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Per sua fortuna, anche se dipende dal punto di vista, Andrea Gazzoli aveva già qualche capello bianco nel momento in cui è arrivato a Ferrara, ingaggiato dalla SPAL come direttore generale. Altrimenti qualcuno avrebbe potuto dire che gli erano spuntati per lo stress nel corso dei sei impegnativi mesi trascorsi dietro la scrivania del suo ufficio nella sede di via Copparo. Un ufficio ancora oggi abbastanza spoglio, che sembra fresco di trasloco. Tempo per pensare all’arredamento evidentemente non ce n’è stato. In compenso sui tavoli non un millimetro di spazio libero tra faldoni, cartelline, libri, appunti, biglietti da visita. Tutto in ordine meticoloso, più di un indizio sulla razionalità del carattere di un professionista bersagliato dalle critiche fin dal primo giorno in cui è arrivato in biancazzurro. Spesso in maniera sproporzionata.

Direttore, in settimana le hanno dato un premio ma non lo vedo qui appoggiato sulla scrivania. In compenso anche per quello sono arrivate delle critiche. Poche, ma sono arrivate.
“Non ci penso, davvero. Penso solo a quello che c’è da fare domani per la SPAL, cercando di contribuire al processo di crescita. Il premio che ho ricevuto deriva dal fatto che sono nato a Viareggio. Me l’hanno dato per amicizia e vicinanza, sono stato il primo a chiedere cosa ho fatto per meritarmelo nel momento in cui mi hanno chiamato. Loro mi hanno risposto che un direttore di Viareggio in serie A non si vedeva dai tempi di Cinquini. Ma io lo vedo più come un riconoscimento per la società che per me”.

È un compito gravoso essere in questa posizione?
“No, c’è nulla di gravoso quando si lavora in una realtà come questa. Passare dalla serie B alla serie A è come passare da uno a dieci in proporzione, tutto quello che si fa è amplificato. Per rimanerci dobbiamo darci da fare come nei mesi scorsi, anche per le questioni non strettamente tecniche. E mi sento di dire che al di là della fatica è stato bello affrontare il percorso di avvicinamento alla serie A. Penso che i risultati sul fronte delle strutture si vedano. Ora stiamo iniziando a dialogare per il futuro dello stadio, dobbiamo farci trovare preparati”.

Un progetto c’è già, no?
“Sì, il progetto risale ad agosto ed era indispensabile per ottenere la deroga in questa stagione. La speranza è di poter lavorare già dal 21 maggio per adeguarlo a 16mila posti come richiede la normativa”.

C’è già anche un’idea dei costi?
“Diciamo che stiamo delineando delle ipotesi e ci sono delle idee, ora dobbiamo approfondirle. D’altra parte il percorso precedente è finito da poco e fidati che è stato tutto meno che lineare”.

Andiamo un po’ sul personale. Da quando è arrivato a Ferrara lei è stato quello a cui dare la colpa, almeno per una fetta dell’opinione pubblica.
“Non vorrei neanche parlare di questa cosa, dai”.

Mettiamola così: si è mai chiesto se avrebbe ricevuto meno attenzioni e critiche arrivando da una qualunque altra realtà e non Vicenza?
“No, non ci ho mai pensato. In fondo le rivalità sono il bello del calcio. Le esperienze precedenti, non solamente quella di Vicenza, mi hanno fatto crescere sotto molti aspetti. A Vicenza ho avuto una di queste esperienze, ma dal primo luglio sono alla SPAL e penso solamente a questo club. Penso al suo domani, a far migliorare il club, a farlo crescere”.

Fatto sta che le critiche sono arrivate in ogni caso.
“Beh in fase iniziale sono arrivate alla società in generale oltre che a me ed è evidente che abbiamo sbagliato qualcosa, ma abbiamo anche sempre provato a rimediare a tutto per i tempi che c’erano. Riuscendo poi a raggiungere gli obiettivi finalizzati alla salvezza della SPAL. Ci sono stati tanti problemi e non è che ogni volta lo potevamo andare a raccontare fuori”.

A volte si può anche fare per portare dalla propria parte la gente, facendo leva sulla comprensione.
“In estate abbiamo dovuto fare tantissime cose in pochissimo tempo e questo inevitabilmente ha creato dei disservizi. Ci dispiace, ma fare meglio era davvero dura”.

Dopo sei mesi qui avrà imparato anche a familiarizzare col lessico locale. In genere il ferrarese quando ha un problema dice che ha una “pesca” da risolvere… esiste un equivalente viareggino?
“(Ci pensa) Mi metti in crisi, sono lontano da Viareggio da così tanto che penso di aver perso anche il lessico del posto”.

