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Malgrado il cambio di guida tecnica, il risultato della SPAL a Lecce ha segnato un’amara continuità col recente passato e non poteva essere diversamente ad appena cinque giorni dall’insediamento di Luigi Di Biagio, a meno di un aiuto dalla buona sorte che puntualmente non è arrivato.

Nel post-partita di sabato l’opinione pubblica sembra essersi divisa non equamente tra chi ha visto una squadra molto somigliante a quella della gestione-Semplici e altri pronti a sottolineare una discontinuità evidente sotto il profilo dello stile di gioco e dell’interpretazione, al punto tale da alimentare (prematuri) rimpianti per il tardivo avvicendamento in panchina. In casi del genere, al di là della soggettività che caratterizza ciascun punto di vista, può essere una buona idea rivolgersi ai numeri per farsi un’idea un tantino più aderente alla realtà.

Il campione statistico ovviamente non può essere rappresentativo: una sola partita dà indicazioni parziali e per misurare l’intensità dell’effetto-Di Biagio servirà aspettare 5-6 prestazioni. Per quello che è stato lo sviluppo del match e quelle che sono i due difetti fatali della squadra (inconsistenza offensiva e fragilità difensiva) vale la pena confrontare i numeri prodotti dalla SPAL a Lecce con quelli della trasferta a Firenze dello scorso 12 gennaio (1-0 per i viola a tempo quasi scaduto). Una partita dalla quale i biancazzurri uscirono sconfitti senza meritarlo affatto, un po’ come accaduto al “Via del Mare”.

Ci sono diversi indicatori che mostrano continuità: possesso palla (57% in entrambi i casi); numero di passaggi chiave (4 e 3); recuperi di palla (57 e 68) e velocità media dei calciatori scesi in campo (6,8 km/h).
La discontinuità (non sempre migliorativa) viene invece dalla produzione offensiva potenziale (xG 1.69 a Lecce; 0.46 a Firenze), dal numero di tiri totali (13 a 9); dalla quantità e dalla qualità dei passaggi (meglio a Firenze con oltre 100 passaggi in più e una precisione dell’84% rispetto al 77% di Lecce); dalla quantità di cross (21 contro 12); da un numero inferiori di duelli individuali vinti (24% contro il 37%) e dal chilometraggio complessivo della squadra (111,7 km contro 108,2).

Quello del chilometraggio tuttavia è un tema abbastanza complicato da inquadrare: perché se è vero che a Lecce la SPAL ha corso di più rispetto a 4 delle sue ultime 5 esibizioni con Semplici, la distribuzione tra i parametri di jog, run e sprint è rimasta la stessa (25%/67%/8%) a testimonianza di un’intensità abbastanza costante all’interno delle due prestazioni. Nel campione preso in esame fa eccezione solo la prestazione di Bergamo, giocata a ritmi più alti del solito (22%/69%/9%) e con un notevole dispendio di energie (119,5 km percorsi dalla squadra). C’è anche da dire che la SPAL finisce spesso con l’essere accusata di essere una squadra che corre poco, quando invece è 11^ in serie A per media di km coperti in campo. Per banale che sia: il vigore atletico e la resistenza sono elementi importanti, ma conta di più ciò che si fa col pallone tra i piedi e per quella – non si scappa – servono qualità e personalità.

La SPAL di Lecce, a prima vista, ha dato la sensazione di essere più corta, compatta e di giocare un po’ di più in verticale. Il raffronto con Firenze dice che l’altezza del baricentro nel primo tempo è stata la stessa (46,7 metri), mentre la ripresa ha visto un consistente sbilanciamento in avanti (58,7 contro 50,3), motivato evidentemente dai ripetuti tentativi di segnare prima il 2-1 e poi il 2-2 dopo la rete di Majer. Con Di Biagio la SPAL si è allungata un pochino di più (24,08 metri di media a Lecce, rispetto ai 20,3 di Firenze), ma si tratta di una conseguenza naturale di uno sviluppo meno ampio della manovra (-5 metri di larghezza media), con un numero minore di palloni transitati sulle fasce laterali se non per essere crossati con una certa urgenza dai due terzini della linea a quattro (Cionek e Reca).

D’altra parte lo stesso Di Biagio lo aveva sottolineato in sede di presentazione: la prima settimana ha visto lui e il suo staff tecnico lavorare su alcuni concetti generali (es.: la linea difensiva a quattro; lo sviluppo offensivo con tre mezze punte e un riferimento centrale) e su concetti di ordine psicologico per provare a rafforzare il morale di una squadra che si squagliava alla prima difficoltà. Al “Via del Mare” si sono intravisti alcuni input empiricamente misurabili e non, i difetti intrinseci di questo organico (pur con gli imminenti rientri di Fares e Cerri) rischiano di cambiare poco la storia di una stagione costellata da troppe incertezze, in campo e fuori.



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