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Santarcangelo non fa rima solo con Giovanni e Paolo Rossi. Li conosciamo bene i due ex spallini: a lungo abbiamo parlato di loro – ma soprattutto con loro – nelle stagioni passate. Un rapporto che continua anche oggi nonostante la maglia e i colori siano cambiati: Ferrara no, non si può dimenticare così facilmente. Scherzava Paolino a inizio settimana: “Non segno da Spal-Spezia, quel gol che è valso l’1-1… Mi sa che sono passati tre anni, forse di più da quando ho segnato l’ultima volta. Va a finire che domenica mi tocca buttarla dentro, sai com’è la legge dei grandi numeri, no?”. Rideva Paolino ricordando le sue stagioni qui, vissute tra gol (pochi ma importanti), infortuni e lo smisurato affetto di una parte di Ferrara che tanto ha voluto e vuole ancora bene a un giocatore umile e di grande spessore umano: “Ho già segnato sul calendario la data del ritorno, il 23 febbraio – continua Paolino – ho già i brividi e già so che farò fatica a trattenere l’emozione salendo quelle scalette e guardando la Ovest”. C’è tempo, intanto c’è l’andata. E al “Mazzola” sarà durissima.
In Romagna la società gialloblù non parla solo il linguaggio dei Rossi. Anzi. Il Santarcangelo, al momento, è squadra che sta dimostrando, a dispetto della Spal, di essersi calata perfettamente nella parte di chi non può permettersi il lusso di lasciare nulla di intentato, pur di conquistare una salvezza che avrebbe il sapore di miracoloso. L’attaccante Alessandro D’Antoni, che si annuncia come lo spauracchio numero uno per la difesa biancazzurra domenica prossima, si racconta sulle nostre pagine.

Scuola Juventus, alto 182 centimetri, ha compiuto 25 anni lo scorso agosto; sono 175 le partite tra Campionato e Coppa nelle 5 stagioni sin qui disputate tra i ‘prof’ condite da 24 gol segnati negli ultimi due campionati.
“Ho iniziato molto piccolo. A 8 anni la Juve mi notò e lì iniziò la mia avventura in bianconero fino alla Primavera. Più di 10 anni con quella maglia e in cui il bambino è diventato prima ragazzo, poi, pian piano uomo. E’ stata una scuola di vita dove i risultati, ho imparato, non erano che il frutto di una semina costante che bisognava fare non solo in campo, ma soprattutto fuori. Mi hanno educato e cresciuto. Alla Juventus, di cui sono rimasto grande tifoso, devo tutto”.

Dopo i gol a raffica a San Marino e nel Borgo a Buggiano in estate, forse, ci si poteva aspettare una chiamata dal piano superiore. Invece…

“Invece sono arrivato a Santarcangelo, la squadra che più fortemente mi ha voluto. C’era qualcosa con l’Alessandria ma non se ne è fatto nulla. E’ un mondo strano il nostro. Spesso conta molto più il procuratore di quello che sai realmente fare. Contano le conoscenze, e non solo per un calciatore purtroppo. E questo mi stimola a fare ancora meglio”.d'antoni

Dicevamo della Juventus.
“Dieci anni, sì, tutti molto belli e particolari. Dalle battaglie durante i derby con il Torino dell’amico-rivale Capellupo alla Primavera dove, paradossalmente, non ho reso come ci si poteva aspettare: il primo anno, con Chiarenza in panchina e Giovinco, Lanzafame e Maniero ‘rivali’ diretti per la maglia da titolare, ho giocato poco, colpa anche di un’operazione alla spalla che mi ha tenuto a lungo fuori; la seconda stagione ho giocato da protagonista la Tournée estiva in Malesia ma, al mio ritorno, il morso di un ragno asiatico alla caviglia mi causò un’infezione che ho dovuto curare con grande attenzione. Segnai 5 gol in una Juve che poteva contare sui vari Ariaudo, Pasquato e Castiglia (ex Spal, ndr)”.

