La stagione che si avvia alla conclusione andrà in archivio come una delle più complesse e deprimenti dell’intera storia della SPAL. Nella doppia sfida del 10 e 17 maggio contro il Milan Futuro ci si gioca in un colpo solo la permanenza in serie C e un pezzo di… futuro, visto che rotolare tra i dilettanti potrebbe avere conseguenze che vanno dal nefasto al catastrofico.
Le responsabilità societarie sono chiare e partono dalle scelte di Joe Tacopina, ma sul campo come si è arrivati a questo? Abbiamo provato ad analizzare la traiettoria di questa stagione, tra Dossena e Baldini, allontanandoci da temi già approfonditi (moduli, palle inattive, scelte degli uomini) ma addentrandoci tra le pieghe tecnico-tattiche e psicologiche, per cercare di capire se qualcosa è cambiato (e cosa) tra le due gestioni tecniche.
FASE DI NON POSSESSO
In avvio di stagione, con Dossena in panchina, la fase di non possesso è stata interpretata dalla SPAL con la chiara volontà di muovere una pressione molto alta sui portatori di palla avversaria, con l’obiettivo di entrare in possesso della palla in breve tempo e cercare un riattacco molto vicino alla porta avversaria. Questa soluzione, spesso adottata nelle categorie superiori, richiede un’opera sinergica dei reparti che devono muoversi in maniera compatta nell’oscurare linee di passaggio, operare marcature preventive e indirizzare la giocata avversaria verso la situazione difensiva più congeniale. Inoltre, è proprio grazie al movimento sinergico e organizzato che la squadra – anche laddove gli avversari fossero in grado di superare la prima linea di pressione – sarebbe comunque in grado di mantenere densità in zona palla consentendone il recupero, anche se più lontano dalla porta avversaria.
Per caratteristiche dei giocatori e per conformazione del 4-3-3 lungamente proposto da Dossena, questa tattica di non possesso non ha avuto successo, portando rapidamente la SPAL a essere una tra le difese più battute del campionato. Soprattutto a causa dello sfilacciamento tra i reparti conseguente all’inorganico pressing e agli errori in fase di marcatura. Con l’avvento di Baldini la fase di pressione è arretrata notevolmente, lasciando con costanza la prima impostazione pressoché libera agli avversari e cercando la densità in zona palla sulle costruzioni lunghe, piuttosto che sugli sviluppi a palla bassa in zona mediana. Non dovendo più lavorare sui movimenti in uscita e in ripiego, il centrocampo è riuscito a restare compatto con la linea difensiva. Inoltre la rotazione di moduli adottata dall’allenatore toscano ha evidenziato come l’aumento di fisicità e polmoni sulla linea di centrocampo abbia validamente supportato la fase difensiva. Il problema delle amnesie difensive che consentono spesso agli avversari di andare a rete alla prima occasione permane, sebbene nelle ultime partite sia cresciuta la solidità difensiva. Resta da capire quanto ha pesato la scarsa vena degli avversari nell’ultimo mese di campionato.
FASE DI POSSESSO
L’idea di inizio stagione era quello di creare una SPAL in controllo, in grado di gestire i tempi e i ritmi della partita attraverso il possesso palla. Idealmente la squadra avrebbe dovuto fare delle corsie esterne il proprio punto di forza, alternando sovrapposizioni con cross a giocate individuali sostenute da esterni disposti in campo a piede invertito. Un ruolo fondamentale era assegnato al centrale di centrocampo, che agendo da metronomo avrebbe dovuto dettare questi tempi. La rosa incompleta, gli infortuni, e alcune gestioni della rosa non ottimali hanno di fatto limitato le possibilità di Dossena di sviluppare il gioco che aveva in mente: la SPAL ha cercato sì la costruzione sugli esterni, ma per oltre metà della stagione ha faticato a essere pericolosa in area avversaria, e la soluzione di emergenza con due punte ha ulteriormente ridotto la capacità offensiva degli uomini di Dossena. Con Baldini in panchina la SPAL ha variato il modo di attaccare: le giocate lunghe raramente viste in avvio di stagione si sono fatte più frequenti, diventando una soluzione cercata con continuità, soprattutto grazie alla presenza di Molina. Le giocate sulle corsie esterne restano una tra le soluzioni preferite dalla SPAL, sebbene con l’allenatore toscano gli esterni siano portati maggiormente ad accentrarsi sfruttando il sostegno dei terzini. L’assenza di un regista vero e proprio sulla linea di centrocampo è ovviata dalla posizione di partenza degli esterni d’attacco, portati spesso a ricevere palla in posizione più centrale. Con queste modifiche la SPAL diventa una squadra in grado di rendersi pericolosa con continuità, sebbene l’efficienza realizzativa resti piuttosto bassa visto che nessuno degli attuali titolari ha doti di finalizzatore costante.
