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Provare oggi le sensazioni dei ventenni degli anni Ottanta di fronte a Diego Maradona non sarebbe possibile. In un calcio sovraesposto, iper-mediatizzato in HD e privato di ogni dimensione dell’immaginazione sembra quasi ci sia più nulla da raccontare. Per dirla con le parole di Vladimir Dimitrijevic: “Ci hanno portato via la ri-creazione e per ciò stesso una parte della creazione. Il racconto è stato ucciso, sostituito da una fibrillazione di fatti salienti ed è come se avessimo sostituito il cuore con il tracciato dell’elettrocardiogramma”.

Per questo sentire le voci di chi era in campo quel 24 agosto 1986, soprattutto se si hanno trent’anni o giù di lì, emoziona e fa sognare. Perché le immagini sì, per quanto sgranate ci sono, ma immedesimarsi in chi era in campo quella sera è decisamente un’altra cosa. Coppa Italia 1986/1987, girone 5, prima giornata. SPAL-Napoli, stadio Paolo Mazza di Ferrara, ore 20.30 circa. Tutti gli occhi puntati su un solo giocatore: il numero dieci del Napoli che gioca la sua prima partita ufficiale dopo aver vinto da condottiero assoluto i Mondiali 1986 con la maglia della nazionale argentina.


FABIO PERINELLI, 24 ANNI NEL 1986 – “Quella non fu una semplice partita di calcio, fu una festa. Una volta appreso che c’era toccato il Napoli non aspettavamo altro che vedere Diego scendere in campo e provare a confrontarci con lui, ben sapendo che sarebbe stato un impegno impossibile. Per il Napoli, e in particolare proprio per Maradona, credo che quella sfida sia stata poco più di un allenamento, vista la grande differenza di categoria che ci divideva (la SPAL era in serie C, ndr). Per noi, invece, era già un’immensa fortuna essere arrivati quarti l’anno prima e poter disputare la Coppa Italia di serie A contro avversari blasonati che rappresentavano l’essenza stessa di questo sport. Per tutti fu un momento indimenticabile. In particolar modo per me, che essendo il capitano riuscii a fare l’ingresso in campo al suo fianco e fare anche una foto con lui. Devo ammettere che non ci fu una conversazione vera e propria tra di noi: entrammo sul terreno di gioco per scambiarci il gagliardetto e addirittura, se non ricordo male, Diego non se l’era neanche portato dietro. Eravamo giocatori e quindi avversari, ma quello che volevamo più di ogni altra cosa era vedere da vicino questo fenomeno e ciò che avrebbe combinato col pallone tra i piedi. Lo vedevi in campo e rimanevi estasiato: quando accelerava e faceva un paio di giocate importanti potevi ritenerti soddisfatto. Per fermare giocatori di quel tipo potevi solo tirarli giù con un fallo, anche se molto spesso venivi colto da un qualche timore reverenziale che ti impediva quasi di intervenire. Era di un’altra categoria. L’esempio perfetto della definizione del fuoriclasse. Sempre sperando che la memoria non mi inganni, credo che quel giorno non uscì nemmeno in campo per riscaldarsi. Una volta ci si preparava sotto la tribuna in un campetto di pallacanestro, mentre la squadra avversaria solitamente si sistemava sotto il curvino. Lui però comparve solo prima del fischio d’inizio. In campo non aveva un ruolo preciso, poteva giocare in qualsiasi zona. Io stavo a centrocampo e teoricamente avrei dovuto trovarlo spesso sulla mia strada, ma il calcio di allora era diverso. I moduli contavano poco: si giocava col libero, il terzino fluidificante o la mezzapunta. Ad ogni modo quella fresca notte di fine estate fu un evento bellissimo per tutta la città di Ferrara: lo stadio era stracolmo, non ricordo precisamente quale fosse la capienza del Mazza all’epoca, ma era stato riempito ogni seggiolino disponibile. A fine partita, nonostante la sconfitta, nessuno poteva definirsi triste. Avevano ammirato dal vivo il giocatore probabilmente più forte nella storia del calcio“.

