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La maglia numero due, la Sampdoria, la SPAL. Fino ad oggi questo abbinamento poteva ricordare giusto il memorabile scavino in uscita di Marios Oikonomou a Marassi, invece ora c’è Emiliano Viviano a tenere assieme tutti questi elementi. Il portiere, rimasto ancora molto legato a Genova e ai colori blucerchiati, è stato presentato martedì mattina al centro “Gibì Fabbri” di via Copparo, ovviamente in compagnia del ds Davide Vagnati. Un altro che con la Sampdoria ha un rapporto speciale, peraltro.

Emiliano – ha esordito Vagnatiè un ragazzo che già da un mesetto ha espresso il desiderio di tornare in Italia e di poter sposare il nostro obiettivo. Ci verrà a dare una mano con la sua esperienza e la sua personalità: ovviamente Emiliano è un calciatore che ha fatto la storia di questo campionato. Ha quasi 250 partite e ha giocato anche in Nazionale. È passato per piazze importanti e siamo orgogliosi che abbia voluto fortemente venire da noi. Siamo contenti perché significa che la nostra società, pur essendo in serie A da poco, ha appeal per professionisti di questa caratura. Dimostra che anche nel futuro potremo crescere ulteriormente. Per il resto c’è poco da dire, Emiliano ci ha dato garanzie sulla sua voglia di tornare a giocare dopo una parentesi infelice, ma non certo per colpa sua”.

Quindi la parola è passata al protagonista di giornata: “Sono felice perché torno in Italia con una società importante e che vuole fare le cose fatte per bene. Sono stato positivamente impressionato dall’organizzazione e dalla voglia di crescere che ho visto fin dall’inizio. Sono presupposti fondamentali, anche se poi i fatti bisogna farli in campo. Prima della scorsa stagione non avevo mai incontrato la SPAL in carriera e questo la dice lunga sui passi da gigante che ha fatto in questi anni. In questo campionato ci si confronta quasi sempre con dei campioni e quindi è difficile arrivare al traguardo, ma se si fanno le cose a modo si potrà raggiungere l’obiettivo finale”.

Dopo mesi di accantonamento viene naturale chiederti quali siano le tue condizioni e cosa sia successo allo Sporting.
“Alla fine mi sono allenato normalmente come gli altri, non ero fuori rosa. Solo che ho firmato il contratto che c’erano un presidente, un ds e un allenatore e quando sono tornato non c’era più nessuno di questi. Poi dirigenza e allenatore sono ulteriormente cambiati, ma io non rientravo più nei piani perché ero stato scelto da persone che non facevano più parte della società. A livello fisico l’unico problema l’ho avuto ad agosto, prima del debutto in campionato: mi si sono bloccati i muscoli del collo. Ma da lì in poi sono sempre stato bene e al di là dei 33 anni io mi sento ancora un giovincello, soprattutto per il mio ruolo”.

Arrivi per prenderti un posto da titolare, ovviamente.
“Nel calcio nessuno mi ha mai regalato niente e so che bisogna guadagnarsi tutto sul campo. Io di sicuro non ho chiesto niente alla società. Gomis finora ha fatto bene, poi al resto penserà il mister”.

Cosa chiedi a questi sei mesi in biancazzurro?
“Quest’estate c’è stato un po’ uno stravolgimento nella mia vita, più che nella mia carriera. Era tutto abbastanza inaspettato. Ci sono state problematiche con la Sampdoria e quindi mi sono rimesso in gioco. A questi sei mesi chiedo la salvezza e poi di poter restare qui più tempo possibile. Al di là del calcio ho bisogno di stare bene anche nella vita personale, tipo uscire al mattino, fare colazione, comprare il giornale e passeggiare tranquillamente. Da questo punto di vista Ferrara mi sembra assolutamente vivibile”.

Conosci già qualcuno del gruppo?
“Sì, Floccari l’ho conosciuto in un ritiro della Nazionale, mentre Valdifiori l’ho incrociato quando ero a inizio carriera a Cesena. Ho trascorso sei mesi con Felipe alla Fiorentina e poi Simic alla Samp. Ma bene o male gli altri mi è capitato di affrontarli. Per esempio Paloschi lo conosco bene, io vivo a Brescia e lui viene da lì. Mi è sembrato un gruppo molto sano e che mi ha fatto un’ottima impressione. Tendo ad adattarmi velocemente, quindi non sarà un calarmi in questa realtà”.

