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Battista Rota, per tutti Titta, non ha conseguito grandi risultati alla SPAL. Nella stagione 1980-81 chiuse al 12° posto in serie B e in quella successiva durò fino a metà girone di ritorno, quando venne sostituito con Tomeazzi in un’annata che si concluse con la discesa in C1. Eppure la sua figura è rimasta impressa nella mente di addetti ai lavori e appassionati, anche per un carattere poco incline al compromesso. Oggi che se n’è andato, a 85 anni nella sua Bergamo, vogliamo ricostruire la sua eredità biancazzurra con le parole di quattro giocatori che vissero con lui quell’esperienza: Danilo Ferrari, Massimo Albiero, Franco Ogliari e Alberto Bergossi.

Danilo Ferrari: “La notizia mi provoca grande tristezza, perché gli ho voluto bene. Era senz’altro un tipo particolare, ma in senso buono. Il massimo per i giocatori, perché sapeva sempre creare un clima sereno, dentro e fuori dal campo. Lo ricordo come un uomo davvero buono, di compagnia. All’esterno poteva sembrare avesse un caratteraccio, ma in realtà non era così. Con lui nello spogliatoio c’era sempre grande armonia, perché metteva tutti a proprio agio. Con lui ho lavorato una sola stagione, perché poi nel 1981 andai ad Avellino. Facemmo gran parte di quel campionato di B alla grande, poi finimmo la benzina. Va detto che con lui in allenamento non ci si tirava il collo, per cui entrammo un po’ in difficoltà a livello fisico nella parte finale. All’epoca le rose erano ristrette e quindi c’erano poche alternative. Però facemmo bella figura anche in Coppa Italia. Sicuramente non si sarebbe trovato bene nel calcio di oggi, era un mondo diverso, in cui il gioco era al centro e tutto il resto contava relativamente. Ora ci sono tanti altri interessi in ballo, dagli sponsor ai media, che impongono agli allenatori di avere conoscenze e comportamenti diversi”.

Massimo Albiero: “Ero molto giovane quando ho conosciuto Rota, per cui l’ho sempre visto come una sorta di papà. Era un finto burbero, perché in realtà aveva dentro di sé una bontà unica. Anni dopo lo ritrovai a Como e fui felice, perché era rimasto sempre lo stesso. Arrivò dopo Caciagli e questo non lo aiutò, perché aveva un carattere un po’ diverso. Ma con i giocatori aveva un bellissimo rapporto, ricordo che spesso dopo gli allenamenti ci fermavamo a parlare un po’ di tutto, si interessava molto alle vite dei ragazzi. Dal punto di vista gestionale era senz’altro uno della vecchia scuola, espressione di un calcio più romantico di questo. Però dove è andato ha sempre fatto bene. A Ferrara magari gli è girata un po’ male, ma sappiamo che può capitare ad allenatori e giocatori di non trovare la formula giusta. Quello che mi è rimasto impresso è che lui ci difendeva sempre: con i tifosi e i giornalisti diceva sempre di prendersela con lui e di lasciare in pace noi. Poi in privato ci cazziava di brutto, ma sempre con l’intento di insegnarci qualcosa. Io gli sono senz’altro debitore, è stato un uomo speciale”.

Franco Ogliari: “Sono molto legato a Rota, perché arrivai alla SPAL in un periodo difficile, avevo perso mio padre. Lui mi fu molto vicino e mi aiutò tantissimo a livello morale. Tutto sommato quello fu un buon campionato, anche se io in primavera ebbi quella disavventura. Per come era lo paragonerei a Nereo Rocco: sanguigno e solo apparentemente scontroso. Un omone impressionante a livello fisico, forse incuteva timore anche per quello. Però con i giocatori cercava sempre di creare i presupposti per un bel gruppo, che poi è la base fondamentale per fare dei risultati. Lo ricordo come una splendida persona”.

Alberto Bergossi: “Non posso che ricordarlo con affetto, anche perché per me aveva una simpatia particolare, sia a livello tecnico sia a livello umano. Mi ha insegnato tanto, in tutti gli ambiti. Era un allenatore vecchio stile, ma che aveva una cultura del lavoro molto solida. Sapeva coinvolgere i suoi giocatori con serietà, ma anche usando spesso l’ironia e la voglia di scherzare. Io ho perso mio papà quando ero ancora un ragazzo, quindi per me Rota fu un punto di riferimento importante nel mio percorso di crescita. Sembrava burbero ed esigente, ma poi in realtà era un buono e anche fuori dal campo ci era sempre molto vicino. Per lui lo spogliatoio e il gruppo erano sacri, per questo faceva sempre da scudo di fronte a pubblico e giornalisti. Si prese tante responsabilità anche quando non erano sue. Nell’anno in cui venne esonerato il gruppo non era più così unito, ma pagò lui per colpa nostra”.



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