ATTITUDINE E PSICOLOGIA
Uno degli aspetti critici della stagione è senza dubbio quello legato all’attitudine e al suo incrocio con l’aspetto psicologico. Spesso la SPAL ha sbagliato l’approccio delle partite, trovandosi in svantaggio dopo pochi minuti e alla prima occasione concessa agli avversari: nel girone B nessun’altra squadra ha incassato più gol nel quarto d’ora iniziale (11) e le partite in cui gli avversari hanno segnato per primi sono state 25 su 38. Solo il Legnago con 28 ha fatto peggio. Non solo: in 18 di questi 25 casi il risultato finale è stato una sconfitta, segno di una fragilità enorme che in tanti casi (Campobasso, Ternana, Pontedera, Rimini, di nuovo Ternana) ha portato a delle vere e proprie imbarcate.
Soprattutto nel girone d’andata la SPAL si è dimostrata inconsistente e poco avvezza alla reazione emotiva e nervosa, con l’impressione che l’ingessatura tattica di Dossena abbia spesso fatto crescere esponenzialmente le difficoltà della squadra piuttosto che aumentarne le certezze. Con Baldini in panchina, sebbene gli errori dei singoli non siano svaniti, la squadra sembra approcciare leggermente meglio le partite, ma soprattutto ha sviluppato la capacità di restare nella partita, lavorando sul piano gara indipendentemente dall’andamento degli eventi. Un ruolo importante lo gioca la flessibilità tattica portata da Baldini, che copre o sbilancia la squadra a seconda delle necessità, mandando un messaggio chiaro. Deve essere inoltre considerato positivamente il coinvolgimento esteso della rosa, che oltre a dar modo a giocatori mai utilizzati nella prima parte di stagione di ritagliarsi spazio, consente di portare l’intero gruppo in una condizione di forma migliore.
MATURITÀ
Nonostante un’età media della rosa tra le più alte dell’intera categoria, la SPAL è spesso sembrata una squadra persa alla ricerca di sé stessa, in affanno nelle giocate semplici, e talvolta egoista negli individualismi. La somma di questi aspetti è evidente nei tanti punti persi negli ultimi minuti di gara, quando la gestione del risultato è più un aspetto legato alla consapevolezza dell’obiettivo da raggiungere più che dalla tattica adottata.
Nelle ultime giornate si è percepita invece una crescita, una presa di coscienza dell’importanza di non lasciare ulteriori punti per strada e di lavorare collettivamente.
In conclusione: se la SPAL si trova ad affrontare un drammatico playout quando l’obiettivo della stagione era quello di un posto nei playoff, è evidente che il gruppo abbia dei problemi che derivano da una programmazione inadeguata e da scelte sbagliate, così come di caratteristiche dei singoli che non si sposano con l’idea tattica o con l’importanza della maglia biancazzurra. La SPAL resta una squadra instabile, soggetta a errori individuali non preventivabili, che però nel corso delle ultime settimane ha trovato una sua chiave tattica ed una compattezza di gruppo che ci si augura possa dare, a questa stagione nera, almeno un lieto fine.
— Andrea Coletta, 41 anni, è allenatore UEFA B dal 2013 e negli ultimi anni ha lavorato come direttore tecnico in ambito dilettantistico.