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Fu una festa che non si può dimenticare, neanche a distanza di mezzo secolo. Quel lunedì 21 giugno 1965 tutta Ferrara si strinse ai suoi eroi biancazzurri in un caldo abbraccio di sincera gratitudine. “Ben tornata SPAL in A” era stampato, a caratteri cubitali, sul frontale del pullman che, tra due ali di folla in delirio, portava in trionfo la squadra per le vie cittadine. “Missione compiuta!” gridavano all’unisono i nostri cuori eccitati dallo sventolio di mille bandiere e dal frastuono dei clacson impazziti. L’onta dell’anno precedente era stata lavata in un batter di ciglia, mostrando che, alla SPAL, spettava di diritto un posto nell’Olimpo del calcio nazionale. E su quel pullman parato a festa – che, a vederlo oggi in fotografia, sembra un reperto archeologico -, c’erano quel giorno gli artefici della vittoria, che ci salutavano dai finestrini semi-abbassati coi volti radiosi per le ovazioni che si levavano dal popolo in festa. Quei campioni sono ancora nel cuore di una generazione che racconta le loro gesta, alimentando nei giovani d’oggi il desiderio di rivivere quelle lontane emozioni.

Poteva essere questo appena concluso l’anno magico, proprio nel cinquantennale di quella storica impresa. Invece ci siamo solo salvati senza patemi, com’era nei piani societari ad inizio stagione. Così possiamo proclamare ancora una volta “missione compiuta!” e iniziare, senza rimpianti, la tappa decisiva verso il ritorno tra i cadetti. Nel frattempo, accontentiamoci di ritornare alla festa di quel  primo giorno d’estate di mezzo secolo fa per salire idealmente sul pullman dei nostri intrepidi guerrieri ed incontrare un distinto signore che ha lasciato una traccia indelebile nel calcio italiano e che si chiama Osvaldo Bagnoli.

Gli avevo telefonato un paio di giorni prima e ci eravamo dati appuntamento sotto il pergolato di un  piccolo bar del quartiere dove entrambi abitiamo. Come sempre, aveva accettato di buon grado, perché lui – come spesso afferma – Ferrara ce l’ha nel cuore, e del periodo che vi passò conserva un grato ricordo. Oggi Osvaldo Bagnoli è una persona dall’aspetto giovanile e dal fisico ancora asciutto, come ai tempi in cui fraseggiava con Capello, Massei e gli altri sul terreno del Comunale. Per quanto riguarda i disagi dell’età, si lamenta un po’ per la fatica di ricordare i nomi, ma poi aggiunge che la memoria visiva è ancora piuttosto efficiente. In questo periodo, è tutto preso dal trentennale dello scudetto dell’Hellas Verona e quando gli ricordo che venti anni prima, da giocatore, aveva festeggiato anche a Ferrara, si illumina in volto e resta piacevolmente sorpreso della concomitanza.

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Immagino, Bagnoli, che in questi giorni lei debba rispondere a molti inviti per la celebrazione del trentennale dello scudetto: chissà quanti appuntamenti avrà in agenda, ai quali non potrà mancare.
“Guardi, mi lasci dire che qui a Verona c’è una tifoseria meravigliosa; perché ricordare ancora quel successo, nel modo come è stato ricordato, con tante dimostrazioni d’affetto, ancora immutato dopo tanti anni, vuol proprio dire attaccamento a questi colori. E’ stato bello ed emozionante, davvero”.

Però io, se mi permette, vorrei celebrare con lei un altro anniversario, che è il cinquantennale di una promozione in A della S.P.A.L., il 20 giugno 1965. Lei c’era ed io pure, anche se con “ruoli” diversi: lei in campo a inventare magie col pallone, io sugli spalti con altri ventimila a farvi sentire il nostro caldo incitamento. Allora le chiedo: cosa ricorda di quel 21 giugno in cui tutta Ferrara in festa vi accolse al rientro dalla trasferta di Cosenza?
“Anche quella volta un grande entusiasmo: a Ferrara c’era una tifoseria calorosa che ci dimostrava un grande affetto. Devo dire che, da parte mia, quell’affetto era ricambiato, tanto che si può dire che ero innamorato della SPAL. Questo perché la SPAL mi aveva permesso di avvicinarmi a casa, cioè a Verona, città di mia moglie. Vi ero arrivato da Catanzaro, da un’altra squadra di serie B. Così quella promozione ebbe per me, come professionista, un sapore speciale, perché mi faceva ritrovare quella serie A in cui non militavo dal 1958, anno in cui retrocessi col Verona. E poi, in quegli anni, militare nella SPAL di Mazza era un onore, perché era una società che si faceva rispettare, in campo e fuori. Quando arrivava una chiamata da una piazza così, ci si andava di corsa. Anche perché aveva giocatori di prim’ordine: uno fra tutti – come si fa a non ricordarlo? – era Oscar Massei”.

