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Al termine di SPAL-Pineto 2-0 Joe Tacopina è stato abbastanza vago riguardo ai piani per la prossima stagione. Nella speranza che ne riparli a breve con maggiore dovizia di particolari è indiscutibile che la pianificazione della stagione 2024/2025 passi dalla scelta di direttore sportivo e allenatore. Filippo Fusco e Mimmo Di Carlo sono entrambi a scadenza di contratto il prossimo 30 giugno e non è ancora chiaro cosa accadrà. Se da una parte Fusco sembra il più traballante dei due, anche la conferma del tecnico al momento non pare cosa scontata.
In attesa che le riunioni tra i vari dirigenti portino a una decisione (si spera non troppo tardiva) il nostro gruppo di redazione ha discusso la situazione dell’allenatore che è senz’altro la più dibattuta tra i tifosi biancazzurri. Ne è venuto fuori una sorta di plebiscito per Di Carlo, seppure con varie interpretazioni delle vicende che lo hanno coinvolto nel corso della stagione.

1. FINALE IN CRESCENDO – La prima cosa su cui ci siamo trovati d’accordo è che Di Carlo sia riuscito a rimettere in piedi una SPAL in grave difficoltà nella parte finale dell’esperienza con Colucci e che aveva il morale sotto i tacchi. Al momento del suo ritorno la squadra era poco sopra la zona della retrocessione diretta, con i playout che sembravano il massimo cui aspirare, almeno nel breve termine. Al tecnico è stato riconosciuto di aver portato, in pochissimo tempo, entusiasmo e coesione all’interno dell’ambiente, riuscendo a motivare e a ricompattare lo spogliatoio, concludendo la stagione in crescendo e ottenendo risultati (come serie di vittorie consecutive) che non si vedevano da quattro anni. Alla fine è riuscito a chiudere a un soffio dalla zona playoff e questo non solo alimenta rimpianti, ma dà la sensazione di avere una possibile base sulla quale provare a costruire, un po’ come accadde con Semplici nel 2015.

2. IDEA DI GIOCO – Di Carlo, dal momento del suo secondo insediamento, ha dimostrato di aver fatto tesoro degli avvenimenti della prima parte di campionato. Gli innesti del mercato di gennaio lo hanno aiutato in maniera decisiva, ma grazie alla conoscenza pregressa dell’organico ha impostato un’idea chiara e sulla quale ha lavorato con ostinazione. La SPAL chiude questo campionato con un’identità definita e questo è un buon segno. Ma oltre a un’idea tattica, la sua “nuova” SPAL ha messo in campo carattere e grinta, oltre ad aver mostrato di poter far vedere anche qualcosa di bello, seppure a tratti. Se poi uno dei difetti più evidenti di questa squadra era quello di finire KO al primo gol subito, con Di Carlo la squadra ha fatto vedere di saper rimanere mentalmente in partita anche quando le cose si mettevano male.

foto Filippo Rubin

3. CONCRETEZZA – La serie C, forse più di qualsiasi altro campionato, richiede grande concretezza e la SPAL, sotto questo punto di vista, è cresciuta vistosamente. Nel corso del Di Carlo bis è diventata una squadra pragmatica e cinica sia nel chiudere la propria porta (come dimostra la relativamente lunga imbattibilità) sia nel trovare il gol con ogni mezzo in suo possesso (sette gol fatti nelle ultime tre partite in massimo dieci grosse occasioni). Di Carlo ha un’esperienza tale da essere riuscito a invertire una tendenza negativa e anche dopo partite brutte (Ancona) o approcciate nel modo sbagliato (Pontedera) ha dimostrato di saper toccare i tasti giusti per ripartire subito. Ha saputo gestire i giovani e rafforzare la leadership dei meno giovani. Ha capito di non avere tempo a disposizione e ha subito trovato il vestito tattico adatto e gli aggiustamenti necessari per ripartire immediatamente.

4. UTILIZZO INTELLIGENTE DEI GIOCATORI – La nostra redazione è abbastanza concorde nell’affermare che Di Carlo abbia dimostrato di saper utilizzare il “materiale” a disposizione come forse meglio non si poteva. Ha ripreso in mano una squadra senza capo né coda ed è riuscito a darle una parvenza di gioco: non spettacolare certo, ma efficace. Ha costruito, tassello dopo tassello, un meccanismo funzionante in cui i vari interpreti hanno saputo destreggiarsi bene ogni volta che sono stati chiamati in causa. Fiordaliso centrale ne è un esempio, ma anche Tripaldelli ha reso come mai aveva fatto prima e i suoi errori, grazie al contesto e ai compagni, hanno pesato meno.

foto Filippo Rubin

5. ESPERIENZA – Tralasciando questa stagione e iniziando a ragionare sulla prossima, non si può negare che Di Carlo si porti dietro un bagaglio prezioso di esperienza che manca a molti altri allenatori sulla piazza. Conosce bene la categoria e soprattutto conosce la squadra. Nel caso di una conferma non si dovrebbe ripartire da capo, ma valorizzare il buono che c’è. Inoltre conosce l’ambiente e le aspettative di Ferrara e del suo pubblico. Dal momento che questa società ha dimostrato di avere le idee abbastanza confuse sulla costruzione della rosa, un allenatore dotato di visione potrebbe essere notevolmente d’aiuto.

