Nel giugno del 2024 Fabio Parravicini era un diciannovenne molto promettente che sentiva la certezza di avere un bel futuro da calciatore professionista. Come minimo in serie C, ma chissà, magari anche più in alto. Un anno più tardi è un ventenne che lavora in un ristorante, come tanti altri, per pagarsi gli studi in attesa di capire che strada prendere nella vita che ha davanti.
Una sospetta patologia cardiaca ha fermato la carriera di Fabio come una pila scarica fermerebbe le lancette di un orologio. Ed è in questo strano senso di sospensione che l’ex centrocampista vive ancora oggi: “Mia mamma – racconta al telefono con voce tranquilla – mi ha incoraggiato a fare un lavoretto estivo in modo che io possa riempire le giornate e mettere da parte qualcosa per gli studi. Vorrei diventare un personal trainer, è un lavoro che mi piace e che sento di poter fare. Ma solo di recente ho ricominciato a fare dei progetti, perché fino a poco tempo fa l’idea era quella di continuare a essere un calciatore“. Un ragionamento da ragazzo coi piedi ben saldi a terra, che durante quest’anno ha voluto proteggere la sua privacy anche quando c’era parecchia curiosità sulla sua assenza.
Nella stagione 2023/2024 Parravicini aveva iniziato con la SPAL (9 presenze, 282 minuti) per poi passare in prestito al Genoa ed essere aggregato alla Primavera (14 presenze, 1075 minuti, 3 gol). Tutto andava bene e c’era anche la prospettiva concreta di rimanere nel giro delle nazionali giovanili. Poi l’amara rivelazione dalla visita medica di inizio stagione, a luglio 2024: “Ero pronto a ricominciare, ma i referti hanno sollevato sospetti di una possibile cardiomiopatia. Sono stato fermato in attesa di altri esami più approfonditi nell’arco dei sei mesi successivi e in quel periodo ho sempre sperato che la situazione potesse risolversi da sola attraverso il riposo. Mi è stato spiegato che in alcuni casi questo avviene e ovviamente speravo fosse il mio caso“.
Cosa ha significato una notizia del genere per un ragazzo di diciannove anni?
“Eh, mi ha preso alla sprovvista perché io mi sentivo bene, così come mi sento bene adesso. Andare alle visite da lì in poi è diventato un po’ come andare dal dentista, ci entro sempre con un po’ d’ansia. A dicembre speravo di ricevere buone notizie, ma gli esami hanno detto che i miglioramenti sono stati troppo piccoli e quindi nessun medico si sarebbe preso la responsabilità di darmi l’idoneità sportiva“.
Pensi abbia inciso anche la vicenda di Edoardo Bove?
“No, non credo ci sia una connessione, nel senso che da sempre i medici in Italia sono molto prudenti su queste cose. Il calcio è uno degli sport in cui non è possibile darsi un ritmo per non stressare troppo il cuore e quindi in casi come il mio c’è una componente di pericolo. Quanto grande non lo sanno dire nemmeno loro, ma se anche c’è solo un sospetto bisogna fermarsi, è giusto così“.
A dicembre quindi sei stato di nuovo “rinviato” a un successivo controllo.
“Sì, è stato come vivere un incubo, non avrei mai pensato potesse accadermi una cosa simile. A dicembre avevo fatto la visita con qualche speranza, mentre a maggio di quest’anno sono arrivato senza alcun tipo di aspettativa. Mi è stato confermato di non poter ricevere l’idoneità sportiva e allora ho capito di dovermi mettere in testa di non poter giocare più. Di sicuro non in Italia. Certo, ci sono dei giorni in cui penso che magari tra altri sei mesi i medici mi possano dire che è successo una sorta di miracolo e che posso ricominciare. Ma nel frattempo non posso stare a far nulla, per cui ho deciso di iniziare a studiare“.
In tutto questo la SPAL, intesa come società, che ruolo ha avuto?
“C’è sempre stata molta collaborazione. Sono arrivato a Ferrara a tredici anni, ho fatto il percorso nelle giovanili e anche se le figure dirigenziali nel tempo sono cambiate sono molto affezionato all’ambiente. Il direttore Alex Casella è stato molto disponibile nei miei confronti, i compagni di squadra mi sono sempre stati vicini. Quando è stato chiaro che non sarei riuscito a giocare mi è stato offerto di rimanere dentro alla SPAL con un altro ruolo, magari per imparare qualcosa fuori dal campo. Non abbiamo mai approfondito il discorso perché non me la sono sentita. Ho apprezzato la volontà di non abbandonarmi, ma avrei sofferto troppo a vedere gli altri giocare mentre io facevo altro. Ci ho pensato bene e ho deciso di uscire dal calcio, almeno per adesso“.