Appena il tuo nome è circolato sono magicamente spuntate sui social le clip di alcuni tuoi errori. Non è frustrante che un giocatore finisce con essere giudicato attraverso una manciata di fotogrammi e non magari per il suo percorso?
“Gli errori in una carriera ci stanno, poi se giochi 400 partite da professionista qualcuno può capitare, altrimenti non sarei umano. Certo è che un paio li ho fatti belli grossi. Penso che su Youtube saltino fuori più spesso i due che ho fatto a Cagliari. Mi ha dato molto più fastidio il primo perché ci è costato il pareggio. A fronte degli errori ho anche parato 12 rigori: o sono sempre stato fortunato a giocare a certi livelli, oppure qualcosa di buono l’ho fatto. Non penso a queste cose, davvero: alla fine quello che conta è il risultato finale della partita, al di là degli errori dei vari giocatori. Chiaro che per un portiere valgono doppio e restano maggiormente impressi. Ma chi ne capisce sa di dover guardare altre cose al momento di valutare un portiere”.

Tu come interpreti il ruolo del portiere?
“Per quella che è la mia idea del ruolo, deve semplicemente saper fare tutto: leggere spazi, tempi, posizione dei compagni, rinviare, uscire, giocare corto, tuffarsi o giocare di posizione. Io il ruolo lo interpreto a 360 gradi, ma ciò non toglie che ci siano stati portieri dalle carriere gloriose che hanno puntato su pochi fondamentali ben precisi. Però se guardiamo a quelli che sono al vertice in questo momento, tipo Alisson, Oblak ed Ederson, sanno fare un po’ di tutto”.

Anni fa sei stato nel giro della Nazionale: è un pensiero che ancora fai, malgrado l’età?
“Quello della Nazionale è un pensiero che non ho più da anni, anche se un giocatore italiano deve sempre puntare a quello perché l’ambizione è una componente fondamentale. Quindi chiunque abbia possibilità di essere chiamato deve fare il meglio per crearsi anche solo una possibilità. Però ora ci sono Donnarumma che è un fenomeno, Perin che è un fenomeno, Sirigu che è un grandissimo e oltretutto è anche un amico. Tutti gli altri portieri della serie A devono impegnarsi al massimo per provare a farsi notare da Mancini e metterlo in difficoltà”.

Ti sei fatto la fama del para-rigori: dietro c’è solo studio o qualche altro segreto?
“Un po’ di studio c’è, ma non è un’ossessione. Dipende anche dal tempo che uno ha da dedicarci. Il resto non lo sto a spiegare, se no gli attaccanti prendono nota (ride)”.

Potresti entrare in azione nel derby col Bologna, in una partita fondamentale per il cammino delle due squadre.
“Sarà una partita delicata, ma non più delle altre. Tra l’altro a Bologna ho trascorso due anni e mi sono trovato molto bene. Per la lotta alla salvezza tutte le squadre lotteranno fino alla fine, io vedo molto equilibrio. Penso si sia capito che in serie A di partite scontate non ce ne sono: conta chi riesce a tenere una linea precisa. La SPAL cerca di avere identità di gioco e a raggiungere il risultato attraverso le conoscenze, e questo mi pare un punto di forza. Poi quando i risultati non arrivano subentrano tante cose e ci si impaurisce: a me è capitata una situazione del genere alla Samp, con una squadra costruita per altri obiettivi. Devi sapere andare avanti con l’acqua alla gola, tenendo il naso ben all’insù”.

Qui hai preso ancora una volta il numero 2 per la tua maglia: hai voluto dare continuità alla scelta di Genova o è stato un caso?
“Ho adottato lo stesso criterio precedente: era il primo numero libero dopo l’uno e ho preso quello. Nessun significato particolare o scaramantico”.

Tra l’altro arrivi in una squadra che ha un ds dal cuore doriano e uno staff di fiorentini di nascita come te, neanche a farlo apposta.
“Sì, infatti pensavo che sia a Genova sia a Firenze abbiamo già giocato, quindi dal punto di vista emotivo siamo a posto. Per me l’esperienza alla Sampdoria è stata fantastica per il rapporto che ho avuto con la società e la gente. È stato veramente difficile andare via, ma la vita dei professionisti è questa e ci si abitua. Sono state fatte scelte diverse e io non farò mai polemica. Rimane il fatto di poter legare il mio nome a una società e ad una città così importanti”.



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