[A questo punto è necessario dire che non sono andato solo all’incontro con Bagnoli, ma assieme a due volumi che raccontano la SPAL: uno per immagini (Spallinati, Ars et Labor, ed. La Carmelina), cioè  contenente foto storiche che coprono i primi cento anni di vita della Società; l’altro per parole ed immagini (Fontanelli-Negri, Il calcio a Ferrara, Geo Edizioni), dove le parole riportano nel dettaglio i tabellini di tutte le partite giocate dalla SPAL, dalla sua nascita al campionato 2009-2010. Così, al sentire il mio interlocutore menzionare il grande Oscar, approfitto della sua agile memoria visiva per risvegliare in lui qualche ricordo del clima che si respirava, a quei tempi, alla corte di Mazza. E gli mostro la fotografia di pagina 53 del primo volume, che ritrae sei giocatori,  con indosso la tuta della SPAL, in un contesto inusuale, cioè sulle nevi di qualche imprecisata località montana].

A proposito di Massei, mi vuol spiegare cosa ci facevate in montagna, d’inverno, sulla neve? Era un soggiorno previsto dalla preparazione di allora?
“No, era una vacanza organizzata dalla società. Mi ricordo che fu divertente. Qui riconosco Bertuccioli – continua, lasciandosi prendere dall’emozione di rivedere, anche se solo in fotografia, i compagni di quel tempo – poi Innocenti, che veniva dal Lecco, e Muzzio, mentre io sono tra Pasetti, un ragazzo simpaticissimo, e Massei. Eravamo tutti molto amici, ma con Muzzio mi trovavo particolarmente bene perché ci eravamo conosciuti anche prima di  arrivare alla SPAL. (Poi l’occhio gli cade sulla foto della pagina a fianco, dove un gruppo di suoi compagni è in posa, assieme all’allenatore Petagna, davanti alla Fontana di Trevi, che fa buon viso a cattivo gioco per il secco 2-0 che quei birichini, poche ore prima, avevano rifilato alla Roma, in quel dell’Olimpico).  Ah, ecco qui Capello e Reja… Petagna, che aveva preso il posto di Fabbri l’anno prima. Però devo dire che a me Fabbri piaceva molto, era un bravo allenatore e la carriera che ha fatto lo dimostra. E il povero Bruschini… e Moretti. Tutti giovani erano: allora i giovani trovavano spazio presto. Avevamo anche una bella divisa d’ordinanza, vero?”.

Ma la sostituzione di Fabbri che non sia dipesa dal fatto che Gibì era poco disposto a sottomettersi a Mazza nelle scelte tecniche, che erano competenza dell’allenatore?
“Sì, in effetti Fabbri era meno malleabile e Mazza non solo voleva fare lui la formazione, ma veniva nello spogliatoio e ti diceva come dovevi giocare, chi dovevi marcare, eccetera. Eppure guardi: nonostante questo, sia Fabbri sia Petagna avevano un grande rispetto del presidente, anche perché di calcio ne capiva abbastanza”.

1965pasettimasseibagnol

Tornando al campionato della promozione, quale fu, secondo lei, il momento più critico e quello che, invece, rappresentò la svolta verso il successo finale?
“Mah, mi fa una domanda un po’ difficile, perché, quando si raggiunge un successo come quello, si tende a dimenticare le fasi che lo hanno determinato e si ricorda soprattutto la gioia provata, i festeggiamenti. Per me, come le dicevo, voleva dire il ritorno in serie A dopo tanti anni e quindi l’orgoglio personale di appartenere alla categoria dei migliori era grande. Così ho giocato altri due anni in A, e poi il presidente, sempre fedele alla politica del lancio dei giovani, mi cedette”.

Eppure, io sono convinto che quella volta Mazza commise un errore e che, se lei non se ne fosse andato, l’anno seguente non saremmo retrocessi e la storia della SPAL sarebbe stata diversa.
“Mah, vede, io non so giudicarmi come giocatore, lascio che siano gli altri a farlo. Però ero uno che correva per novanta minuti e ci metteva l’anima. Giocavo per la squadra, e Mazza lo capiva, tanto che mi faceva marcare sempre l’uomo più pericoloso”.