Da qui inizia la tua avventura in viaggio per l’Italia: in 6 stagioni, 6 maglie diverse.
“E’ così e non ne vado fiero: è difficile dover ricominciare sempre tutto daccapo ogni anno. Non fai in tempo ad ambientarti che già devi fare la valigia. Sogno di trovare la mia dimensione, una volta per tutte, e fermarmi per un po’: Giulianova, Figline, Viareggio, San Marino e Borgo a Buggiano e Santarcangelo sono le tappe della mia carriera a oggi”.

Racconta.
“I primi tre anni il mio cartellino era di proprietà della Juventus: pur essendo l’unico ’88 che non giocava in pianta stabile alla Juve Ciro Ferrara mi fece siglare il contratto. Sono stato mandato in prestito a Giulianova dove ho vinto il campionato di C2 segnando 7 gol giocando praticamente sempre ma perdendo a Ferrara, al ‘Mazza’, contro la Giacomense; l’anno dopo il responsabile del settore giovanile dei bianconeri, Castagnini, che è nativo di Figline, mi consigliò di andare a giocare nel Figline Valdarno: i primi 3 mesi sono stati un inferno e ho segnato appena 2 gol pur giocando abbastanza. A Viareggio la stagione successiva è stata una rimpatriata perché ho ritrovato i vari Castiglia, Pinsoglio e Silvestri (oggi alla Spal, ndr) che conoscevo già: non fu un anno esaltante dal punto di vista personale. Giocai poco ma d’altronde loro avevano in rosa 4 ‘vecchi’ come Fiale, Pizza, Longobardi e Marolda con questi ultimi due che erano gli attaccanti titolari; senza contare poi che in panchina c’era D’Onofrio che l’anno prima aveva giocato con mister Scienza a Legnano. Io ero la quarta punta. A San Marino arrivai come pacco di fine anno, un regalo, uno scambio con un altro giocatore. Non feci il ritiro ma mister Petrone mi diede subito carta bianca: mi disse che dovevo occuparmi solo di fare gol e di dimenticare la fase difensiva e tutto quello che fino a quel momento mi avevano insegnato, io che notoriamente sono sempre stato un giocatore che si fa il campo avanti e indietro tutta la partita. Fu la svolta della mia carriera. Segnai 12 gol, uno all’Arechi contro la Salernitana indimenticabile con tanto di traversa al ritorno incredibile. E vincemmo la C2”.

Come mai a Borgo a Buggiano la stagione dopo e non la conferma a San Marino?
“Aspettai fino al 20 agosto poi chiesi al mio procuratore novità: c’era il Borgo a Buggiano che mi voleva fortemente. Società sana che non mi ha fatto mancare mai nulla. Firmai e mi presentai come quel giocatore che su 2 campionati di C2 disputati  li aveva vinti entrambi. Riuscimmo a ottenere una salvezza incredibile disputando un girone di ritorno splendido. Con me, come a Giulianova e, oggi, a Santarcangelo, a comandare la difesa c’era Garaffoni: ha 37 anni ma è un giocatore e un uomo incredibile, un esempio da seguire”.

Con la Spal sarà partita tra la squadra più in forma del momento con le 2 vittorie consecutive e i 4 gol segnati senza subirne alcuno e quella in fase di rilancio dopo un inizio un po’ in sordina.
“La Spal è una grande squadra. C’è Capellupo lì da voi, uno di quei giocatori che se in giornata ti possono cambiare la partita da un momento all’altro. Lo stimo molto, anche se ogni volta che ci incontriamo è battaglia, come ti dicevo, sin dai tempi degli Allievi quando ci scontravamo con le maglie di Juve e Toro: non si contano davvero più ormai i litigi tra di noi (ride). Ci siamo rivisti quando io ero a San Marino e lui a Casale e ne ha presi 3 in saccoccia… loro primi e noi sesti. Ma Stefano è un grande e lo penso davvero. Spero che ci daremo battaglia come ai bei tempi”.

Santarcangelo sorpresa del campionato?
“E’ presto per dirlo però noi ci crediamo. La società è speciale, siamo una grande famiglia: pensa che tutte le sere ci troviamo a cena e, giorno dopo giorno, il gruppo si amalgama sempre di più. Ci stiamo conoscendo e sono convinto che, se le cose continueranno ad andare in questo modo, ci toglieremo davvero tante soddisfazioni”.



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