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Ci sarà tempo, nei prossimi giorni, per provare ad analizzare l’impronta che Leonardo Semplici lascerà nella storia della SPAL. Così come sarà utile, quando le voci di piazza si saranno fatte meno rumorose, guardare al quadro generale per rendersi conto di come la sua eredità si collochi all’interno di un’eccezionale congiuntura di elementi (finalmente) favorevoli per le vicende biancazzurre: la famiglia Colombarini e le persone a loro legate, una città desiderosa di riscatto, un progetto tecnico portato avanti con competenza e la giusta dose – meritata – di buona sorte.

Quello che invece rimane nell’immediato è un senso di sconfitta su tutta la linea. Per il mister, convinto (erroneamente) di poter trovare il modo di rimanere a galla con una barchetta scassata in mezzo a degli incrociatori. Per la società, ferma nel voler dare fiducia al proprio tecnico sulla scorta delle precedenti imprese, alcune delle quali evidentemente sottostimate per valore e portata. Per il pubblico, che vede di fronte a sé lo scenario di una pietosa via crucis di tre mesi verso la serie B, a meno che Di Biagio non si riveli un allenatore dotato delle stimmate del salvatore.

Intendiamoci: che una squadra (e una società) come la SPAL possa rischiare di retrocedere dopo un campionato infelice deve essere considerato nell’ordine naturale delle cose. Va accettato come parte del rischio nel contesto di un campionato sempre più competitivo e sempre più complicato da sostenere per i club più piccoli, anche a livello economico-finanziario. Piuttosto contano molto le modalità nelle quali questo avviene e al momento quelle attuali sono tutto meno che rassicuranti perché trasmettono un senso composito di impreparazione, indecisione e rassegnazione. Sono stati fatti degli errori e ci sono state delle sfortune, alcune delle quali surreali per tempi e modalità di manifestazione: di fronte a queste una dirigenza solida e compatta ha dato non solo la sensazione di arrancare, ma anche di essere divisa tra vari punti di vista sul da farsi. E questo ha ingarbugliato le cose, almeno agli occhi dei profani che osservano da fuori.

Ai piani alti è stato deciso di far pagare il conto a Semplici perché è l’unica, e molto probabilmente anche l’ultima, mossa disponibile per (tentare di) alleviare una tensione che si sta facendo sempre più forte tra la SPAL e il proprio pubblico. E’ anche l’unica mossa per giustificare le ragioni di un progetto tecnico non privo di punti deboli fin da agosto e per provare a togliere (eventuali) alibi ad un gruppo che ha ormai ha la consistenza mentale di un panetto di burro, malgrado sia ancora oggi dalla parte del suo allenatore.

Non sorprenda la scelta di Gigi Di Biagio come sostituto: a questo punto del campionato solo degli avventurieri senza nulla da perdere potrebbero accettare l’incarico con la squadra in queste condizioni, con questa classifica, con una scadenza a così breve termine. Quando tempo addietro la SPAL provò a esplorare l’opzione Gianni De Biasi capì che sarebbero serviti correttivi estremamente impegnativi per convincere un allenatore con le sue credenziali e la sua visione del calcio. La stesso discorso si sarebbe potuto applicare per Davide Ballardini o qualunque altro “aggiustatore” disponibile sul mercato. Quindi tanto valeva tenersi Semplici e confidare in un’altra magia. Rimanere a -3 dal quart’ultimo posto fino a metà campionato lo era a tutti gli effetti, viste le premesse. Poi la situazione si è fatta insostenibile fino al punto nel quale ci si ritrova ora.

Ci sarà tempo, si diceva, per inquadrare bene questa stagione disgraziata. Quando il sipario sulla stagione sarà calato ci si potrà anche interrogare approfonditamente sulle effettive corresponsabilità di quanto si è visto, a partire dalle mosse di Davide Vagnati nell’allestimento di questo organico. Ma fare processi ora, anche preventivi nei confronti del nuovo allenatore, significherebbe aggiungere tensione e confusione ad un ambiente già di per sé arrabbiato, depresso e alla ricerca di nuovi punti di riferimento. Si può guardare e partecipare, quello sì: vivere le prossime 15 partite come una parte di un cammino unico e non come la destinazione finale, a prescindere dalla categoria. Decideremo a maggio cosa vorremo conservare e cosa invece dovrà inevitabilmente cambiare per ritrovare sorriso ed entusiasmo di fronte a quella maglia così speciale per tutti noi.



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