Allora riepiloghiamo senza traduzione le “pesche” locali che ha affrontato. Numero uno: i lavori al Paolo Mazza.
“Un impegno che per lungo tempo ha tenuto occupati me e il buon Pietro Pelucchi (Technical Service Manager secondo l’organigramma – ndr) per quasi venti ore al giorno. Ero appena arrivato quando ci siamo dovuti sedere al tavolo con la proprietà per delineare il budget, poi c’è stata tutta la fase di progettazione ed esecuzione dei lavori. Non bisogna dimenticare che il cantiere è partito il 15 giugno e avevamo il problema dell’avvio anticipato del campionato. All’orizzonte c’erano ottanta lavori di tipo diverso nell’area dello stadio, tra interno ed esterno. Dal seggiolino al manto erboso, dalle torri faro all’area ospitalità, dai tornelli alle biglietterie e via così. Come ho detto prima, sapevo che ci sarebbero stati disservizi visto l’alto numero di modifiche, ma alla fine ce ne sono stati meno di quanti temessi. Ora mi pare che tutto funzioni bene e credo che la prossima estate, soprattutto sul fronte della biglietteria, avremo molti meno problemi di gestione”.

A proposito di cose da fare: nella prossima estate c’è qualche speranza di vedere la gradinata coperta?
“Dovremo studiare delle soluzioni, perché lo stadio è in piena città. Nei prossimi mesi analizzeremo anche questo aspetto per capire qual è la soluzione ideale”.

Prima si parlava di gestione: il riferimento era agli abbonamenti?
“Sì, penso che abbonarsi diventerà più semplice e comodo, perché far stare la gente sotto il sole è la cosa più antipatica in assoluto. Su questo la SPAL ha ricevuto delle critiche: possiamo aver sbagliato qualcosa, io per primo. Ma non ci è mai mancata la voglia di rimediare e fare meglio. Nella prossima stagione cercheremo di fare un salto di qualità anche in questo”.

Il problema principale però sono stati i prezzi.
“Sul fronte dei prezzi senz’altro c’è stata un’evoluzione imprevista e spiacevole per tutti”.

Ma come è nato quel tariffario?
“E’ stato condiviso in società dopo un percorso comune, ma dopo le proteste ci siamo rivisti e ci siamo detti che per raggiungere l’obiettivo bisognava assolutamente riportare l’armonia tra noi e il pubblico, quindi siamo andati incontro alle richieste che ci sono arrivate. Abbiamo concordato che il mancato introito sarebbe stato compensato dalla vicinanza della gente, che è fondamentale per arrivare alla salvezza. E la risposta è stata positiva”.

Una parziale compensazione può arrivare con la vendita dei singoli biglietti?
“Non del tutto, anche perché non abbiamo ancora fatto un sold-out completo, ci siamo solo andati molto vicini col Napoli, anche se è vero che sei partite top su otto saranno nel girone di ritorno”.

Che poi sappiamo tutti che la partita fuori abbonamento sarà quella con la Juventus.
“Non è ancora deciso”.

Una campagna abbonamenti che partirà da ottomila prelazioni potenziali sarà senz’altro più facile da gestire, a patto di avere un sistema in grado di farlo.
“Credo anch’io e lavoreremo per farci trovare pronti”.

Ci dobbiamo aspettare ulteriori rincari?
“È troppo presto per pensarci, ci sarà tempo a fine stagione, visto che la ponderazione dei prezzi dovrà essere fatta in funzione degli eventuali nuovi lavori”.

Ma la SPAL sotto il profilo delle aspettative di bilancio è in linea con le aspettative?
“Direi di sì e devo fare i complimenti a chi ha lavorato nell’area commerciale e marketing, oltre a chi si è occupato di quella sportiva che ha dimostrato di essere competitiva con le risorse a disposizione”.

Un’obiezione frequente che si sente è che la SPAL stia sostanzialmente drenando il territorio, facendo da imbuto per tutti gli investitori e lasciando quindi le noccioline per tutte le altre realtà sportive. Con relativo effetto depressivo per il panorama locale.
“L’ho sentita questa storia, ma non conosco abbastanza il territorio per dire se sia vero o meno. Se prendiamo in esame il breve termine questo può senz’altro avvenire, ma nel medio e lungo termine penso ci possano essere ricadute positive per tutti, perché la SPAL in serie A apre una finestra su Ferrara e dà la possibilità alla città di incrementare la sua visibilità a livello nazionale”.