Spal_1965 - Copia

Bene. Veniamo un attimo al presente, signor Bagnoli. Ha saputo che la SPAL quest’anno ha sfiorato i play-off?
“Devo confessare che ultimamente seguo un po’ il calcio di casa, dal momento che il Verona mi concede la tessera, e io vado ogni tanto al Bentegodi. Per il resto, mi sono allontanato dal calcio e vivo la mia vita con la famiglia, dedicandomi ad altro. Però io credo che una squadra come la SPAL, se vuol ritornare grande, deve far tesoro della sua storia. Guardi qui questa foto: tutti giovani, giovani che poi avevano come guida un fuoriclasse come Massei, che sapeva fare spogliatoio. Ecco, Massei era proprio l’uomo spogliatoio ideale, quello che ogni allenatore dovrebbe cercare di avere in squadra. Poi c’era il terzino Bozzao, persona simpaticissima e sempre allegra, che sapeva essere d’esempio ai giovani”.

Restando in Lega-pro, signor Bagnoli, non possiamo fare a meno di parlare dell’ennesimo caso di calcio scommesse che coinvolge tante società. Perché, secondo lei, tanti giovani calciatori, che potrebbero essere contenti di una professione sana e divertente, anche pagata bene, si lasciano prendere dal  meccanismo perverso delle scommesse?
“Ci crede se le dico che non lo so? Questa è una cosa tanto lontana dalla mia mentalità, dai valori che mi hanno sempre animato durante la mia lunga carriera, che mi è difficile comprendere questo fenomeno”.

Ho capito. Allora le faccio una domanda che chissà quante volte le avranno fatto. Cos’è che l’ha spinta a interrompere la carriera ancora così in giovane età per un allenatore?
“Guardi, nella mia carriera di allenatore sono stato esonerato due volte: la prima all’inizio di carriera, dalla Solbiatese; la seconda all’ultimo, dall’Inter. Il mio impegno coi nerazzurri terminò a marzo del 1994, avevo cinquantanove anni allora, e così, stando a casa con la famiglia, ha cominciato a piacermi il fatto di non avere più l’obbligo dei ritiri, degli allenamenti e compagnia bella. E mi sono detto che potevo anche smettere, e così ho fatto. Poi il calcio ho cominciato a guardarlo con gli occhi soprattutto dell’appassionato. Ed è chiaro che, per ovvi motivi, la mia simpatia vada soprattutto al Verona”.

Ah, ho capito: allora questo vuol dire che quando ci sarà Verona-SPAL lei terrà per i giallo-blu.
“Beh, sì…. Però le dico una cosa: io, quando dall’altra parte ho un amico, o una squadra che mi sta a cuore, come la SPAL, dico sempre vinca il migliore!. Ecco, così io spero sempre che, chiunque vinca, sia per il merito, per la dimostrazione di essere migliore, per la legge dello sport, insomma”.

Ma mi dica una cosa: le sarebbe piaciuto allenare la SPAL?
“Alla SPAL sarei tornato più che volentieri, perché a Ferrara ero stato bene. E’ una città che mi ha lasciato ricordi indelebili. Amici come Capello, Reja, Pasetti, tutti i giovani del vivaio di Mazza che si sono messi in luce ad alti livelli, non si dimenticano facilmente. Come non si dimentica Massei, un ragazzo eccezionale dentro e fuori dal campo; e Muzzio, col quale era nata una vera, profonda amicizia. Purtroppo se n’è andato troppo presto, poveretto…. (Il ricordo dell’amico scomparso lo porta, quasi istintivamente, a ricercarne il volto nelle fotografie che ha davanti. E riconosce altri volti, ai quali associa nomi che credeva dimenticati. Sembra contento di quell’immersione nel passato, quasi come quei vecchi amici li avesse lì, davanti a sé, in carne ed ossa)”.

bagnoli e muzzio

In una sua intervista al Corriere della Sera, rilasciata ad Alberto Costa, disse di essere stato deluso specialmente dai giovani calciatori, i quali – sue testuali parole – “pretendevano tanto e davano poco”; e a proposito dei motivi del suo addio al calcio aggiunse che, “quando un insegnante non sopporta più i suoi allievi, è meglio che smetta”.  Ecco, mi dica: cos’è che la irritava di più nei giovani calciatori, fino a non riuscire più a  sopportarli?
“Guardi, a volte si trovavano dei giovani che potevano avere anche delle qualità, ma poi si davano delle arie, si credevano arrivati e facevano i divi. Ecco, questo non mi è mai piaciuto, perché, per me, umiltà e sacrificio sono le cose più importanti in ogni lavoro”.

