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Alla fine, ripensandoci, sembra sia da un secolo che ho l’onore e il privilegio di scrivere su LoSpallino.com, ma non è poi così tanto. E’ dalla promozione dalla C alla B, la cavalcata trionfale che ci ha portato nella famosa e patinata élite del calcio italiano.
Sono (credo) sei anni di fila che a fine campionato festeggiamo sempre, nulla mai di simile è capitato nella gloriosa e centenaria storia dei colori più belli del mondo. Ora, le difficoltà ci sono, le vediamo, abbiamo fatto un solo punto in casa contro le dirette concorrenti alla salvezza.

Ci manca qualità? Sì.
Ci manca la grinta? Forse sì, in qualche momento.
Ci manca l’impegno? No.
Difficile scrivere quando la barchetta comincia a fare acqua da tutte le parti e si sa, i primi a scendere sono i topi, che avvertono il pericolo in anticipo e magari giudicano e sentenziano sulla qualità del legno del natante, se ne nuotano bellamente nel mare magno delle colpe altrui. Ma noi siamo diversi, e badate bene non parlo della solita storia dei noi che… questo e quello. No, mi riferisco a chi ci crede e chi ne soffre. Non i musi lunghi dei vecchi, che dovrebbero essere abituati alle sconfitte, in quanto spallini, ma anche tra quelli, c’è gente che pensa di tifare per il Real Madrid. Ma noi siamo la Società Polisportiva Ars et Labor, nasciamo nel fango, nel fango ci siamo cresciuti, il fango lo abbiamo mangiato. Mi riferisco alle lacrime di un bambino, in piedi a fine partita, dieci minuti dopo la fine, quando la squadra è venuta sotto la curva ed il mister (tripallico) ha parlato con gli ultras. Ecco, quelle lacrime sono una delle cose più belle della giornata di ieri. Significano che il virus dell’appartenenza ha attecchito, non erano lacrime di resa, era semplicemente amore. Incondizionato, frustrato e magari tradito. Quelle lacrime concimeranno il sorriso più grande da sfoggiare solo al momento delle nostre prossime e incommensurabili vittorie.

Un’altra bella immagine è quella di Paloschino, che impazzisce di gioia e grinta all’assegnazione del rigore. Poi a fine partita, il mister che scavalca i cartelloni pubblicitari e sotto la curva parla con i ragazzi, stringe mani, ascolta opinioni, si prende responsabilità, ci insegna il coraggio. Il rispetto. Chi ha scritto o parlato di bordate di fischi è un emerito coglione e scusate per la parola emerito. Certo, so benissimo che in questo momento di difficoltà c’è gente che pensa era ora, forse cambierà qualcosa, ma a me frega poco. I meriti e i risultati parlano da soli, nessun commento per chi gioca il tre di trionfo contro il proprio compagno, rimanendo entrambi a secco.


Cosa succederà ora? Non lo so. Quello che so è che fino a maggio saremo in massima serie, quello che so è che l’estate prossima all’apertura degli abbonamenti io e tanti altri saremo in coda. Quello che so è che sono spallino e me ne vanto. Quello che so è che probabilmente vinceremo la coppa Italia ed il prossimo anno giocheremo l’Europa League. Le sconfitte ci formano molto più delle vittorie, le sconfitte fanno finalmente uscire ciò che siamo: noi siamo la curva Ovest e lo siamo da sempre, l’assuefazione alle luci della ribalta alle volte può dare alla testa, ma è in questi momenti che si deve innalzare l’onda che tutto travolge.

Come quelle bandiere, laggiù al piano terra, che sventolano per tutti i novanta minuti, passano di mano in mano. Come la bandiera di Ghughi, nostro rappresentante là sotto in fondo dove c’è più calor, che non smette, ostinatamente, cambia mano, ma non smette di ondeggiare al vento. Mai. Forza vecchio cuore biancazzurro.



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