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Non so a voi, amici lettori, ma a me la fantasia, in questo periodo, gioca brutti scherzi. A volte mi accade di non saper più distinguere il futuro dal presente e di ritrovarmi d’improvviso alla fine di questa stagione, con la SPAL ancora saldamente in testa alla classifica. Il guaio è che mi viene una tale confusione in testa che poi mi pare d’aver consumato in un batter di ciglia anche una seconda promozione, quella dalla B alla A. E alla fine mi sorprendo a festeggiare la serie A assieme a tutti voi, dentro un Mazza che sembra il Maracanà, quello glorioso dei duecentomila.

Mi acchiappa in particolar modo l’esordio casalingo del campionato 2017/2018, così brucio senza rimpianti due preziosi anni della mia vita e mi godo adesso il trionfo che verrà. Ora sto sventolando un bandierone biancazzurro in una gradinata comoda come una scatola di sardine. Vi si sta in piedi, eppure non si prova disagio. La mente è così risucchiata dall’esaltazione collettiva che il corpo non desidera rilassarsi. Il Mazza ti avvince con il suo rinnovato aspetto e la ritrovata integrità. Il lato est è la copia perfetta di quello ovest, ma adesso entrambi sono uniti ai lati maggiori, a formare una struttura compatta simile a quella di S. Siro. Il colpo d’occhio è da brividi, come da brividi sono i cori, che sciolgono nell’etere gli straripanti affetti dei cuori biancazzurri. Ora è l’annuncio delle formazioni, che stanno per emergere dal sottosuolo. I due maxischermi si guardano da una curva all’altra e mandano gli ammiccanti sorrisi degli atleti, man mano che lo speaker ne pronuncia i nomi. Un po’ tiepida, con qualche fischio, l’accoglienza degli avversari ma, alla comparsa dei nostri, ad ogni volto segue un boato che sembra squarciare il cielo. E tutto termina con un “forza SPAL” che quasi lo squarcia davvero.

Un attimo ancora e le due squadre, precedute dalla terna arbitrale, emergono dalla loro misteriosa tana e sono sul terreno di gioco. La folla è in delirio e accompagna con un intenso applauso i giocatori che trotterellano, in doppia fila indiana, sino al cerchio di centrocampo. Sui loro volti traspare un misto di stupore e turbamento alla prova di tanto entusiasmo. I supporter avversari, che affollano la curva est, comprendono le emozioni che attraversano i cuori biancoazzurri e dedicano loro un prolungato applauso. E’ il loro modo di dire bentornato ad uno dei più nobili blasoni del calcio italiano. Meritano un grazie sincero. Ora manca solo il calcio d’inizio. Le squadre sono schierate una di fronte all’altra e attendono il fischio dell’arbitro. Ma inatteso si presenta un fuori programma: lo speaker riprende a gracchiare e il Mazza quasi ammutolisce. E mentre un canuto signore si materializza sul terreno di gioco e si avvia con passo spedito verso il centrocampo, la voce afferma di non aver completato la formazione spallina. I due maxischermi mandano un filmato di Oscar Massei in azione, proprio mentre il suo nome risuona alto e forte nel cielo di Ferrara. Sarà il Capitano oggi a dare il calcio d’inizio del match.

A questo punto, amici lettori, è difficile per me trattenere le lacrime. Io infatti sono tra i pochi, qui dentro, ad averlo visto illuminare questo manto erboso dall’alto della sua classe inarrivabile. Le emozioni che mi diede le credevo racchiuse nei ricordi di gioventù, e invece ora ritornano, d’improvviso, indotte ancora una volta dalla presenza in campo del mio grande capitano. Di fianco a me, un ragazzetto mi guarda con una certa apprensione e mi chiede se mi sento bene. Io annuisco sorridendo, lo ringrazio e gli chiedo il nome. Mi dice di chiamarsi Christian.
“Vedi, Christian, – gli dico a mia volta – quel signore laggiù, poco più anziano di me, si chiama Oscar Alberto Massei e da ragazzo sognavo di diventare come lui”.



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