Per ora la base di sponsor ha una forte connotazione locale. Uno dei prossimi obiettivi è quello di accreditarsi presso realtà nazionali e internazionali?
“Certo, rimanere in serie A dà la possibilità di inserirsi in un certo tipo di mercato. Servono continuità e la coltivazione della bella immagine che già abbiamo fuori da Ferrara. Merito soprattutto del presidente e della proprietà, che sono rispettati da tutti. Oltre a questo va sottolineato anche come i nostri tifosi siano inappuntabili, abbiamo dimostrato che abbassare le barriere allo stadio si può quando a frequentarlo c’è gente civile come quella di Ferrara. Tutto questo pesa tanto anche per i calciatori: se vedono che qui ci sono strutture di qualità, un ambiente tranquillo e un bel pubblico saranno più invogliati a far parte della SPAL”.

Non ho perso di vista la lista delle “pesche”. Una di queste si chiama Gianmario Specchia. Il 16 agosto il presidente Mattioli aveva annunciato che la questione sarebbe stata risolta, ma allo stato attuale risulta che lui stia ancora collaborando con la SPAL sul fronte dello scouting.
“Mi pare che di questa storia si sia già parlato abbastanza e quello che c’era da dire l’hanno già detto il presidente e Vagnati nei mesi scorsi. Se mi si chiede un’opinione su di lui dico che Gianmario lo conosco bene e so che è una persona a posto. E non posso sapere cosa è successo in passato tra lui e i tifosi”.

In sostanza le cose sono rimaste invariate rispetto a tre mesi fa.
“Ripeto, se Mattioli ha promesso di occuparsene sono sicuro che non abbia parlato a sproposito e penso che i tifosi gli riconoscano una certa credibilità basata sui fatti”.

Altra pesca non da ridere: i tifosi ospiti in gradinata, al posto degli abbonati.
“Si è trattato di un altro episodio improvviso e che ci ha insegnato molto. Le soluzioni sono arrivate in corsa e nei giorni successivi la società si è scusata con i tifosi coinvolti. L’abbiamo gestita al meglio delle possibilità, ma soprattutto abbiamo garantito che non sarebbe più successo in futuro”.

Quindi possiamo stare sicuri del fatto che per le partite con le romane, le milanesi e la Juventus non vedremo di nuovo le stesse scene?
“Direi proprio di sì, a meno di ricevere indicazioni diverse dalla questura perché l’ultima parola sulla sicurezza è loro”.

Ma un direttore generale quante telefonate riceve in una giornata?
“Penso qualche centinaio tra chiamate, messaggi e mail. Chiaro che non posso fare tutto da solo, ho dei bravi collaboratori e stiamo facendo passi avanti sulla comunicazione interna. Le società che lavorano bene sono quelle fatte dalle persone che hanno un obiettivo comune, senza fare affidamento su un singolo”.

Il dg si una squadra di calcio vive la partita come l’organizzatore di un concerto? Ossia quello che non presta attenzione all’evento in sé, ma dal primo all’ultimo secondo se ne sta lì a pensare che tutto dovrà andare liscio per tutte le persone coinvolte?
“Sì, è così anche per me. La mia soddisfazione è che in quei novanta minuti vada tutto bene e non ci siano disagi per nessuno. Chiaro che guardo la partita e spero che il risultato sia positivo, ma per me la cosa fondamentale è che funzioni tutto quanto. E se ci riusciamo perché le persone sono inserite in un’organizzazione che funziona”.

Ma le capita mai di parlare con Vagnati di mercato?
“Difficile che se ne parli, abbiamo vite lavorative parallele. Lui ha il suo percorso e i suoi pensieri, io i miei. Capita ovviamente di confrontarsi, visto che le sue mosse dipendono dal budget. Ma Davide è molto preparato anche su quello e conosce l’importanza dei numeri”.

Dulcis in fundo, com’è il suo rapporto con Mattioli? In fondo non è che abbia una caratterino facile e soprattutto nel corso degli anni ha sempre dato l’impressione di volersi occupare di ogni minimo dettaglio in prima persona.
“Il rapporto è ottimo, chiaramente condividiamo tutto perché sono qui per portare soluzioni adeguate per la società. Poi lui da presidente ha giustamente l’ultima parola. Gli devo riconoscere una qualità incredibile, che è quella di far lavorare benissimo le persone. Le tiene in considerazione e dà loro le giuste motivazioni per fare le cose sempre al meglio. Arrivato in serie A ha capito che decidere tutto è impossibile: a questi livelli bisogna avere una squadra e delegare alcune cose. Ossia avere persone che studiano un problema e poi vanno dal presidente con le soluzioni A, B e C, lasciando a lui la valutazione finale. Da questo punto di vista lo capisco: piacerebbe anche a me scendere giù in campo per vedere se le righe vengono fatte bene, ma così toglierei tempo a questioni senz’altro più complesse e importanti”.



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