Qualche calcio al pallone però lo dai ancora, almeno a giudicare dai social…
“Sì, è vero, ho giocato qualche partitella tra amici, in cui i ritmi sono tranquilli e posso gestirmi come voglio. I dottori in realtà mi avrebbero vietato di fare anche questo e hanno ragione, ma mi è anche venuto da dirgli che alla mia età non possono togliermi tutto. Per continuare a muovermi faccio attività in palestra e uso un cardiofrequenzimetro che tiene tutto sotto controllo. Però ogni tanto il richiamo del pallone diventa forte, soprattutto se si tratta di amici“.
Teoricamente potresti anche tornare a giocare in paesi che hanno regole meno restrittive. È una possibilità che hai considerato?
“Sì, probabilmente in Svizzera potrei giocare, anche se per la verità dovrei informarmi meglio sulle regole. Ci ho pensato, ma credo sia comunque troppo presto per decidere qualunque cosa“.
I tuoi genitori come vivono questa eventuale prospettiva?
“In modi diversi, anche se entrambi sono dispiaciuti perché sono andato via di casa presto per inseguire il sogno di fare il calciatore e tutto stava andando molto bene. Sull’idea di giocare all’estero mio papà è scettico. Mia mamma magari un po’ meno. Mi ha semplicemente detto di ascoltare ciò che ho dentro. Che se ho un sogno e voglio davvero rincorrerlo devo farlo senza il rischio d’avere rimpianti nel futuro. Sono fermo per precauzione, non perché io sia malato. Per quella che è la mia situazione potrei anche giocare all’estero per vent’anni senza avere il minimo problema. Penso comunque di aver tempo per decidere“.
Ti capita mai di chiederti “perché proprio a me”?
“Sì, penso sia inevitabile in queste situazioni. Non voglio sembrare presuntuoso, ma ho sempre pensato di aver la mentalità per fare il calciatore professionista. Anche d’estate avevo sempre in mente il calcio. Per cui facevo le vacanze al mare come tutti, ma senza staccare completamente. Mi sono sempre allenato per migliorare nei miei punti deboli e arrivare al precampionato nella miglior condizione possibile. Poi è chiaro che non so in che categoria sarei potuto arrivare, ma per l’approccio che ho sempre avuto il calcio era sicuramente la mia strada“.
In serie C già ci eri arrivato con la SPAL e da titolare.
“Sì e anche prima dell’inizio della scorsa stagione il direttore mi aveva detto di contare su di me. Poi ovviamente bisognava vedere come sarebbe andata con Dossena, ma le premesse mi piacevano. Nel campionato precedente avevo iniziato da titolare con Di Carlo, poi ho trovato meno spazio con Colucci. Per questo ho voluto provare qualcosa di diverso andando al Genoa. Voleva dire tornare in Primavera e magari fare un passettino indietro, ma avevo bisogno di giocare e ritrovarmi al 100%“.
A giugno 2024 si vociferava anche che il Genoa ti avrebbe tenuto volentieri.
“Probabile, ma il diritto di riscatto fissato dalla SPAL era piuttosto alto e in quel momento il Genoa non era messo benissimo a livello societario. Io comunque sono stato contento di tornare a Ferrara perché sentivo di poter dare un contributo“.
Si dibatte spesso del divario tra calcio giovanile e serie C: per te questo salto era stato difficile da gestire?
“A livello fisico no, però cambiano delle cose per quanto riguarda la tattica e soprattutto la velocità di pensiero. In Primavera gli spazi sono più facili da trovare e c’è quella frazione di secondo in più per pensare. Coi professionisti devi capire il gioco molto più in fretta. Sono dell’idea che col tempo mi sarei adattato bene, imparando un po’ alla volta“.
Oggi fa un po’ impressione rivedere quella foto di settembre 2023 nella quale tu, Saiani e Orfei posate assieme a Tacopina dopo le rispettive estensioni di contratto. Al di là di quello che ha combinato Tacopina, tu hai avuto problemi di salute, Saiani se n’è andato dopo aver rotto con la società e Orfei non è riuscito a crescere quanto ci si aspettava.
“Purtroppo sono cose che succedono nel mondo del calcio e non sta a me entrare nel merito delle vicende degli altri ragazzi. Però a quel tempo posso dire che c’era davvero l’idea di costruire qualcosa coi giovani“.
Hai un po’ seguito le vicende della SPAL nell’ultimo anno?
“Ci ho provato, ma ci sono stati tanti momenti in cui mi passava la voglia o dovevo concentrarmi su altro. Però sono rimasto in contatto coi ragazzi e verso la fine del campionato mi hanno regalato una maglia con le firme di tutti. Mi ha fatto molto piacere“.
Se i tuoi giorni da giocatore dovessero essere conclusi si può pensare di rivederti in questo ambiente con un’altra veste?
“Non lo so, anche in questo caso servirà tempo per mettere tutto in prospettiva. Non credo comunque vorrei fare l’allenatore: è un mestiere che ha lati che mi piacciono e altri meno. Forse sarei più a mio agio coi bambini. Mi piace anche la figura del preparatore atletico e magari quella può diventare un’opzione. Ma prima deve passarmi il fastidio di vedere gli altri che giocano. Quando sarà andata via questa sensazione allora potrò ricominciare a pensare al calcio in un certo modo“.