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Se la sala riunioni del centro sportivo “G.B. Fabbri” fosse il centro di controllo di volo NASA di Houston, Walter Mattioli sarebbe certamente un personaggio alla Gene Kranz. Lo storico direttore delle operazioni di volo passato alla storia per (non) aver pronunciato l’iconica fraseil fallimento non è un’opzione” durante i giorni della crisi della missione Apollo 13.

La SPAL in questo momento è come un modulo di comando in avaria a distanza siderale da casa e nessuno al momento ha un’idea precisa sul come farlo rientrare in maniera sicura nella propria orbita, proprio come accadde nell’aprile 1970 in Texas. Due allunaggi questa squadra li ha già portati a termine con successo (altrettante salvezze), il terzo sembra essere decisamente fuori portata per quelli che sono le condizioni degli attuali strumenti di bordo. E poco importa che per mettere insieme questi strumenti si sia speso come mai prima: qualcosa non funziona e serve mettersi d’impegno capire cosa, per quale ragione e quali possono essere i correttivi.

Per riportare a casa l’Apollo 13 e soprattutto i suoi tre astronauti, Kranz e tutto il personale della NASA lavorarono giorno e notte e riuscirono nell’impresa con un approccio basato su lucidità, competenza ed enorme spirito di collaborazione. Prendendosi anche notevoli rischi. La più grande crisi dell’esplorazione umana dello spazio – fino a quel momento – venne brillantemente risolta grazie anche all’atteggiamento costruttivo e puntuale di tutti i suoi protagonisti, a partire da chi aveva in pugno le sorti (e quindi il budget) della stessa agenzia spaziale. Vi immaginate se Richard Nixon, presidente tutt’altro che simpatico nei modi, fosse andato in diretta televisiva a dire che se anche non si fosse riuscito a riportare a casa gli astronauti la vita sarebbe proseguita comunque? In fondo era una situazione eccezionale e certi rischi, nelle missioni spaziali, vanno messi in conto.

La SPAL in serie A non vale quanto tre vite umane, ci mancherebbe. Ma sarebbe ipocrita dire che non porta benefici nelle esistenze di tanta, tanta gente. Sia in maniera concreta, sia con ricadute non direttamente misurabili che hanno a che fare col semplice (mica tanto) orgoglio di fare parte di una comunità che se la gioca contro i giganti. La confusione registrata dopo SPAL-Sampdoria nelle dichiarazioni dei dirigenti lascia un po’ interdetti, perché dà proprio l’impressione di una mancanza di una linea comune di comunicazione verso l’esterno. Uno la prende con filosofia adottando un approccio fatalista, un altro si dice più possibilista, il terzo fa capire che no, il fallimento non è un’opzione, proprio come era per Gene Kranz al controllo missione di Houston.

Patron Colombarini (senior) è uomo abituato alle uscite dal tono serafico e fa della sdrammatizzazione un suo tratto distintivo. Ma dare in pasto all’opinione pubblica una dichiarazione come quella di lunedì sera può avere effetti decisamente deleteri su una piazza che vuole continuare a sognare un futuro a questi livelli e sente di poterci ancora stare. Per la verità ci sono un tempo e un modo: stavolta sono stati sbagliati in maniera abbastanza evidente. Nessuno smetterà mai di ringraziare i Colombarini per quanto hanno costruito in così poco tempo. La loro eredità durerà decenni, proprio come quella bandiera piantata lassù sulla Luna dalla prima spedizione Apollo. Ma non è ancora il momento per darsi per vinti. Il fallimento – sportivo – nel calcio può senz’altro essere un’opzione per un equipaggio incompleto come quello della SPAL. Ma lasciar passare questo messaggio di potenziale rassegnazione quando ancora i serbatoi d’ossigeno sono pieni potrebbe far sentire gli astronauti decisamente soli nel viaggio che ancora li attende. Alla base di Houston/Ferrara è appena arrivato il messaggio: “Potremmo avere un problema“. Il tempo per completare un’altra missione di successo c’è ancora tutto: si tratta solo di stabilire con una certe coerenza come si vuole raccontare questa storia, quale tono le si vuole dare, comunque finisca.



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