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Mauro Gibellini tornerà a Ferrara sabato per essere omaggiato di una maglia biancazzurra durante l’intervallo di SPAL-Ternana, in quella che ormai è una tradizione consolidata.

Mauro “Gibo” Gibellini era il mio idolo, il mio eroe senza macchia e senza paura. Era l’altra metà del cielo dei gemelli del goal degli anni Settanta della SPAL. Franco “Cina” Pezzato, forse il più grande attaccante di terza serie mai esistito sulla faccia della terra lo ricordo meno, in quanto abbandonò la beneamata alla fine di quella decade quando io comincia ad affacciarmi alle balaustre del Comunale. Mentre il mio Gibo, potei godermelo per qualche anno in più fino ai primi Ottanta. Biondo, capello di media lunghezza, fine e spettinato, quando partiva all’assalto delle difese avversarie tendeva ad inarcare spalle e collo, da cui il nomignolo di “gùbon”. La sua specialità era il colpo di testa, saliva lassù, fino al cielo, ritornando a terra dopo secoli, con la brina tra i capelli.

Io bimbo di borgata, innamorato del pallone come speranza e sogno di riscatto, non potevo non identificarmi in Gibo, centravanti antico, dalla grinta di uno stopper e dalle movenze non raffinate ma efficaci. Forza, grinta, coraggio determinazione, ogni pallone per lui era l’ultimo. Ad ogni calcio d’angolo, i difensori avversari chiedevano, spesso inascoltati, l’estrema unzione, il terrore nei loro occhi, il grande Mauro, dall’alto della sua elevazione avrebbe potuto sovrastarli e fare esplodere la rete, assieme a tutto lo stadio intabarrato negli immortali colori del cielo.
I miei ricordi, di goal, azioni eclatanti, dribbling e staffilate in porta sfumano nei vapori ultra-trentennali del tempo, rimangono le immagini delle emozioni, le foto di quella splendida squadra elegantemente vestita di righe bianche ed azzurre appesa in un poster in uno scantinato di una casa popolare.

Mi rimane l’immagine della sua esultanza, per un gol vittoria all’ultimo minuto, una corsa a perdifiato verso la panchina, una rovinosa caduta contro i tubi di drenaggio ghiacciati, nuovamente in piedi in un decimo di secondo per proseguire la corsa tra gli abbracci dei ragazzi della panchina. Il mio sogno era quello di giocare insieme al mio idolo, pur io sedici anni più giovane. Un’azione memorabile, io estirpando con un perfetto tackle la palla all’attaccante avversario sul limite dell’area piccola, sarei uscito il bello stile e con un rilancio lungo, perfetto, impossibile avrei catapultato la sfera tra i piedi di Gibo, sul lato sinistro dello schieramento avversario. Al Gùbon, bruciando l’erba, sarebbe entrato in area, fulminando con un destro il portiere avversario. Gioia infinita ed abbraccio cumulativo di tutti i miei paladini, me compreso sul cerchio del centrocampo a celebrare la serie B, che per Ferrara, rappresenta da sempre la lontana ed antica serie A.

Sogni, immagini sbiadite, eroi immortali, che mai invecchiano e che non hanno simili nello sporco calcio moderno. Noi che lo abbiamo vissuto però, sappiamo cos’è davvero il calcio e di questo possiamo ritenerci fortunati. La nostra squadra è ancora lì, bella come non mai, siamo tornati, ci siamo ripresi ciò che è nostro da sempre, la gioia e la dignità dei nostri colori. Grazie presidente per aver riportato alla SPAL il mio paladino, il sogno di un bambino degli anni Settanta, che si emozionava tutte le volte che lo speaker annunciava il numero nove, dopo la reclame di… nova dima, nova ghemo, mono gura. Ora e sempre, Amico Gibo… segna per noi.



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