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Chissà se negli anni Ottanta a Walter Mattioli è mai capitato di ascoltare i Clash. A prima vista non sembra possa essere il tipo, ma chissà. In fondo quando la band inglese pubblicò la sua versione di “I fought the law” il Pres non era ancora tale, visti i suoi 27 anni. E magari era un pochino più ribelle di adesso.

Una cosa è certa: Mattioli non è uno sprovveduto e sa che fare il ribelle oggi (o passare per tale), da presidente di una squadra di serie A che ambisce a rimanerci, potrebbe essere controproducente per lui e per il club che rappresenta a livello istituzionale. Dopo SPAL-Fiorentina Mattioli si è lasciato andare, ha sfidato la legge e la legge ha puntualmente vinto, proprio come nella canzone dei Clash. Che il Pres – in alcuni particolari momenti – tenda all’impulsività è un dato di fatto. Ma è un uomo navigato e intelligente a sufficienza da rendersi conto immediatamente della risonanza di certe parole, soprattutto in un ambiente in cui ogni dichiarazione viene minuziosamente sezionata e riproposta. C’è da scommettere che già mezz’ora dopo aver pronunciato quel giudizio su Federico Chiesa abbia finito col mordersi un labbro, consapevole del vespaio sollevato da un sasso che in quel momento sembrava dovesse essere necessariamente lanciato. Anche solo per togliersi un peso dallo stomaco. Per la serie: quando ci vuole, ci vuole. Il problema è sempre il solito: da tifoso se lo sarebbe potuto permettere, da presidente qualche problemino in più doveva essere messo in conto. E le scuse fatte al giovane attaccante della Fiorentina (e alla società) hanno messo una pezza solo parziale.

Ricamare ulteriormente su questa vicenda è l’ultima delle priorità della SPAL e di Mattioli, ma viene spontaneo riflettere almeno un momento su alcuni temi di fondo. Giusto per non indugiare solo nel solito – noioso – giochino delle parti: io sto di qua, io sto di là e magari nel mentre ci infilo anche qualche invettiva nei confronti di Chiesa. Andiamo oltre, ne siamo perfettamente in grado. Prima di tutto: quello di Mattioli (e quindi della SPAL) è stato un patteggiamento secondo quando previsto dal codice di Giustizia Sportiva, non una condanna. Questo significa che il presidente biancazzurro sapeva di essere sotto gli occhi della Procura Federale e ha scelto così di ammettere le responsabilità prima ancora che iniziasse un processo sportivo, in modo da evitare conseguenze (più) spiacevoli:

Art. 32 sexies, comma 1 – Applicazione di sanzioni su richiesta e senza incolpazione / I soggetti sottoposti a indagini possono convenire con il Procuratore federale l’applicazione di una sanzione, indicandone il tipo e la misura oppure, ove previsto dall’ordinamento federale, l’adozione di impegni volti a porre rimedio agli effetti degli illeciti ipotizzati. Il Procuratore federale, prima di addivenire all’accordo, informa il Procuratore generale dello sport, il quale entro dieci giorni può formulare rilievi.

Mattioli, coscienziosamente, ha scelto la via del male minore dopo aver toccato con mano la potenza di fuoco dei difensori di Chiesa, anche fuori dall’ambiente Fiorentina. Curiosamente, nella stagione in corso, ci sono solo due precedenti di patteggiamenti per casi simili e riguardano un altro presidente della serie A: Aurelio De Laurentiis. Il numero uno del Napoli ha patteggiato in due diverse occasioni (a novembre 2018 e febbraio 2019): 4mila euro (più altrettanti al club) per dichiarazioni lesive nei confronti della Lega di Serie A e altri 14mila (con aggiunta di 6mila al Napoli) per aver “espresso pubblicamente dichiarazioni lesive della reputazione del sig. Paolo Silvio Mazzoleni arbitro designato per la direzione dell’incontro Internazionale-Napoli“. Se si considera che ADL è il proprietario (e presidente) della seconda forza del calcio italiano, non sembra nemmeno essere questione di poteri forti o meno.

E Gasperini? L’allenatore dell’Atalanta nello scorso settembre 2018 aveva fatto parecchio parlare di sé per delle considerazioni piuttosto esplicite su Chiesa e sulla sua tendenza ad accentuare le conseguenze di alcuni contatti di gioco.

Le sue parole, diverse nella forma, puntavano alla stessa sostanza di quelle pronunciate da Mattioli. Eppure per il tecnico nerazzurro non è mai emersa la notizia di un’indagine della procura federale. E’ arrivata invece un’ammenda dal giudice sportivo (5mila euro) nella settimana seguente, ma per una motivazione diversa: l’alterco a distanza molto ravvicinata tra lui e Pioli nell’immediato post-partita di Fiorentina-Atalanta. Forma di compensazione o disparità di trattamento? O forse agli allenatori viene lasciata maggiore margine di manovra per quanto riguarda le esternazioni nei dopo gara?

Ovviamente non lo sapremo mai, trattasi di questioni di lana caprina, no? Però c’è una lezione da cogliere da questo episodio: la SPAL non ha ancora la forza per fare la parte dell’indomito villaggio di Asterix. Non può lottare contro tutti e remare in una direzione opposta, mostrando solo il proprio orgoglio. Non può e a conti fatti non vuole. Anzi, punta ad accreditarsi presso la buona borghesia del pallone italiano. La stessa borghesia che fissa regole ben precise e non ammette intemperanze che possano compromettere il proprio decoro di facciata. Mattioli, la SPAL e i suoi tifosi l’hanno imparato a loro spese: questo è il prezzo da pagare per stare quassù, dove transitano i campioni.



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