Lo chiamavamo Il Tigre, quando la frase “metti un tigre nel motore” ti faceva immaginare che la tua utilitaria potesse diventare una formula uno. In campo era grintoso, agile, veloce come un bolide dallo scatto bruciante che s’invola verso la vittoria. Gianfranco Bozzao non mollava mai l’avversario, che affrontava con astuzia e tempismo perfetti. Abile nell’interdizione, sapeva proporre l’azione d’attacco con autorevolezza ed eleganza, mandando in visibilio i ventimila del Comunale. Si distingueva anche per l’impeccabile correttezza: riusciva a mandare in bianco la più scorbutica delle ali destre senza lasciargli sul corpo neanche un graffio. In tutta la carriera fu espulso solo una volta per un errore dell’arbitro, che gli aveva attribuito un fallo commesso da Massei. Il suo sogno era di poter giocare alla Facchetti, con licenza di spingersi sulla fascia sino all’area avversaria, ma Mazza non volle mai sentir ragione e gli vietò sempre di superare la metà campo. Lui ci soffriva e ogni tanto qualche battibecco col presidente ci scappava. Ma tutto restava a livello di episodio e lui continuò a godere della stima di Mazza, che lo tenne nove anni quasi ininterrotti alla SPAL, con la parentesi del 1961- 1962 di militanza nella Juventus. Nel 1968 – forse pentendosene poi amaramente – lo avrebbe ceduto al Piacenza, dove fu determinante per la promozione in B dei biancorossi.

Non sapevo, allora, che molti anni dopo, Gianfranco Bozzao ed io saremmo diventati amici e oggi avrei scritto di lui per augurargli, di tutto cuore, buon compleanno assieme a tutti i tifosi biancoazzurri e alla città intera. Sinceri auguri, Tigre!








