrebbe oltre la soglia attuale di 7.500 spettatori e questo implicherebbe l’installazione dei tornelli per tutto lo stadio. Nel secondo invece dovremmo ridurre il numero di biglietti disponibili per curva, tribuna e settore ospiti, per far confluire qualche centinaio di spettatori in gradinata. Per il momento non credo sia un’ipotesi da prendere in considerazione”.

Nel frattempo una nuova stagione è dietro l’angolo e la SPAL si appresta a tornare in Trentino per il ritiro estivo. Dietro a questa scelta ci sono anche ragioni di immagine?
“In parte sì, anche se l’idea era nata da una chiacchierata con Semplici. Grazie ai suoi eccellenti rapporti con la Fiorentina il mister aveva suggerito di andare a Moena, magari subito dopo la sua ex squadra. Fare il ritiro in Trentino significa sicuramente avere più possibilità di disputare amichevoli con squadre di prestigio, oltre alla possibilità di creare un piccolo indotto economico grazie ai possibili pernottamenti dei tifosi in località turistiche di un certo spessore. Diciamo che si spende qualcosina in più, nella speranza di avere un ritorno maggiore”.

Luglio segnerà il secondo anniversario dell’insediamento della famiglia Colombarini alla SPAL. In questi due anni senti di aver tratto un insegnamento più importante di altri?
“(Sorride) E’ una domanda complicata… se ci penso non credo di aver fatto particolari scoperte. Nel senso che mi aspettavo più o meno di trovarmi di fronte alle situazioni che poi si sono puntualmente presentate. La sorpresa più grande, o se vogliamo la parte più deludente, è stata constatare la grossa difficoltà nel far avvicinare altri soggetti al mondo SPAL. Parlo ovviamente di sponsor e potenziali soci, nonostante per questi ultimi non ci sia mai stata una vera e propria ricerca. Diciamo che noi lasciamo le porte aperte per chi vuole dare una mano. Sapevo sarebbe stato difficile, ma speravo un pochino meno. Sicuramente anche noi, come dirigenza, non abbiamo fatto il massimo su questo fronte. Nel primo anno per la mancanza di tempo, nel secondo perché abbiamo… dormito un po’. Però tra le priorità c’è sicuramente quella di migliorare l’organizzazione interna, allo scopo di curare gli sponsor attuali e cercarne di nuovi”.

C’è invece una critica più fastidiosa delle altre che hai ricevuto in questo biennio?
“Quando si è in una simile posizione le critiche non mancano mai, per cui ho imparato a darvi il giusto peso. Detto questo mi dà un certo fastidio leggere cose del tipo ‘E’ ora di tirare fuori i soldi’. Perché se si conoscessero le cifre in gioco non lo si direbbe mai. Però tendo a pensare che siano commenti di persone che appunto non sanno, o al limite fanno finta di non sapere. Molti al mio posto si chiederebbero chi glielo fa fare di mettere in gioco certi capitali. Io però non ci penso e continuo a fare del mio meglio per il bene della SPAL”.



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