E dal punto di vista tecnico, cos’è che le piace meno del calcio di oggi?
“Non mi piace tutto quel tiki taka che fanno a centrocampo, perdendo un sacco di tempo, invece di cercare la verticalizzazione alla ricerca del gol. Prima di fare un lancio, fanno migliaia di passaggini a centrocampo. Se perdi tempo con tutta quella melina, permetti alla squadra avversaria di sistemarsi e di chiudere tutti i varchi. Il lancio improvviso, imprevedibile, disorienta l’avversario e così lo si può infilare più facilmente. Lo so che vogliono fare come il Barcellona, ma di Barcellona ce n’è uno solo e quella tattica lì la sa sfruttare al meglio: loro quando arrivano ai trenta metri mica tornano indietro. Vanno dentro e puntano la porta avversaria. La cosa che poi non riesco proprio a capire è quando, dopo titik e titok all’infinito, danno la palla al portiere e questo la calcia via a casaccio”.

Coi suoi ex giocatori ha modo di rivedersi ogni tanto?
“Beh, con quelli che sono rimasti a Verona ci rivediamo spesso. Con Fanna, Penzo, Gigi Sacchetti ci vediamo, anche perché facciamo parte di un’associazione volontaria di ex gialloblu che organizza partite di beneficenza sostenute da sponsor che raccolgono fondi da distribuire ad istituti benefici.  E’ stata fondata da Franco Nanni e adesso il presidente è Nico Penzo. Abbiamo la sede allo stadio, in un locale tappezzato delle fotografie del nostro passato”.

Allora si mantiene in forma ancora e sempre col pallone.
“Anche col pallone, ma vado anche in palestra. Al mercoledì sera poi facciamo l’allenamento in un campo che c’è dietro lo stadio. Facciamo cinque contro cinque, sei contro sei. Così, tra amici, tanto per divertirci”.

Ma mi dica una cosa: come fu che diventò un calciatore professionista?
“Guardi, ai nostri tempi si giocava in mezzo alla strada, mica come adesso che ci sono le scuole di calcio. E fino a quattordici anni non si entrava a far parte di una squadra, ma si giocava nei prati, così, fra amici, finché eravamo stanchi. Pensavamo a divertirci, allora, più che alla tattica, come si fa oggi nelle scuole di calcio. Adesso cominciano a otto anni con gli schemi e la tecnica e quando arrivano a quindici sono già stufi. Ecco, io penso che la ragione per cui oggi ci sono sempre meno casi di campioni emergenti in giovane età sia proprio questa: l’approccio col pallone sempre meno naturale e spontaneo di una volta. Vedere oggi dei bambini di sette otto anni già impegnati nel ruolo e negli schemi mi disturba un po’. Io ho giocato nei prati e all’oratorio fino a quattordici anni. Poi fui ingaggiato, assieme ad altri tre amici, da una squadra che si chiamava Trionfale. Dopo un paio d’anni fui richiesto dall’Ausonia e, dopo altri due, entrai nei ragazzi del Milan. Mi ricordo che io in quel periodo lavoravo e, alla fine del campionato dei ragazzi, mi vennero a dire che dovevo aggregarmi alla prima squadra. Io feci presente che lavoravo e loro mi chiesero quanto prendevo. Glielo dissi e loro mi dissero che mi avrebbero dato di più. Così cominciò la mia carriera di calciatore”.

E lo sguardo ritorna sulle pagine del libro fotografico, come se quella carriera fosse lì, davanti a noi, testimoniata da tanti volti conosciuti, ma sbiaditi nella memoria per l’inesorabile fluire del tempo. E noi ormai siamo come due vecchi amici che rievocano le loro comuni esperienze, guardando l’album dei ricordi intriso di emozioni e sentimenti lontani. Non sembra mai sazio, il Mister, di riscoprire i volti dei vecchi amici, e di ognuno evoca un particolare, una caratteristica, un aspetto del suo modo di giocare. Infine, è incuriosito dai tabellini delle partite. Ne scorre alcuni e si mostra particolarmente compiaciuto di un bel 3-1 rifilato al Bologna, fuori casa, con due gol di Muzzio e uno di un certo Bagnoli. Leva gli occhi dal libro e li fissa per qualche attimo nel vuoto, quasi rivedesse quell’uno-due con Fabio Capello col quale stese il Bologna. Poi si ridesta all’improvviso: “Accidenti, dovevo andare a portate un televisore da un tecnico che mi sta aggiustando il videoregistratore! Spero di fare in tempo. Mi sa che la devo lasciare, sa?”.

E ci accomiatiamo, ma prima mi faccio promettere che ai prossimi festeggiamenti per la promozione della SPAL non mancherà di essere presente al Mazza. Poi, andandomene verso casa, non ho l’impressione di aver fatto un’intervista, ma di essermi intrattenuto in piacevole conversazione con un vecchio amico, compagno d’avventura dei migliori tempi della mia vita. Grazie, e a presto, Mister Bagnoli.



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