6. COMUNICAZIONE Soprattutto chi l’ha conosciuto lontano dal terreno di gioco ne ha elogiato la personalità alla mano e l’entusiasmo naturale che trasmette. Di Carlo in questi ultimi due mesi ha dato la giusta carica e ha avuto una capacità comunicativa convincente che ha saputo trascinare giocatori e tifosi. Avere buone relazioni con tifosi e stampa locale può facilitare la comunicazione e creare un ambiente di lavoro più coeso: elementi essenziali per il successo e che inoltre possono portare a sentimenti di maggiore comprensione e supporto nei momenti critici.

foto Filippo Rubin

7. UNITÀ DI INTENTI – Agganciandoci a questo ultimo punto, in passato la SPAL ha trionfato grazie all’unità tra squadra, società e pubblico. Di Carlo, e questo a partire da agosto, ha sempre professato l’unità d’intenti come passaggio indispensabile per il successo e infatti ha contribuito a ricreare quella chimica tra squadra e tifosi che difficilmente si era visto dalla retrocessione in B in poi, seppur in condizioni di aperta contestazione alla proprietà. La sua speranza di aprire un ciclo a Ferrara l’ha vissuta con entusiasmo e ha dato l’impressione di saperlo trasmettere alla e ai tifosi. Principalmente perché si tratta di una persona che sa fare a farsi voler bene e non solo perché ride e scherza in sala stampa, ma perché è genuino e così è la sua squadra in campo. In un ambiente come Ferrara questi sono tutti fattori da non sottovalutare.

8. PROGRAMMAZIONE – Qui viene toccato un tema caro a tutti e su questo punto si potrebbe scrivere un articolo a parte. Il succo in parole chiave è: sarebbe preferibile evitare l’ennesima rivoluzione a livello tecnico, che rischierebbe di dare ancora instabilità. Per fare bene, a qualsiasi livello, servono progettazione e tempo. Le squadre vincenti, dalla serie C alla serie A, hanno permesso ai propri allenatori di lavorare per anni sulla squadra, anche passando attraverso delusioni e fallimenti, che hanno aiutato a crescere. Un’altra stagione di scelte azzardate sarebbe superflua. 

foto Filippo Rubin

9. LEZIONE IMPARATA (FORSE)- La politica del ripartire da zero ha dimostrato di essere fallimentare. Soprattutto se governata da Tacopina. Mantenere in carica l’allenatore anche nei momenti difficili, in generale, può insegnare alla squadra come adattarsi e reagire positivamente alle sfide, due elementi chiave per il successo a lungo termine. L’aver raddrizzato una stagione così negativa può aver insegnato qualcosa a tutti, da Di Carlo ai suoi giocatori, che in caso di separazione sarebbe dissipata. 

10. DUBBI – Ovviamente la conferma di Di Carlo si porta dietro anche dubbi e perplessità. Tra questi: il peso delle aspettative del tecnico e l’opinione del direttore sportivo. Se l’esperienza con Fusco dovesse concludersi col termine della stagione (e pare plausibile) non è detto che il nuovo responsabile dell’area tecnica sia favorevole a mantenere Di Carlo in panchina, né che possano esserci automaticamente le basi per un rapporto proficuo. Anche per questo nessuno in via Copparo si vuole sbilanciare sull’attuale tecnico, pur riconoscendo il suo impatto attraverso i risultati. Ma non ci sono solo quelli da mettere sul piatto della bilancia. Costruire da una base sembrerebbe la cosa più sensata, ma non è detto che la base sia ritenuta buona o sufficiente da chi dovrà maneggiare contratti e bilancio. Oltre a questo: viene spontaneo pensare che Di Carlo vorrebbe rimanere per competere ad alti livelli. Ma siamo certi al 100% che la società abbia ciò che serve per metterlo nelle condizioni di farlo? Sta ai dirigenti rispondere a tale quesito.

 

Hanno partecipato al dibattito 14 componenti della nostra testata: Alessandro Orlandin, Leonardo Biscuola, Riccardo Condarcuri, Martina Poletti, Enrico Baroni, Alessio Maini, Francesco Mattioli, Luca Armari, Luca Testoni, Riccardo Fattorini, Tommaso Vissoli, Federico Besio, Giacomo Lupi e Pasquale Matarazzo.

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