MAURO NARDINI, 22 ANNI NEL 1986 – “La foto che ho fatto quella sera con Diego l’ho smerciata per anni per darmi una ribalta sociale con gli amici (ride, ndr). Ricordo che uno o due giorni prima della partita andai a pranzo al Ristorante Centrale da Paolo Masetti, che era un grandissimo amico. Mentre ero lì arrivò una telefonata e mi venne detto che si trattava di un giornalista di un quotidiano che voleva farmi delle domande sull’impegno contro Napoli. Ricordo che mi chiese come mi sentivo all’idea di dover marcare Maradona in quella partita, perché il mister aveva detto che sarebbe toccato a me. Bisogna considerare che io ero appena arrivato dal Pontedera: uno che veniva dalla C2 e si ritrovava a marcare il più forte di tutti. Dissi che non me la sarei sentita di dargli dei calci, invece poi gliene diedi almeno un paio. Tanto che dopo un’entrata Maradona mi disse ‘hijo de puta’, ma era comprensibile (ride, ndr). Quella sera al Mazza penso ci fossero 5mila tifosi della SPAL e 15mila napoletani, almeno mi sembrava così dal rumore che veniva dagli spalti. A tratti era impossibile stare concentrati su quello che succedeva in campo, era quasi incredibile che stessimo giocando contro Maradona e contro una squadra così forte in cui c’erano anche Renica, Ferrara, Bruscolotti, Bagni, Giordano… giusto per dirne qualcuno. Chiaro che Diego era fuori portata per chiunque e mi dispiace non averlo incontrato ancora. Avrei potuto farlo qualche anno dopo quando ero a Cagliari in serie A, ma non giocò per via del mal di schiena. Che altro dire? Quella che ho provato quella volta al Mazza è stata un’emozione fortissima e anche pensare d’aver giocato una sola volta contro uno così mi fa venire i brividi, oltre che un po’ di nostalgia per gli anni stupendi che ho passato a Ferrara. Fosse stato per me non sarei mai andato via, mi porto dietro ricordi bellissimi di quell’esperienza. Quella SPAL era forte e poteva salire in serie B, ma purtroppo le cose non andarono nel migliore dei modi“.

CLAUDIO FERMANELLI, 22 ANNI NEL 1986 – “Con Diego funzionava che tu giocavi, ma quando non avevi il pallone tra i piedi ti incantavi a guardare quello che faceva lui, non si riusciva a distogliere l’attenzione. Capitava di scordarsi proprio i movimenti da fare. Io ho avuto la fortuna di giocarci contro cinque volte in totale: quella sera con la SPAL, poi col Padova e infine tre volte con la Casertana perché venivano fatte delle amichevoli al San Paolo. Quella volta a Ferrara noi facemmo anche una bella partita, non ci massacrarono come si poteva pensare. Anche perché non c’era solo Maradona, avevano tanti giocatori fortissimi. Però ci difendemmo bene, forse caricati dall’idea di giocare contro uno così. A me di lui sono rimasti impressi soprattutto i riscaldamenti: li faceva semplicemente palleggiando. Cosa altro si può dire di un giocatore così? Penso non abbia avuto rivali in campo, mentre fuori è descritto da tutti i suoi ex compagni e avversari come una persona straordinaria. Per noi vederlo di persona quella sera fu qualcosa di indimenticabile“.

AMERIGO PARADISO, 24 ANNI NEL 1986 – “Quella sera è stata qualcosa di magico, perché oggi tra tv e social i giocatori li si può vedere di continuo, ma allora poter vedere Diego da vicino per noi rappresentava un miraggio, qualcosa di impensabile e unico. Credo di aver toccato pochi palloni in quella partita, ero più impegnato a vedere cosa faceva lui. Tanto che a fine primo tempo il mio primo pensiero era quello di cercare di fare una foto con lui. Era anche quello degli altri visto che dietro di me c’erano pure Tedoldi e Mauri (ride, ndr). Quella serata non si può dimenticare: vederlo lì, toccare la palla, giocare è stato qualcosa di straordinario. Per noi non era concepibile anche solo poter stare sullo stesso campo di Maradona e vederlo correre vicino a noi. La sua scomparsa mi provoca grande commozione perché è stato un gigante del calcio e un personaggio di grande cuore, pur con tutte le sue ombre“.

 

hanno collaborato Alessandro Orlandin e Riccardo Rizzo



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