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Nella serata di lunedì 11 maggio se n’è andato Luciano Cazzanti, dirigente di lunghissimo corso della SPAL dalla fine degli anni Sessanta fino ai primi Duemila. In una carriera durata quasi quattro decadi Cazzanti ha fatto prima da osservatore e poi da responsabile del settore giovanile, scoprendo decine di talenti nel territorio ferrarese e dintorni. Per ricordarlo abbiamo chiesto una testimonianza a Sergio Gessi, che di Cazzanti è stato amico personale.

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Quei suoi occhi celesti che sorridevano al mondo erano lo specchio dell’anima, quella di un uomo buono, intelligente e appassionato. Innocente nel senso più nobile del termine. Luciano Cazzanti ci ha lasciati. E mi sembra incredibile che sia accaduto davvero, perché tante volte la morte lo ha sfiorato, per poi riconsegnarlo alla vita, forse anch’essa intenerita del suo animo puro. Ricordo che una volta mi raccontò di essere arrivato a un passo dalla Grande Soglia. “C’era una luce intensa, abbagliante”, mi disse trasognato, proprio come raccontano coloro che sono stati lì, a un millimetro dal mistero. “Sentivo gli angeli che dicevano: vieni, vieni… E io: toh!”. Non gli mancava l’ironia e la capacità di sdrammatizzare. E anche in questo stava la sua bellezza. Era l’antidoto alla profonda sensibilità che agitava il suo animo. Uomo generoso e leale, faticava a comprendere la cattiveria altrui. Ma non era un ingenuo, tutt’altro: sapeva bene come gira il mondo. Eppure restava ferito ogni volta che osservava un sopruso, non riusciva a darsi pace per le ingiustizie. Non solo quelle patite personalmente, ma pure quelle vissute di riflesso, da cittadino partecipe della vita della comunità, di cui si sentiva fieramente partecipe.

Al dono della fede, che gli dava conforto, univa la tempra indomita dell’operaio. Rivendicava con orgoglio la sua condizione di ‘proletario’, di uomo del popolo, di operaio: ricordava con dolce fierezza il suo impegno nel Mpl, il Movimento politico dei lavoratori cristiani per il socialismo, un piccolo drappello di idealisti che nei primi anni Settanta ebbe a guida Livio Labor e fra gli aderenti molti spiriti nobili della sinistra, che all’utopia egualitaria appaiavano i valori evangelici e la ricerca di una vera giustizia sociale. Ma il grande amore e la passione di tutta la vita fu il calcio. “La SPAL è stata la mia famiglia”, mi disse un giorno, qualche tempo fa. E aggiunse: “Per lei ho trascurato mia moglie e mio figlio”. Ricordo lo sguardo. Gli occhi celesti si alzarono al cielo per tuffarsi nel mare dei ricordi. A stento trattennero l’emozione. Ma restarono asciutti. Disse una verità e una mezza bugia: non credo abbia davvero mai potuto trascurare i suoi affetti più cari, l’adorata moglie Giovanna e il figlio Michele. Li amava intensamente e ne parlava sempre con tenerezza. Ma, certo, il tempo non si dilata… E alla amatissima SPAL ne dedicò parecchio.

Fu Paolo Mazza a sceglierlo, nel 1969. E di essere stato un figlio del Mito aveva il giusto orgoglio. Ha attraversato tutti i mari sulla scialuppa biancazzurra. Come osservatore e selezionatore del vivaio spallino batteva palmo a palmo il territorio alla ricerca dei giovani più promettenti. Per lui erano tutti figli e da buon padre si relazionava con loro. Con Biagio Govoni, nel 1980, divenne direttore del settore giovanile. Ma un brutto giorno, a metà di quel decennio, a seguito di un’intervista che gli feci per ‘Lo Spallino’, fu licenziato dall’allora presidente Primo Mazzanti. Ne soffrimmo molto entrambi, io perché mi sentii in qualche modo responsabile, ma lui certo assai di più: il tetto della casa gli era crollato addosso. Eppure non ebbe mai una parola di biasimo nei miei confronti: “Quelle cose che hai scritto io te le ho dette, non devi sentirti in colpa”. Era davvero un animo nobile e leale. Per fortuna poco dopo, con l’avvento del nuovo patron Nicolini, fu assunto di nuovo per volere dell’indimenticabile Paolo Mandini, che del nuovo presidente milanese era grande amico e consigliere. Fu di nuovo temporaneamente accantonato in seguito, al momentaneo del passaggio di timone a Donigaglia. In quel caso riuscii io a rimediare, quando chiesi un regalo al nuovo proprietario, che per me mostrava simpatia: la riassunzione di Luciano. E lui, il mio caro amico, fu felice come lo può essere un bambino. La sua avventura proseguì fino al 2004: 35 anni di SPAL. Fra i tanti giovani da lui scoperti sui campetti di periferia alcuni sono arrivati alla serie A: Paramatti, Servidei, Manfredini, Ferrari, Cervellati… Per tutti, non per loro solamente, aveva sempre parole di miele. Tanti altri hanno poi fatto carriere rispettabilissime. Gli ultimi della nidiata furono Laurenti, Marongiu, Pallara e Pittaluga. Se n’è andato lunedì, a 85 anni, dopo un paio di mesi di dura malattia. Gli angeli stavolta non gli hanno concesso ritorno. Lascia la moglie Giovanna e il figlio Michele, tanti amici e grandi rimpianti.

Per riferimenti:
Il profilo di Michele Paramatti, forse il pupillo per antonomasia di Cazzanti
Il riassunto della carriera di Cazzanti a cura di Sergio Sottovia di Polesine Sport



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