a cura di Arnaldo Ninfali
Bene, amici: dopo la pioggia di stelle cadenti che ha sfavillato nella notte di San Lorenzo, e altrettanti umani desideri involatisi per gli spazi siderali, la Federcalcio ha un nuovo presidente e può guardare al futuro con giustificato ottimismo. Si chiama Carlo Tavecchio e vanta i titoli per ricoprire alte cariche dirigenziali in quello che ancora ci ostiniamo a chiamare “il bel paese”. Prima di tutto, con i suoi settantun anni suonati, realizza quel largo ai giovani di cui da più parti si sente il bisogno; in secondo luogo, non ha mai giocato al calcio, ma viene dalla politica attiva, essendo stato sindaco di Ponte Lambro e consulente per il Ministero dell’economia; in terzo luogo, cosa tutt’altro che irrilevante, ha già all’attivo un certo numero di gaffes che hanno scontentato i puristi dell’anti-razzismo, ma non i suoi sostenitori Galliani e Lotito, per i quali la cosa non conta; infine, a far risplendere il Nostro di luce propria come una fulgida stella tutt’altro che cadente, sono le cinque condanne comminategli dalla Giustizia italiana per reati che vanno dall’evasione fiscale, all’abuso d’ufficio, al mancato versamento di ritenute previdenziali e assicurative, e altro. Come si vede, ce n’è abbastanza perché il calcio non sfiguri a fianco della nostra immacolata Pubblica Amministrazione e possa legittimamente sperare nella concreta realizzazione delle riforme di cui necessita. Se il buon giorno si vede dal mattino….

Restò in carica fino al 1966, quando, in seguito alla debacle azzurra ai mondiali d’Inghilterra, ebbe modo di mostrare di che tempra fosse fatto. Animato da un profondo senso di responsabilità, si dimise. Aveva mancato un obiettivo: ne era lui il responsabile e non gli restava che dimettersi, un anno prima che scadesse il suo mandato. Imparino i rampanti manager del ventunesimo secolo, attaccati alle poltrone fino al limite della decenza! Imparino come si fa!
Gli subentrò Artemio Franchi e, da allora, il calcio fece a meno di lui. Negli anni seguenti, tuttavia, ebbe ancora modo di dimostrare il suo valore, impegnandosi in molte altre imprese che esaltarono il suo eclettismo e le sue indubbie qualità manageriali. Fu tra l’altro produttore cinematografico “… e finanziò decine di film tra cui Anonimo veneziano di Enrico Maria Salerno, Sinfonia per un massacro di Jacques Deray, Io la conoscevo benedi Antonio Pietrangeli, Operazione S. Gennarodi Dino Risi, Gli indifferenti di Francesco Maselli, Contestazione generaledi Luigi Zampa, La ragazza di Bubedi Luigi Comencini, Sedotta e abbandonatadi Pietro Germi, Uno dei tredi André Cayatte e Roma di Federico Fellini, che fu il suo ultimo film” (da Wikipedia, l’enciclopedia libera).
Alla fine, putroppo, fu anche colpito da un dissesto finanziario che mandò in fumo gran parte del suo impero. Fu una fine ingloriosa, è vero, che forse non meritava. Ma ciò non toglie che di lui ci restino l’abnegazione che metteva nel suo lavoro, la competenza e la cultura che seppe dimostrare in ogni impresa a cui si dedicò. Fu uomo eclettico e autorevole, di quelli che con Paolo Mazza si trovavano a meraviglia. Forse nel calcio di oggi ci vorrebbe ancora una figura come la sua.








