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Antenucci. La palla gli arriva da una distanza immane, dalla nostra trequarti. No più in là, dall’area. Macché, da corso Isonzo. Ma stai scherzando! Dallo spazio siderale, il lancio, si narra lo abbia fatto C1P8. Siamo in area. Sì, siamo perché ci sono ottomila cuori ad attendere quel pallone. Il bomber non ha due piedi, ha due cotton fioc, ha due mani dentro le scarpette. Azzurre. Il duello si svolge a dieci metri dalla porta, a quindici dalla Ovest. Lo stopperaccio delle rondinelle lo affronta. Ma Ante7, sa cosa fare, lo sapeva già prima del lancio, lo sapeva da tutta la vita. Accarezza la sfera d’esterno, il difensore, suda, trema, freme. Ha paura. Come noi. Muove le gambe il nostro numero sette, sposta il corpo, finta e contro finta e poi di piatto al millimetro la dà in mezzo.

STOP. Il tempo smette di scorrere, gli orologi si piantano. Passa un secondo, no, un ora, di più un secolo. Macché scherzi, un’era geologica. Il nostro calcia, che il mondo era ancora immerso nella “Pantalassa”. Mi sembra di essere l’unico a vedere il tempo fermo, poi, con la coda dell’occhio vedo intorno a me, gente immobile, che non respira. Stiamo impazzendo? Forse. Ma torniamo alla palla. Passa oltre le gambe dello stopperaccio. Ma c’è il portiere, magari è più bravo di quello che si è fatto male. Chi lo sa. Il numero uno ospite si butta. Si allunga. Ma sì dai, la prende.
Ci arriva prima, è in vantaggio. Impossibile che arrivi a Mattia. O no? Per mezzo milionesimo di millimetro, i guanti fosforescenti del portiere non ci arrivano. Il nostro ragazzo a due metri dalla porta, di piattone, violento e centrale la sbatte dentro. E noi con lui.

STOP. Esplodiamo. La massa, la mischia, la contorsione dei corpi. Roby, dopo avere tenuto il ritmo dei tamburi sulle mie spalle per tutte il secondo tempo, mi prende da dietro (ammetto che l’immagine non è delle migliori, un po’ da Mignon anni Ottanta) ma così è. Sbraitiamo, rischio di cadere, ma mi appoggio ad altri cento che rischiano di cadere ed alla fine non cade nessuno. White e Gughi, si strapazzano, Suria l’ho perso, ma è ha pochi centimetri da me. Borghe si fa largo con le spalle, Bomber B., i fratelli M., Rava, Fede, Poldo, Leo, sono intersecati tra loro, non si riconoscono più, siamo sepolti. Poi, dall’ alto piomba Mela, non capisco come sia messo ma è in aria con i piedi a due metri da terra sopra un cumulo di persone, di corpi. Non ci stiamo più dentro. La mia generazione rischia le coronarie tutte le volte, sono trentasette anni che non siamo così in alto. Mi gira la testa, ci gira la testa, ma forse è perché stiamo ondulando mentre cantiamo “amarti ancora”. I ragazzi sotto la curva, una due, li chiamiamo pure la terza volta. Semplici, larallarallarà, Semplici laralarallarà. Confusi e felici, ebbri, sudati ed affogati nell’acido lattico.

Usciamo in direzione della birreria ferrarese, dal 1901. Grande cazzata la chiusura del Piave per motivi di ordine pubblico (n.d.r.). Incrociamo Muso e Miguel, ci confessano una lacrima dopo il terzo goal, ma è un problema comune, poi si sa, avvicinandosi al mezzo secolo ci si intenerisce, ma la nostra è la rivalsa di un popolo, di una generazione. La nostra, che da quarant’anni soffre, gioisce e grida, con poche, pochissime gioie e molti dolori. Ma ora siamo noi, questo è il nostro momento. Nessun obiettivo se non i 50 punti. Chicco Testa dice che l’alfabeto andrebbe cambiato, le lettere dovrebbero cominciare dalla B. Nessuna categoria oltre la serie cadetta, solo noi ed il nostro campionato. Come ti spiego, cosa stiamo provando. Lo sappiamo, lo sapete. Non svegliamoci, non svegliatevi, non svegliatemi. Noi siamo la SPAL e le altre sono squadre di calcio. E’ una malattia, che non va più via. Potremmo chiedere un rimborso all’INPS, quarant’anni di SPAL li ho già contratti, altri quaranta e possiamo andare in pensione.



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